mercoledì 17 agosto 2022

DIRITTI LGBTI ANCORA CALPESTATI

 Diritti LGBT, termometro dei diritti umani nel mondo


Yuri Guaiana
9 Giugno 2022
Osservatorio dei Diritti
Affari internazionali

Il 1 giugno è cominciato il Pride Month, il mese dell’orgoglio LGBTI, che vede il proprio culmine nella data del 28 giugno, anniversario dei moti di Stonewall del 1969.
Quella rivolta orgogliosa contro la brutalità della polizia americana segna un passaggio fondamentale nella storia della lotta per i diritti umani e civili, dando vita al più rapido cambiamento di costumi della storia, almeno in Europa e nelle Americhe.
I Pride stessi, nati come momenti di lotta di una minoranza per rivendicare il diritto di camminare per strada a testa alta e senza paura, con orgoglio per la propria identità e quella della persona amata, sono riusciti a costruire spazi di libertà per tutte e tutti divenendo tra i momenti più gioiosi e partecipati dell’anno e riuscendo sempre più a penetrare anche nella provincia più profonda, portando con sé la propria ventata di libertà.
Eppure oggi, in circa 70 Paesi, essere gay, lesbica, bi o trans è ancora illegale e in 11 può costare addirittura la vita. Come afferma il rapporto di ILGA World del 2021 Our identities under arrest, molte delle leggi che criminalizzano forme non eteronormative di sessualità sono state influenzate da leggi e valori secolari dei regimi coloniali europei. Nei paesi a maggioranza musulmana queste influenze, operano in tandem con interpretazioni letterarie della Sharia che ispira direttamente o indirettamente anche i paesi che ancora impongono la pena di morte per rapporti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso.
I governi spesso liquidano queste disposizioni come “dormienti“, ma le leggi non dormono mai veramente: la natura imprevedibile della loro applicazione fa sì che le persone LGBTI vivano perennemente sotto minaccia e con poche vie di scampo, poiché la scusa delle disposizioni “dormienti” è usata anche per rigettare le loro richieste d’asilo.
In molti casi, le espressioni di genere non conformi sembrano essere gli elementi centrali che fanno scattare gli arresti, anche quando la legge non le prende esplicitamente di mira. Le persone LGBTI vengono arrestate anche quando cercano di denunciare un crimine di cui sono state loro stesse vittime.
L’Italia dovrebbe fare di più per sanare la piaga antistorica della criminalizzazione delle vite LGBTI, come chiedono alcune associazioni italiane con questa campagna, e contrastare le follie draconiane che vengono proposte in alcuni paesi.
In Ghana, per esempio, 8 parlamentari hanno presentato un disegno di legge che punta a inasprire le pene contro le persone LGBTI e a criminalizzare persino i loro alleati, a riprova del fatto che, come disse Hilary Clinton nel 2021, i diritti LGBTI sono diritti umani.
L’Africa è il principale terreno di scontro di un movimento globale che usa i diritti LGBTI e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne per scardinare il concetto stesso di diritti umani in quanto diritti individuai e universali. Nel 2019 abbiamo avuto modo di capire un po’ meglio le forze che animano questi tentativi quando il Congresso mondiale delle famiglie ha deciso di riunirsi a Verona.
Se tra gli ospiti di Verona vi era anche l’arciprete ortodosso Dmitri Smirnov, ponte tra il presidente Vladimir Putin e il patriarca di Mosca Kirill, non stupisce più di tanto che proprio il patriarca abbia collegato quanto succede da otto anni nel Donbas ai perversi disegni di chi vuole introdurre nella regione i gay pride o “presunte marce della dignità organizzate per dimostrare che il peccato è una delle varianti del comportamento umano”.
Kirill ha caratterizzato le parate del gay pride come un “test di fedeltà” ai governi occidentali, che le repubbliche secessioniste dell’Ucraina hanno “fondamentalmente rifiutato” per poi sostenere che “quanto sta accadendo oggi nell’ambito delle relazioni internazionali non ha quindi solo un significato politico” ma è segnale “che siamo entrati in una lotta dal contenuto non fisico, ma metafisico” e che “Se l’umanità accetta che il peccato non è una violazione della legge di Dio, se l’umanità accetta che il peccato è una variazione del comportamento umano, allora la civiltà umana finirà lì”.
Queste affermazioni, non fanno che riproporre in chiave sermonesca la dottrina eurasiatica di Aleksandr Dugin che lo stesso Putin ha ripreso implicitamente nel suo discorso precedente all’invasione dell’Ucraina con il suo riferimento alla difesa dei “valori tradizionali”.
Nel frattempo in Russia la repressione è arrivata al punto di chiudere la più grande associazione LGBTI del Paese, mentre le minacce di Putin ai dissidenti con linguaggio disumanizzante sta costringendo alla fuga molte e molti attivisti.
Questi contraccolpi si avvertono anche in Occidente, basti pensare alla proposta di legge “don’t say gay” in Florida, o alla legge recentemente approvata in Ungheria che vieta l’accesso ai contenuti LGBTI ai minori, ispirandosi alla famigerata legge contro la cosiddetta “propaganda omosessuale” in vigore in Russia.
Ma appunto si tratta di contraccolpi anacronistici, anche se particolarmente virulenti.
 Il numero di Paesi che decriminalizzano i rapporti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso è in crescita costante. 
Dal 2019 al 2021, Botswana, Gabon e Angola hanno tutti depenalizzato l’attività omosessuale, e quest’ultimo paese è arrivato ad adottare una serie di norme antidiscriminatorie.
Se si continua a percorrere il sentiero tracciato dalle persone coraggiose che si ribellarono con orgoglio alla brutalità della polizia nel 1969, senza controproducenti derive ideologiche, la rivoluzione arcobaleno non potrà che prevalere garantendo, come è stato coi Pride, maggiore libertà per tutte e tutti.