ANIMA
di Marco Campedelli - Adista Segni Nuovi 11/02/2023
Anima,
non c'è parola più astrusa e lontana di questa. E invece no. E' più
presente di quanto si creda. E c'è un insospettato "bisogno di anima". <<L'età
dell'anima è diversa da quella registrata all'anagrafe. Credo che
l'anima abbia una determinata età fin dalla nascita, e che questa età
non cambi più. Si può nascere con un'anima che ha dodici anni. E quando
si hanno ottant'anni, quell'anima ne ha ancora dodici e non di più. Si
può anche nascere con un'anima che ne ha mille>>. Stiamo leggendo dal Diario integrale
di E. Hillesum, la giovane intellettuale ebrea olandese, morta ad
Auschwitz. La pagina segna il giorno 12/10/1942. Siamo seduti in cerchio
sul palcoscenico dell'Aula Magna "Giovanni Zanoni" del nostro liceo. I
ragazzi colpiti da queste parole cominciano a discutere del tema come
qualcosa di inaspettatamente famigliare. Pensiamo al viaggio di questa
parola che Platone chiama psychè, ma che arriva dal greco anemos (da anapnein: respirare); in ebraico, nèfesh, che ha a che fare con la gola, con il respiro ancora. In sanscrito la chiamano atman. Non è facile definire cosa sia l'anima, tanto che perfino Tommaso d'Aquino scrive: <<Capire cosa sia l'anima è assai difficile>>.
Si ricorda che per Jung anima è l'archetipo del femminile. I ragazzi
sono convinti che bisogna "coltivare la propria anima". Che sia
irrinunciabile. La nostra discussione rimane sul piano culturale e
antropologico. Ma rintraccia anche le esperienze, la vita. Qualcuno dice
di aver visto negli occhi di suo nonno affacciarsi un'anima bambina. <<Non avrà avuto più di sette anni>>,
dice. Una studentessa ad un certo punto si commuove e non trattiene le
lacrime. Parla di una persona a lei molto cara che ha perso la memoria e
non la riconosce più. <<Sono triste perchè non riesco più a trovare la sua anima...>>.
Mi
sorprende che per una cultura come la nostra in cui anima e corpo sono
stati così tragicamente separati, l'anima per questi ragazzi del Liceo
sia così presente e necessaria. Che insomma l'anima abbia un posto nella
loro vita, nei loro pensieri. Dicono che senza anima studiare è la cosa
più noiosa del mondo. Che loro si accorgono anche di quanti anni abbia
l'anima dell'insegnante che si trovano davanti la mattina in classe.
L'anima
insomma ha una sorta di concretezza, di corpo indistruttibile. Mi
sovviene che qui nel nostro Veneto, nella Lessinia o nelle colline tra
Verona e Vicenza, nelle antiche case di pietra c'era nella camera una
finestrella piccola e stretta, rivolta verso oriente. Mi hanno detto che
era la "finestra dell'anima". Così quando uno moriva la sua anima
trovava un pertugio per uscire senza ostacoli.
Come
si fa a coltivare la propria anima allora? Non si intende naturalmente
la nozione di anima legata a una fede religiosa, ma della parte più
segreta e profonda di sé. La scuola tiene conto delle nostre anime? si
domanda una ragazza (o del <<sapere dell'anima>>, Maria Zambrano).
E a sua volta, una scuola senza anima a cosa serve? Mi viene in mente
la "scuola dell'istruzione e del merito" e ho il sospetto che non
preveda nessun pertugio, nessuna finestrella per l'anima: Alla prossima
lezione verrà il preside, che è un poeta. I ragazzi gli vogliono
chiedere se la scuola si sta occupando della loro anima. Sono fortunati
perché un poeta probabilmente l'anima la conosce bene.
E' suonata l'ora. I ragazzi però non si muovono, continuano a discutere e c'è chi chiede di fotografare le pagine del Diario che abbiamo letto. Una ragazza prima di uscire si ferma, mi guarda e dice come in un soffio: <<A coltivare l'anima si fa così...>>.