domenica 21 febbraio 2021

Secondo intervento sul libro di Giancarlo Gaeta: " Il tempo della fine"

(prossimità e distanza della figura di Gesù)

 

Questo mio secondo intervento intende entrare nel merito di due capitoli del testo per far emergere quel nucleo originario della fede e dell'annuncio di Gesù che avevamo individuato come rottura e che si discosta sia dall'immagine prevalente che tutto l'apparato religioso e la dogmatica hanno costruito e trasmesso, sia anche dalla ricerca storica stessa che per Gaeta non è sufficiente per affrontare le questioni decisive che il suo passaggio terreno ha sollevato.

Gaeta ci obbliga a confrontarci con tali questioni riferendosi ad alcuni versetti del Vangelo che non possiamo che cogliere nella loro "distanza" sia dal contesto socio-religioso in cui sono stati collocati, sia da noi, dalla nostra sensibilità e anche dalla nostra abitudine a rimuoverli o ad interpretarli come esemplari, addirittura trasformandoli in modi di dire generalizzati completamente fuori dal contesto.


I due capitoli in questione sono il 2°: RIGORE ASSOLUTO DELLA SEQUELA, introdotto dal versetto di Matteo 8-22¸ Luca 9,60: "Seguimi! E lascia i morti seppellire i loro morti".

Il 3°: GIUDICARE IL PROPRIO TEMPO introdotto dal versetto di Luca 12,51: "Credete che io sia venuto a mettere pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione."

Il versetto che introduce il capitolo 2° è un comando seguito da un'affermazione che già l'esegesi antica e medioevale interpretava come una rottura inaccettabile con le consuetudini e anche con le disposizioni legali e con il dovere non solo religioso, ma anche umano ,di dare sepoltura. Come esempio cito il riferimento all'esegesi di Origene che, al fine di depotenziare tale comando, dava rilievo all'idea della sequela come "passaggio da una condizione di morte alla vera vita, identificando simbolicamente il padre morto con il diavolo, dal quale il figlio può distaccarsi per seguire la voce del Signore" Origene, Homelies sur Luc.

E' necessario quindi, se si vuole fare emergere la radicalità del comando di Gesù, per cui la sequela impedisce compromessi o ritardi, distinguere tra un'etica dell'attesa ed un etica dei valori, evidenziando che, nelle narrazioni evangeliche, i detti di Gesù, le sue richieste radicali, convivono con affermazioni più moderate introdotte anche allo scopo di rispondere alle esigenze di comunità che si avviavano a divenire strutturate. Questa distinzione permette di entrare ancor più nel merito del detto che va mantenuto nel suo rigore se si vuole, come fa l'autore, salvare il nucleo fondante dell'ethos cristiano e che non si pone come una proposta di cambiamento o riforma, ma come l'annuncio del Regno quindi di un giudizio sul "mondo" che in concreto gli si offriva "nel giudaismo del suo tempo, le istituzioni, gli uomini che consapevolmente o meno si riconoscevano nel mondo", e io aggiungerei del Regno di Dio che Lui voleva rendere attuato nelle Beatitudini e che lui annunciava con le sue azioni a favore degli ultimi, degli esclusi, dei peccatori.

Gesù non è stato un "riformatore religioso, o un "maestro di sapienza", ma ha richiesto ai suoi discepoli e quindi a noi, di fare una scelta di parte; ci vuole coraggio a contrapporsi alle richieste del mondo, esemplificato qui come "seppellire i morti" che ad una lettura escatologica può dirci che Gesù dichiara "morti" quanti resistevano alla sua predicazione perché impediti in qualche modo a fare la scelta di uscita dalla mondanità, una scelta di vita e non di morte.

