La Nato a corto di munizioni rischia di frenare l’avanzata di Kiev
GIANLUCA DI FEO
La Repubblica 23/11
Un diluvio di proiettili. Si parla tanto di missili e droni, ma la materia prima del conflitto in Ucraina sono i cannoni, impiegati in maniera così frenetica da svuotare le santabarbare del pianeta: le munizioni per l’artiglieria pesante sono ovunque in via d’esaurimento. Entrambi i contendenti le hanno sparate in quantità mostruosa: nelle fasi più cruente 60 mila al giorno i russi e ventimila gli ucraini. Un esempio? I moderni semoventi Pzh2000 donati dalla Germania sono progettati per tirare cento colpi in 24 ore; nel Donbass però si è arrivati a trecento, logorando canne e volate. Il volume di fuoco è così alto da condizionare le prossime operazioni. L’Occidente infatti ha promesso a Kiev sostegno ad oltranza, ma adesso deve riuscire a trovare munizioni sufficienti per alimentare gli obici della resistenza. E non è facile, perché negli ultimi trent’anni tutti hanno smesso di produrle.
La carenza più assillante riguarda i 155 millimetri, lo standard della Nato. Gli Stati Uniti ne hanno già fatti arrivare all’armata di Zelensky un milione, il resto dell’Alleanza altri trecentomila. Ne servono molti di più. Al Pentagono ne rimangono due milioni, molto vicino al livello critico delle scorte strategiche. Ne ha ordinati 250 mila alla General Dynamics, che però ne sforna al massimo 14 mila al mese, ossia meno di quanto basta agli ucraini per un giorno di battaglia. L’azienda ha annunciato di volere triplicare la catena di montaggio: sarà pronta nel 2025.
Che fare? Gli Usa si sono rivolti alla Corea del Sud, chiedendo di comprare 100 mila colpi. Ma Seul non vuole essere coinvolta nella crisi ucraina. In più teme la minaccia del Nord e non è disposta ad assottigliare il suo arsenale.
I venti di guerra stanno contagiando tutti i continenti e innescano una nuova corsa agli armamenti. Anche gli eserciti europei si sono resi conto di avere i magazzini vuoti e non sanno dove rifornirsi: c’è letteralmente la coda. «Noi ci siamo mossi subito ma siamo tutti in fila davanti alle fabbriche di munizioni — ha detto la ministra della Difesa olandese Kajsa Ollongren — .
Le scorte
stanno finendo: è necessario trovare un modo di coordinarci a livello
Ue».
L’industria bellica aveva trascurato questo settore, dove la bassatecnologia e i rischi ambientali consentono margini di profitto limitati. Inoltre la domanda era minima: la lunga stagione di campagne contro il terrorismo jihadista non ha avuto bisogno di cannoni e tutte le aziende si sono lanciate sui più lucrosi ordigni intelligenti. Adesso i big hanno fiutato l’affare e si stanno scatenando. Due settimane fa la Rheinmetal tedesca ha rilevato la Expal spagnola, mettendo sul tavolo 1.200 milioni. Parigi e Londra invece hanno domandato alle ditte nazionali di tararsi su un ritmo da “economia di guerra”.
L’Italia ha soccorso Kiev prelevando i residuati della Guerra Fredda: gli abbiamo girato alcune decine di migliaia di 155 mm regalati dagli Stati Uniti negli anni Settanta. Il conflitto ha però convinto lo Stato maggiore a correre ai ripari: in un decennio si prevede di spendere 2,7 miliardi in munizioni, mentre finora gli stanziamenti erano limitati a una manciata di milioni l’anno.
Le confeziona la Simmel di Colleferro, che si era concentrata su colpi per i cannoni navali e ora tornerà ai pezzi terrestri. L’acciaio non manca, anche loro però faticano a reperire l’esplosivo: l’unico centro di produzione è in Francia ed è subissato di ordini.
La carenza di proiettili è un serio ostacolo per i piani di riscossa ucraini: gli emissari americani hanno detto con chiarezza che l’aiuto proseguirà, ma è impossibile garantire gli stessi numeri consegnati finora. In ogni mossa futura, i soldati di Zelensky dovranno risparmiare il fuoco. E non va meglio con i cannoni d’origine sovietica usati da Kiev: i Paesi orientali della Nato hanno regalato gli avanzi rimasti negli arsenali, inclusi gli ultimi pezzi della Ddr. La piccola Zvs slovacca sta moltiplicando le frese per passare da 19 mila proiettili l’anno a 100 mila. Gli inglesi sono arrivati al punto di acquistarli in Pakistan e trasferirle in Polonia. Ma sono sempre troppo pochi.
E i russi? Molti ritengono che pure Mosca sia in difficoltà, tanto da bussare alla porta di Kim Jong-un per attingere dai suoi bunker. Altri analisti credono che l’eredità di tritolo dell’Urss possa garantire mesi di combattimenti: ci sono foto con distese infinite di casse zeppe di ordigni.
L’industria bellica aveva trascurato questo settore, dove la bassatecnologia e i rischi ambientali consentono margini di profitto limitati. Inoltre la domanda era minima: la lunga stagione di campagne contro il terrorismo jihadista non ha avuto bisogno di cannoni e tutte le aziende si sono lanciate sui più lucrosi ordigni intelligenti. Adesso i big hanno fiutato l’affare e si stanno scatenando. Due settimane fa la Rheinmetal tedesca ha rilevato la Expal spagnola, mettendo sul tavolo 1.200 milioni. Parigi e Londra invece hanno domandato alle ditte nazionali di tararsi su un ritmo da “economia di guerra”.
L’Italia ha soccorso Kiev prelevando i residuati della Guerra Fredda: gli abbiamo girato alcune decine di migliaia di 155 mm regalati dagli Stati Uniti negli anni Settanta. Il conflitto ha però convinto lo Stato maggiore a correre ai ripari: in un decennio si prevede di spendere 2,7 miliardi in munizioni, mentre finora gli stanziamenti erano limitati a una manciata di milioni l’anno.
Le confeziona la Simmel di Colleferro, che si era concentrata su colpi per i cannoni navali e ora tornerà ai pezzi terrestri. L’acciaio non manca, anche loro però faticano a reperire l’esplosivo: l’unico centro di produzione è in Francia ed è subissato di ordini.
La carenza di proiettili è un serio ostacolo per i piani di riscossa ucraini: gli emissari americani hanno detto con chiarezza che l’aiuto proseguirà, ma è impossibile garantire gli stessi numeri consegnati finora. In ogni mossa futura, i soldati di Zelensky dovranno risparmiare il fuoco. E non va meglio con i cannoni d’origine sovietica usati da Kiev: i Paesi orientali della Nato hanno regalato gli avanzi rimasti negli arsenali, inclusi gli ultimi pezzi della Ddr. La piccola Zvs slovacca sta moltiplicando le frese per passare da 19 mila proiettili l’anno a 100 mila. Gli inglesi sono arrivati al punto di acquistarli in Pakistan e trasferirle in Polonia. Ma sono sempre troppo pochi.
E i russi? Molti ritengono che pure Mosca sia in difficoltà, tanto da bussare alla porta di Kim Jong-un per attingere dai suoi bunker. Altri analisti credono che l’eredità di tritolo dell’Urss possa garantire mesi di combattimenti: ci sono foto con distese infinite di casse zeppe di ordigni.
Vecchi, ma quasi sempre funzionanti. D’altronde
Stalin ha chiamato l’artiglieria “il Dio della guerra” e oggi Putin
resta fedele a questa linea di fuoco.