Il carcere, Nicoletta e gli altri
Livio Pepino
Da
ieri, dopo tre mesi, Nicoletta è uscita dal carcere. Finalmente, è il
caso di dire! Non è libera ed è smagrita e provata ma, almeno, è a casa,
in Valle.
Le è stata concessa la detenzione domiciliare: pur con molti
vincoli, a cominciare dal divieto di incontri e di comunicazioni con
l’esterno. Questa volta Nicoletta ha accettato la misura alternativa per
la sua natura non individuale ma generale, secondo la previsione
dell’art. 123 del decreto legge n. 18 del 17 marzo scorso contenente,
appunto, “Disposizioni in materia di detenzione domiciliare”. È un primo
risultato, anche se, per ottenerlo, c’è voluta addirittura un’epidemia!
Un risultato che si aggiunge alla licenza con cui è stata interrotta la
semilibertà di Luca (in applicazione dello stesso decreto legge).
Ci sarebbe da festeggiare, se non fossimo tutti in una sorta di detenzione domiciliare (seppur attenuata)!
Ma,
in ogni caso e ancora una volta, la Val Susa non si chiude in se stessa
e pone, invece un problema generale. Ha scritto Nicoletta nell’ultimo
messaggio prima della scarcerazione: «Nessuno può conoscere davvero il
carcere, se non chi lo vive. Nessuno può immaginare le storie degli
ultimi, la desolazione delle esistenze recluse, le violenze subite nel
tempo, che diventano colpa per chi si ribella, e prigione. Nessuno
immagina le vite senza nome costrette in questi momenti ad aspettare in
catene l’epidemia che, nel silenzio e nell’indifferenza generale, si è
già insinuata oltre le mura e tra poco farà strage. In carcere tanti
continuano ad entrare (anche malati, ai quali non vengono praticati
controlli sanitari), e pochissimi escono. Il sovraffollamento delle
prigioni ‒ anche a Torino ‒ è insostenibile, vergognosa violazione di
qualsiasi diritto, di ogni principio minimamente umano. Nelle sezioni
c’è angoscia e richiesta di aiuto, volutamente ignorata da una classe
politica cieca e sorda».
Le
cose stanno esattamente così. Il carcere, come tutte le istituzioni e
comunità chiuse, è uno dei luoghi di potenziale massima espansione del
contagio. Dio non voglia che ciò accada, ma se mai accadesse, le
conseguenze sarebbero devastanti per i detenuti e per tutti coloro che
hanno a che fare con il carcere. Non è detto, per fortuna, che ciò
accada. Ma le precauzioni si mettono in atto di fronte ai pericoli e
non, come si dice con espressione mai così sgradevolmente realistica, “a
babbo morto”. Non è detto che ciò accada, ma alcuni casi di contagio
vengono ormai segnalati da più parti: a Parma, a Piacenza, a Voghera, a
Torino, a Bologna, a Pisa, ad Agrigento… A chiedere interventi radicali e
urgenti per ridurre il sovraffollamento carcerario sono ormai in molti
(cfr. la rassegna stampa quotidiana www.ristretti.org).
Sul punto è tornato, domenica scorsa, anche il Papa: «Ho letto un
appunto ufficiale delle Commissione dei Diritti Umani che parla del
problema delle carceri sovraffollate, che potrebbero diventare una
tragedia. Chiedo alle autorità di essere sensibili a questo grave
problema e di prendere le misure necessarie per evitare tragedie
future».
Eppure le
misure adottate dal Governo con il decreto legge n. 18 del 17 marzo
(estensione della possibilità della detenzione domiciliare in caso di
pena inferiore a 18 mesi e delle licenze per i semiliberi) sono
palesemente insufficienti. Sono passate quattro settimane dalle rivolte
scoppiate in numerosi istituti e due dal decreto e la diminuzione del
numero dei detenuti è irrisoria: si è scesi da 61.230 a 57.590, a fronte
di una capienza regolamentare teorica di 51.416 e a una reale di poco
più di 47.000 (con casi di presenze superiori al 170 per cento della
capienza massima). Per molte ragioni: le restrizioni e cautele previste
nel decreto, la lunghezza dei tempi necessari per gli accertamenti sulle
situazioni dei singoli detenuti e per le decisioni dei tribunali e dei
magistrati di sorveglianza, la mancanza dei braccialetti elettronici
richiesti in caso di condanne superiori a sei mesi. Intanto, le forze
politiche continuano a discutere e a scontrarsi su dettagli.
In
questo quadro c’è una sola soluzione possibile con effetti immediati:
un nuovo decreto legge che sospenda l’esecuzione, con immediata
scarcerazione, per i condannati a pene brevi (che sono oggi tra i 10 e i
20.000), eventualmente prevedendo eccezioni per i delitti più gravi (https://volerelaluna.it/commenti/2020/03/09/le-nostre-prigioni-lindulto-necessario/).
Nessun estremismo o buonismo. Come ha detto il ministro competente del
Land tedesco Nordreno-Vestafalia nel disporre tale misura per i detenuti
con condanne fino a diciotto mesi (escluse quelle per reati sessuali o
per violenze gravi), si tratta semplicemente di «una misura prudenziale
per fronteggiare il rischio della diffusione del COVID-19 negli istituti
penitenziari».
È
necessario che ciò avvenga, subito. Poi, anche alla luce di questa
esperienza e dei suoi esiti, si dovrà riaprire la questione
dell’amnistia e dell’indulto. Ma, intanto, non si perda ulteriore tempo.
Volerelaluna 4/4