domenica 4 dicembre 2022

L'EMERGENZA IRRISOLTA

 Il medico Giura

L’ingorgo liste d’attesa sta colpendo i più poveri curati quando è

 già tardi”

di Sara Strippoli

Vittorio Giura è un medico di famiglia. Lavora in uno studio di medicina di gruppo a Pino Torinese, un’area privilegiata dove i pazienti sono in buona parte persone abbienti. I casi di tempi biblici, dunque, si rivolvono spesso con una prestazione privata. E il suo giudizio sul sistema delle liste d’attesa nell’area metropolitana di Torino è pesante.

Dottor Giura, come definirebbe la situazione nell’area torinese?

«Sconfortante nonostante gli sforzi. Un ingorgo, questa è la mia sensazione: traffico bloccato, non si va avanti per quanto si tenti di fare manovre di qui e di là».

Ci spiega?

«Ci sono quattro lettere che etichettano la prescrizione: U per urgente, B per breve, D per differibile, P per programmabile.

Diciamo subito che ci sono moltissimi casi per cui la U non si può proprio indicare, come nel caso di una colonscopia.

Quindi, se ho un sospetto la mia prescrizione sarà una B, ed entro dieci giorni dovrei avere l’esito.

Nella stragrandissima maggioranza dei casi la risposta è che non c’è alcun posto libero. Se ce n’è uno a quindici giorni non prenotano. Cosa fa allora il paziente? Torna da me, che a questo punto provo a scrivere D, differibile, dove si prevedono trenta giorni. Se è fortunato troverà posto entro un mese, ma solo se è fortunato».

Quanti mollano?

«Ho molti professionisti fra i miei pazienti: hanno assicurazioni, casse private aziendali. Per gli altri, quelli che non hanno i soldi, passa il tempo e a volte è tardi».

Le è successo?

«Sì, un polipo all’intestino che avrebbe potuto essere tolto con una colonscopia se l’esame fosse stato fatto quando io ho sospettato che ci fosse il problema, ma che otto mesi dopo ha avuto bisogno di un intervento molto più invasivo, oltre al rischio correlato che conosciamo».

Il sistema sta cambiando: per visite cardiologiche e mammografie si viene richiamati se non c’è posto al momento di contattare il Centro unico di prenotazione.

Ha già avuto modo di valutare il risultato?

«Non ancora. Non posso che sperare che il sistema funzioni e che quella telefonata arrivi in tempi brevi».

Cinque anni fa era meglio o peggio?

«Molto meglio, direi. Cinque anni fa, se prendiamo questo riferimento temporale, le prenotazioni si facevano. Ora, per le visite specialistiche e per alcuni esami come Tac e risonanze, o gastroscopie, non si trova nulla o quasi. E anche nel privato ci sono tempi lunghi, due o tre mesi. 

Non tutti hanno macchine che lavorano 24 ore come la Larc e se nel pubblico non c’è il medico o mancano gli infermieri, o gli orari restano ridotti, non c’è modo di uscire dall’ingorgo. 

La situazione peggiora poi notevolmente a fine anno perché i privati hanno un budget che a un certo punto si esaurisce. Se hanno una somma per mille esami, quando arrivano al mille e uno l’esame non lo fanno più. Si ricomincia a fissare appuntamenti a partire da gennaio».


La Regione promette che per i pazienti si troveranno risposte “all’interno dei quadranti”. Le persone si sposteranno?

«Dipende dalla gravità ma anche dalle possibilità. Se a un mio anziano di Pino che non ha figli che lo accompagnano dicono di andare a Carmagnola, non c’è un mezzo pubblico che lo porti.

Altro che sanità a chilometro O, questa è sanità a chilometro 40 e per molti non va proprio bene»