Le scelte economiche di Draghi sotto la lente di Foucault
Il Manifesto
26.06.2021
Alfonso Gianni
Le
firme dei 65 economisti che insegnano in varie università del nostro
paese, e non solo, contro le impresentabili nomine effettuate dal
governo per il Nucleo tecnico per il coordinamento della politica
economica, sono ormai diventate centinaia. Troppo evidente è il
contrasto fra un Piano che, per quanto criticabile, prevede il più ampio
intervento di investimenti pubblici da molti anni a questa parte e il
profilo intellettuale dei nuovi nominati.
Non
solo alfieri del neoliberismo, ma della sua versione peggiore, capaci
di sostenere le tesi più estreme e strampalate di una teoria economica
il cui fallimento storico è ormai consolidato. Negazionisti del
cambiamento climatico, sostenitori della libera circolazione delle armi
in mano ai cittadini, contrari all’acqua pubblica, fautori della
liberalizzazione dei trasporti. Tutte tesi falsificate dalla realtà,
oltre che contraddette dal semplice buon senso. Vi è quindi da
domandarsi da cosa deriva una scelta talmente improvvida.
È
DOVUTA dalla “necessità” di tenere conto delle pressioni della destra
presente nel governo, peraltro in altre faccende affaccendata, vedi ddl
Zan? Si tratta di una provocazione nei confronti dell’ala sinistra del
medesimo, alla quale peraltro la stessa ha risposto zittendo chi elevava
qualche protesta? Oppure è semplicemente la sottolineatura che il
Nucleo conta poco dal momento che il sistema di governance delineato
negli ultimi provvedimenti prevede che in ultima analisi la decisione è
saldamente in mano al capo del governo? Ognuna di queste spiegazioni in
realtà sarebbe già un’aggravante del quadro. Tuttavia nessuna di esse
appare del tutto convincente.
LA
SENSAZIONE che è che ci sia dell’altro, ovvero che lo scempio delle
nomine sia un tassello di un processo di più ampio respiro. Anche perché
a queste va certamente sommata la nomina a capo della Cassa depositi e
prestiti di Dario Scannapieco, attivissimo ed entusiasta sodale di
Draghi nelle grandi privatizzazioni degli anni Novanta. E’ vero che già
il suo predecessore, Fabrizio Palermo, sosteneva che la Cdp non sarebbe
mai diventata una nuova Iri, poiché non ci sarebbe “la nuova via
italiana al capitalismo misto, pubblico e privato, è il capitalismo
paziente che investe lì dove ci sono i fattori per lo sviluppo”. Quasi
un antipasto del Pnrr. Il che dimostra, nel profondo, una linea di
continuità fra questo governo e quelli che l’hanno preceduto.
MA
ANCHE L’ACCUSA di una spudorata ripresa dei mantra del neoliberismo non
è sufficiente a comprendere quanto sta avvenendo. Forse dovremmo fare
ricorso alla categoria dell’ordoliberismo, teoria nata negli anni Trenta
a Friburgo, pur con le attualizzazioni del caso e scontando il fatto
che ogni teoria economica non esiste mai nella realtà allo stato puro,
ma sempre in una tensione di adattamento al momento storico-politico e
alle tradizioni del paese in cui si applica.
TRA
I MOLTI che si sono cimentati con il tentativo di definire tale teoria
per distinguerla dal neoliberismo, non accontentandosi di concepirla
come un neoliberismo stato-centrico, vi è senz’altro Michel Foucault che
alla fine degli anni ’70 (Nascita della biopolitica, Corso al College
de France 1978-79) sottolinea che gli ordoliberali non si limitavano a
tracciare limiti all’intervento pubblico in economia, ma volevano “porre
la libertà di mercato come principio organizzatore e regolatore dello
Stato, dall’inizio della sua esistenza sino all’ultimo dei suoi
interventi.
Detto altrimenti: uno Stato
sotto la sorveglianza del mercato, anziché un mercato sotto la
sorveglianza dello Stato”. Quindi l’ordoliberismo non è affatto una
versione gentile del neoliberismo. Il suo obiettivo è il rovesciamento
del ruolo e della funzione dell’intervento pubblico, piuttosto che la
sua limitazione e men che meno la sua sparizione. Esso si rende garante
dell’implementazione del principio della concorrenza, non più come via
libera agli spiriti animali del capitalismo, ma come strumentazione
ordinata da un quadro legislativo. Non è dunque un capriccio che tra le
riforme collegate al Pnrr vi sia quella sulla concorrenza.
L’INTERVENTO
PUBBLICO può tranquillamente avvenire in un quadro sovranazionale, nel
quale si impone una élite politicamente e tecnicamente agguerrita, in un
quadro di a-democratizzazione dell’ordine politico, interno ai singoli
paesi e internazionale, capace di resistere in primo luogo ai bisogni e
alle aspirazioni delle popolazioni ed anche, se si presenta il caso,
alle grandi multinazionali quando esagerano nel volere costruire uno
spazio giuridico e fiscale proprio.
Non è forse questa la storia fino ad
oggi dell’Unione europea? E Draghi ne è stato progettatore e
interprete. Ma questo significa anche che se ci fosse una sinistra
politica si alzerebbe l’asticella dello scontro.