Se questa era l'esigenza della sequela come in tante prese di posizione di Gesù riportate dai Vangeli (basterebbe fare un'utile ricerca), una luce nuova si accende sulla sua fine: la condanna a morte come rifiuto, incomprensione definitiva da parte dei rappresentanti del "mondo", di quelle scelte di cui il versetto in esame è un esempio. Le provocazioni di Gesù che noi forse non vogliamo o non possiamo più cogliere (distanza) non devono però lasciarci indifferenti, pena l'impossibilità di attribuire alla sequela il suo vero senso.

Il capitolo si chiude così: "Il mondo che persiste è ormai una realtà giudicata… il giudizio universale si compie ora, giorno dopo giorno, atto dopo atto, lungo l'estensione di questo tempo… sono gli atti, ciascuno per sé e tutti insieme a compiere il giudizio. Il questo senso l'ordine di Gesù al seguace può essere inteso come un invito ad occuparsi d'ora in poi dei vivi piuttosto che dei morti" (pagg.36-37)

Il versetto che introduce il 3° capitolo è: "Credete che io sia venuto a mettere pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione" Luca 12, 51. Un versetto riassuntivo del compito che Gesù si è attribuito, quello cioè di mettere "contro", anche nell'ambito famigliare, di dividere: anche in questo caso ci troviamo a dover prendere atto della difficile compresenza nella stessa figura di Gesù di prese di posizione radicali ed altre di carattere moderato od opposte. E' lo stesso Gesù che parla di amore per i nemici, di offrire l'altra guancia, che dichiara beati i pacifici, che racconta la parabola del figliol prodigo etc. Gaeta però, anche in questo caso vuole sottolineare l'incompatibilità tra la sequela e l'attaccamento agli istituti sociali del suo tempo e di conseguenza il significato di "giudizio" definitivo su quel "tempo".

Del resto una delle accuse che Gesù rivolge ai suoi contemporanei: i discepoli ma anche la folla è di non saper discernere ciò che è giusto e comportarsi di conseguenza. Illuminante un ulteriore passo che allude metaforicamente alla sorte personale di Gesù: "Ho da essere battezzato con un battesimo e come sono in angoscia finché sia compiuto" Luca 12,50… Luca ha voluto comunque coniugare il desiderio di Gesù di portare a compimento un'opera che comportava l'attivazione di forze conflittuali, con la consapevolezza angosciosa che egli per primo ne avrebbe subito le conseguenze mortali" (pag. 42) e l'urgenza del compimento è rivelato dal versetto: "Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra e quanto desidero che sia già acceso" Luca 12-49.

La conflittualità che si esprime con provocazioni inaccettabili al giudaismo del suo tempo e dei suoi parenti che reagiscono accusandolo di follia o di possessione (cap.1) sembra essere per Gaeta la connotazione più tipica della personalità di Gesù cioè "la consapevolezza di dover assolvere un compito radicale, che non ammette condizionamenti di sorta" (pag.45).

Mettere in guardia da tale radicalismo era del tutto necessario al giudaismo del tempo che si esprimeva nelle figure che via via Gesù incontrava e che in varie forme tentavano di provocarlo perché le sue parole e la sua presenza erano incompatibili "con una equilibrata concezione religiosa edificata sulla sottomissione al dettato scritturistico", quello che in diverso modo, nelle varie epoche fino a noi è diventato una costante predominante delle interpretazioni: ridurre la conflittualità, spiritualizzare la predicazione, prediligerne gli aspetti edificanti.

Concludo con una lunga citazione che però ci aiuta a rimettere in moto la problematicità del nostro approccio alla lettura dei testi e intende anche essere riassuntiva del percorso che ho proposto in una forma spero almeno accettabile.

"..esiste da allora per ogni generazione e sotto ogni cielo uno specifico punto di vista da cui il cristiano deve valutare il proprio tempo al di fuori della logica del mondo. Un punto di vista che ciascuno è chiamato a modulare per proprio conto, seppure in un contesto comunitario, perché in definitiva la responsabilità del giudizio è personale, come ci ricorda il rimprovero di Gesù alla folla: 'Perché non discernete da voi stessi ciò che è giusto?' (Luca 12,57)".

 Anna Campora