martedì 28 dicembre 2021

LE DISUGUAGLIANZE INVISIBILI

 Le diseguaglianze invisibili

di Luca Ricolfi

Così ispettori del lavoro e carabinieri hanno scoperchiato il vaso di Pandora del caporalato e dello sfruttamento. Verifiche quadruplicate in tre anni, irregolarità riscontrate fino all’86% delle aziende controllate. Aziende che possono essere piccole ma anche medie e grandi, situate in zone depresse ma anche in zone ricche, al Nord come al Sud. Caporalato non significa semplicemente reclutamento giornaliero di manodopera mediante l’odiosa figura del “caporale”. Dietro al caporalato si nasconde, nella maggior parte dei casi, un’intera fenomenologia di sopraffazione: assenza di contratti, precarietà dell’impiego, bassissimi salari, condizioni di lavoro durissime o degradate, e qualche volta condizioni di vita paraschiavistiche, come quelle degli accampamenti e delle baraccopoli al servizio della raccolta stagionale di frutta e ortaggi.

Sono fenomeni noti, descritti in innumerevoli servizi giornalistici, ma colpevolmente, e da sempre, dimenticati dalla politica. Perché?

Credo che i motivi principali siano tre. Il primo è che, se la politica se ne occupasse, le scoppierebbe in mano il problema dell’immigrazione irregolare.

Un problema che la sinistra non vuol vedere, e la destra non è capace di affrontare (ricordate la promessa di Salvini di rispedire a casa mezzo milione di immigrati irregolari?).

Il secondo motivo è che, su questo punto, la politica non ha il sostegno attivo dei sindacati, attentissimi a proteggere gli interessi dei già garantiti (pensionati, pubblico impiego, dipendenti delle grandi aziende), ma alquanto distratti di fronte ai fenomeni di emarginazione e sfruttamento più estremi.

Il terzo motivo è che, più o meno consapevolmente, i politici intuiscono che precarietà e bassi salari, pur essendo sempre frutto di spregiudicatezza e rapacità, in non pochi casi sono anche condizioni di sopravvivenza di attività economiche che, ove rispettassero i contratti nazionali e non evadessero le tasse, dovrebbero chiudere (che io ricordi, l’unico politico ad aver messo in evidenza questo punto è Stefano Fassina, con il concetto di “evasione di necessità”). Dietro certe forme di sfruttamento, in altre parole, oltre alla mancanza di scrupoli c’è il combinato disposto della bassa produttività e della concorrenza internazionale, che spinge verso il basso i prezzi (tipicamente per i prodotti agricoli).

Che oggi esista ancora il caporalato può destare sorpresa, abituati come siamo a pensare che certi fenomeni siano retaggio del passato, e con il passare del tempo siano destinati a evaporare. Ma è un errore di prospettiva. A ben guardare, la società in cui viviamo non è fondata solo sul benessere dei più e sul duro lavoro di una minoranza (abbiamo il tasso di occupazione, giovanile e adulta, più basso dell’Occidente). La nostra società è anche basata sui “servigi” di una robusta infrastruttura paraschiavistica, che non è affatto in via di assorbimento, ed è strettamente necessaria per perpetuare il nostro modo di vita, consumistico e non di rado parassitario.

Quando, nella mia ricostruzione dei meccanismi della “società signorile di massa”, ho provato a misurare le dimensioni di questa infrastruttura paraschiavistica, di segmenti sociali in cui si presentano condizioni di subordinazione estreme, ne ho contati ben 7, per un totale di circa 3 milioni e mezzo di occupati (oltre il 15% della forza lavoro).

Fra di loro, non solo gli stagionali concentrati nei ghetti per la raccolta della frutta e degli ortaggi, ma anche: i lavoratori in nero di agricoltura, edilizia, trasporto e magazzinaggio; i dipendenti delle cooperative che erogano servizi alle grandi aziende, alle ferrovie, alle scuole, alle università, agli ospedali; colf e badanti assunte senza contratto e senza contributi; lavoratori della cosiddetta gig economy (o economia dei lavoretti), per lo più addetti alle consegne a domicilio; per non parlare dei settori completamente illegali, dove a operare in condizioni paraschiavistiche troviamo la bassa manovalanza della distribuzione delle droghe, o la prostituzione di strada gestita da organizzazioni criminali.

Viene da domandarsi se la nostra spasmodica attenzione anche ai più minuscoli e irrilevanti interventi della Legge di bilancio non sia sproporzionata rispetto alle vere diseguaglianze che affliggono il nostro Paese. Perché le diseguaglianze più ingiuste, e più crudeli, non sono quelle di cui tutti parlano, ma quelle che nessuno vede.


La Repubblica, 11 dicembre