giovedì 27 luglio 2023

È stato Netanyahu a lacerare Israele ma dalla nostra marcia nascerà un futuro migliore

 

Negli ultimi giorni e nelle ultime notti, durante la marcia verso Gerusalemme, ci sono stati molti momenti emozionanti. Uno di questi è stato sabato mattina, quando un'enorme onda umana, sventolante migliaia di bandiere bianche e blu, si è lentamente srotolata dalla cima della collina nella zona di Shoresh e ha incontrato migliaia di persone in attesa al ponte di Hemed. I due serpentoni si sono mescolati, sono state offerte bottiglie d'acqua e fette di anguria, ghiaccioli e grappoli d'uva. Si percepiva generosità e buona volontà e un profondo sentimento di condivisione. Si percepiva la rara comprensione che ognuno di noi è "composto" dai molti che erano lì e hanno proseguito la strada insieme fino al Castel, con una temperatura di 37 gradi e con un senso di elevazione spirituale, niente di meno.

Il popolo di Israele ha conosciuto divisioni e spaccature. Sadducei e farisei,chassidim e mitnaggedim .

Ma ciò che sta accadendo in Israele negli ultimi mesi va al di là di tutto questo. Qui sta succedendo qualcosa per la quale non ci sono ancora parole per descriverla. Per questo fa tanta paura. Forse, in futuro, tutto ciò si rivelerà l'inizio di un processo che sgretolerà, o forse risolverà, i nodi fossilizzati e pericolosi della società. Nel frattempo, però, fa affiorare menzogne e segreti, offese storiche represse, mancanza di compassione, torti reciproci diventati dolorosamente intollerabili, e un senso di corrisposto malcontento.

Ciò che sta avvenendo ci mostra anche quali elaborati meccanismi di autoinganno, di illusione, di lavaggio del cervello abbiamo subito per evitare, nel corso di 75 anni, che tutto questo esplodesse.

Ci mostra come abbiamo imparato a nascondere tali meccanismi, soprattutto a noi stessi, a mascherarli, ad addomesticarli.

Ad addomesticare noi stessi.

Come suona vuoto oggi il mantra "unità", che ci è stato propinato per decenni.

Quanto suona falsa la parola "coesione", quando una parte della popolazione quasi cancella le angosce, le ansie, le prospettive e i desideri dell'altra.

Ci ritroviamo sguarniti di fronte a queste dissonanze e a queste menzogne scaraventate di colpo nella nostra realtà indifesa.

Il terreno ci scivola sotto i piedi.

Una grande paura ci lambisce tutt'intorno.

Ecco, per esempio: finora non ci siamo mai detti in maniera tanto schietta che per la nostra esistenza qui in Israele, un'esistenza che, con tutti i suoi difetti, è anche meravigliosa, agognata, unica, dobbiamo ringraziare solo poche centinaia di piloti.

Questa consapevolezza fa paura.

Questo fatto, semplice e concreto, fa paura.

E invece di occuparci unicamente della questione della legittimità della decisione dei piloti militari riservisti di non continuare a prestare servizio, faremmo meglio a rivolgere lo sguardo altrove per un momento: al fatto di dover ammettere a noi stessi che la nostra potenza militare – in altre parole la nostra esistenza – dipende in gran parte da quelle centinaia di piloti, e quindi dovremmo affrettarci e cercare di arrivare ad accordi di pace con i nostri vicini-nemici. Per non dover più affrontare la sfida di una nuova guerra. Ora si scopre (ma alcuni di noi lo sapevano da anni) che è questo il supremo interesse per la sicurezza di Israele.

Come una comprensione fulminearimasta spenta per anni, si chiarisce la responsabilità, anzi, la colpa, di chi, autonominandosi impresario della storia ebraica, ha causato il più grande disastro dello stato di Israele – gli insediamenti.

Questa è una settimana decisiva per il destino di Israele come Stato democratico. Centinaia di migliaia di israeliani sono usciti di casa in condizioni impossibili per protestare e avvertire, ma anche per ritrovarsi, anche se per poco, in un ambiente sensato, in un'atmosfera benevola. Un bisogno che non va preso alla leggera. Un bisogno che per decenni ci è stato sottratto. La realtà di Israele è diventata violenta, rozza, inquinata.

L'appropriazione indebita di un cambio di regime da parte di Rothman, Levin, Ben-Gvir e Netanyahu non è, alla fin fine, che la "firma dell'artista" ai margini di un quadro generale. Quanto è grande la sete di ritrovarci, anche se solo per due o tre giorni, in un clima morale diverso. In una realtà limpida. In un afflato di speranza.

Com'è stato rinfrescante vedere quell'onda umana scendere lentamente dalla cima della collina. Un'onda umana composta da centinaia di migliaia di israeliani appartenenti a comunità e partiti diversi, di tutte le età.

Persone che, loro, o i loro padri e madri, hanno fondato il Paese e non accetterebbero mai e poi mai di rinunciare al sogno senza il quale, se venisse distorto e rovinato, le loro vite semplicemente non avrebbero senso.

 

David Grossman

La Repubblica,  24/07/2023


Traduzione di Alessandra Shomroni