«Senza le voci delle donne, Kabul è morta»
Giuliana Sgrena
Il Manifesto
26.09.2021
Sulla terribile situazione che sta vivendo l’Afghanistan abbiamo sentito una giovane studentessa afghana in Italia per un master. Per ovvi motivi di sicurezza non possiamo indicare il suo nome. «L’intero paese è al collasso, sia dal punto di vista istituzionale che economico».
«Banche, aziende, uffici governativi, start up locali e persino i negozi sono chiusi, l’import e l’export sono completamente bloccati, per l’Afghanistan significa fame e povertà. Non circola denaro e anche coloro che hanno depositi in banca non possono prelevare più di 200 dollari al mese. Piccole attività come centri estetici, sale per matrimoni, ristoranti, caffè, palestre, sartorie sono bloccati. I commercianti che vendono vestiti occidentali di seconda mano, siccome uomini e donne non possono più indossare jeans e magliette, stanno subendo gravi perdite».
«Il tasso di disoccupazione è molto alto: gli uffici governativi, scuole e aziende private sono stati chiusi. Anche il sistema giudiziario versa in uno stato disastroso e la gente non può ottenere documenti, certificati di matrimonio, passaporti o documenti catastali. La città è morta, non si sentono più musica, rumori e la voce delle donne, pochi circolano in macchina perché il gas e la benzina sono molto cari. L’inverno si sta avvicinando e il prezzo del gas è quasi raddoppiato, non ci sono soldi per comprare legna o cibo da conservare per la stagione più rigida».
«Le strade di Kabul – continua – sono piene di merce di seconda mano venduta da chi lascia la città o da chi ha bisogno di soldi per mantenere i figli. Questa situazione provoca una grande disperazione. Il direttore delle prigioni ha annunciato che saranno ristabilite esecuzioni pubbliche, taglio di mani e piedi e ha dichiarato che “non abbiamo bisogno di suggerimenti dall’estero, seguiamo l’islam e il Corano che è la sua legge”. Il ministero della donna è stato sostituito con il ministero per la propagazione della virtù e prevenzione del vizio. Questo ha provocato timori e apprensione perché è questo ministero che controlla la vita quotidiana: il modo di vestire, le donne che escono senza un mahram (un maschio della famiglia), la lunghezza della barba, il modo in cui le donne legano i loro capelli, come ridono, etc. I taleban dicono che seguiranno l’esempio dell’Iran. Per quanto riguarda le donne, i taleban ripetono che potranno lavorare o studiare ma solo nell’ambito previsto dalla sharia (che è interpretata in modi diversi). Ci sono molte divisioni all’interno degli stessi taleban, alcuni hanno aperto le scuole per ragazze fino alle superiori altri solo per le elementari, mentre nelle città come Kabul, Herat e Mazar-i-Sharif sono chiuse».
«Le donne non possono lavorare sia nel settore pubblico che privato e in alcuni luoghi segnalazioni indicano che devono essere vestite di nero dalla testa ai piedi. Le donne possono lavorare solo nel settore sanitario ma la sanità si sta disintegrando per mancanza di medici e medicine. La maggior parte delle medicine sono importate ma ora le frontiere sono chiuse e la gente muore per mancanza di farmaci. I prezzi dei generi alimentari sono raddoppiati, alcuni sono scomparsi. Ci sono anche forti pressioni psicologiche, la gente è molto depressa, preoccupata e ansiosa per l’incertezza sul futuro. I taleban dicono di aver portato la sicurezza ma il popolo non vuole una sicurezza in cui si può morire di fame».
I taleban chiedono un riconoscimento internazionale e di partecipare all’assemblea dell’Onu…
È difficile prevedere cosa sarà loro concesso, tuttavia una cosa è chiara: l’Afghanistan diventerà il terreno di scontro tra Usa, Cina e Russia. Vi sono già scontri all’interno dei taleban – tra i sostenitori di Haqqani e quelli del mullah Baradar – provocati dalle interferenze delle potenze straniere che lottano per spartirsi l’Afghanistan. Il maggiore timore per ora è rappresentato dall’Isis che lo scorso mese ha rivendicato almeno tre attacchi. È solo l’inizio e siamo sicuri che gli scontri si intensificheranno e aumenterà il bagno di sangue.
I taleban stanno utilizzando la drammatica situazione per ottenere aiuti.
È un pesante ricatto. Comunque, nessuna circostanza giustifica un riconoscimento dei taleban. Ora si fingono moderni e aperti per essere accettati ma un loro riconoscimento sarebbe un grave tradimento del nostro popolo e specialmente delle donne. Ci sono molte pressioni internazionali per formare un governo «inclusivo», con il coinvolgimento di donne e di rappresentanti di altre etnie (i taleban sono prevalentemente pashtun). Anche se includono qualche donna con il burqa, o alcuni criminali hazara, tagiki uzbechi, la natura del governo non cambierà. Saranno sempre fascisti, terroristi, fondamentalisti, misogini. L’assemblea Onu e gli alleati preparano il terreno per il riconoscimento ufficiale. La maggior parte dei paesi sta cercando accordi separati con i taleban, come il governo britannico che ha annunciato un risarcimento per le morti civili di cui naturalmente beneficeranno i taleban.
Come possiamo aiutare le donne che lottano nel paese? È possibile un compromesso con i taleban per singoli progetti? O l’unica possibilità è un lavoro clandestino?
Potete aiutarci sostenendo la nostra attività e i nostri progetti, parlandone nelle scuole, università, incontri e conferenze. Vorremmo che i finanziamenti alle Ong continuassero, tuttavia le politiche e le regole dei taleban rispetto a queste attività non sono noti. Non sappiamo se potranno ricevere finanziamenti, a chi sarà permesso operare e in quali condizioni, occorre vedere come evolverà la situazione. Se ci saranno possibilità di aiutare le donne e i bambini afghani, non lo consideriamo un compromesso ma una reale opportunità. Occorre individuare chi ha più bisogno di aiuto e non si può fare con il lavoro clandestino. La nostra attività politica ha un valore ma crediamo che il nostro popolo sia sull’orlo della fame e della povertà e non si possono combattere i taleban a pancia vuota.