Il coronavirus rischia di devastare le comunità rom e sinti
Dijana Pavlovic
In
questo momento nel Paese tutti siamo chiamati a fare sacrifici e a
rispettare le regole necessarie a fronteggiare l’emergenza. Davanti al
virus cadono ogni tipo di barriere culturali, etniche, social. Tutti
sono vulnerabili ma tuttavia, c’è una fascia di popolazione, italiana,
estremamente esposta e fragile, totalmente abbandonata, più debole, più
povera, colpita di più senza che nessuno se ne accorga o se ne
preoccupi. È quello che sta succedendo in questi giorni nei campi delle
comunità rom e i sinti, terrorizzate perché sanno che nelle condizioni
in cui vivono, tantissimi in poco spazio, sono più a rischio degli
altri; preoccupati perché sanno che le comunità, per la bassissima
qualità della vita, hanno un numero molto più alto di persone con
problemi di salute che rischiano la vita se si infettano; arrabbiati
perché, essendo lavoratori precari, spesso anche in nero, raccoglitori
di ferro, venditori di cose usate nei mercatini, non hanno più nessun
guadagno. Per non parlare di chi sopravvive chiedendo l’elemosina. Ma
anche quelli che hanno un’attività propria, come i giostrai e i
lavoratori dello spettacolo viaggiante, che da generazioni con grande
amore e sacrificio portano avanti le loro attività, sono alla fame, e
nessuno sinora ha pensato di inserirli nelle categorie da aiutare e
sostenere in questo momento di emergenza.
Nei
campi rom e sinti, specialmente quelli grandi come a Roma, in questo
momento la situazione è drammatica non soltanto perché le persone sono
nel panico ma anche perché ogni tipo di servizio è stato sospeso. Il
pericolo di contagiarsi è molto alto perché ci sono tante persone in
spazi piccoli, privi di servizi e spesso addirittura senza neppure
l’acqua. Per questo, un grande numero di persone, metà delle quali sono
bambini, in questo momento è letteralmente alla fame, non ha possibilità
economiche di comprare generi alimentari di prima necessità, latte in
polvere, pannolini e sapone.
Non
siamo preoccupati soltanto della salute di questi cittadini italiani ma
anche perché è difficile immaginare che in una situazione del genere
qualsiasi essere umano possa rimanere chiuso a casa aspettando di morire
di fame. Molti politici e personaggi autorevoli vanno dicendo che siamo
in guerra ma purtroppo il loro riferimento è solo macroeconomico,
nessuno è a conoscenza di quelle che sono già adesso le vere conseguenza
di una guerra. Molti dei membri della comunità sinti e Roma in Italia
si ricordano che cos’è la guerra, vengono dai territori della ex
Jugoslavia, e in questi giorni rivivono le stesse situazioni con l’unica
differenza che la morte arriva senza il preavviso di una sirena
antiaereo.
In
questo momento di emergenza devono essere messi da parte una volta per
tutte le politiche dell’odio, dell’emarginazione, perché si parla di una
minoranza, non riconosciuta, di cittadini italiani europei privata di
ogni tipo di diritto fondamentale, dall’accesso all’acqua, alla sanità.
Da anni la comunità rom e sinti in Italia si batte per il riconoscimento
dello status di minoranza che possa permetterle di avere accesso ai
diritti base di ogni cittadino italiano. Oggi tale riconoscimento
diventa ancora di più una questione di vita o di morte. E non una
battaglia politica.
In
questi giorni anche i media internazionali hanno messo in discussione
il modello di economia familiare italiana. Quelle che per molte famiglie
sono stati elementi di sussidio, di supporto sia economico che sociale,
i nonni, sono oggi, a tutti i livelli sociali, le categorie più a
rischio e minacciate. Se ne accorgono i grandi commentatori
internazionali, figuriamoci noi all’interno delle nostre comunità dove
la famiglia è il primo valore sociale e culturale. Davanti a questo
scenario lo Stato Italiano non può continuare a far finta di nulla, se
già per una parte dell’opinione pubblica i campi rom sono un problema da
risolvere con le ruspe, oggi il problema diventa non più politico ma
umanitario. Si rischia una vera strage di persone, cittadini italiani.
Non
è il tempo per fare una battaglia politica per il riconoscimento dello
status di minoranza ma è doveroso segnalare l’urgenza e la criticità che
il mondo delle comunità rom e sinti in Italia stanno vivendo. Un
problema per le intere periferie delle grandi città che non possono
farsi sentire, che nessuno vede, ma che vede morire di fame la gente.
*Dijana Pavlovic è rappresentante di Kethane, il movimento della comunità rom e sinti in italia