domenica 6 ottobre 2024

Ai padri sinodali, inevitabilmente
José Arregi


Vi parlo con tutto rispetto e libertà. E se qualche espressione fosse troppo dura, vi chiedo scusa.

Mi sono chiesto se dovessi rivolgermi «ai padri ed alle madri sinodali», ma penso che il titolo, così com’è, rispecchi meglio la composizione della vostra Aula sinodale, piena di padri. E non è che non vi veda, e questa volta più che mai; potrebbe essere un passo avanti, potrebbe essere anche un gesto apparente per contenere le proteste e far sì che tutto resti dove sta. Ci siete, parlerete, voterete, ma non vedo alcuna parità tra voi e loro. E non tanto per il numero, anche quello (54 donne contro 314 uomini), ma soprattutto perché la vostra presenza e la vostra funzione sinodale continuano (e - oso dire - continueranno) ad essere assolutamente, non solo quantitativamente, subordinate alla figura ed al potere clericale maschile.

Anche se ci fossero 314 donne, questo Sinodo, così come tutti i precedenti, continuerebbe ad essere una questione di vescovi «consacrati», tutti maschi. E se dovesse porsi – e non si porrà - qualche questione spinosa e cruciale, nessuna di voi avrà l’ultima parola al riguardo; l’ultima parola la dirà – credo che l’abbia già detta –un maschio «consacrato», papa Francesco. Ha nominato tutti i membri sinodali, uomini e donne, ha dato le istruzioni su ciò che potete e non potete dire e deciderà e pubblicherà entro pochi mesi l’Esortazione postsinodale con le conclusioni finali. Dico lui, ma non sappiamo chi lo farà davvero. Lui firma. È il sistema e non sarà questo Sinodo a cambiarlo, anche se tra pochi giorni entrerà già nel suo quarto anno.

C’è di più. Non si risolverebbe nulla nella Chiesa aggiungendo madri ai padri, istituendo il potere femminile sacro accanto al potere maschile sacro, cosa che non mi aspetto di sapere né lo voglio. Di fatto nulla di fondamentale cambierebbe anche nell’ipotesi, del tutto irrealistica, che Roma decidesse di «consacrare» anche la donna come diaconessa, presbitera, vescova o papa-madre. Sarebbe senza dubbio più giusto dell’attuale sistema esclusivamente patriarcale, poiché scomparirebbero le discriminazioni di genere, ma continuerebbe a persistere lo stesso modello piramidale e gerarchico, l’«ordine sacro», peraltro clericale. E non è questa la riforma radicale che da decenni e da secoli, a partire dal cuore del mondo lo spirito della vita chiede all’istituzione cattolica. «Non chiamate nessuno padre (né madre, dovremmo aggiungere). Siete tutti fratelli e sorelle», dice Gesù nel vangelo di Matteo (23, 8-9). Non esiste un ordine sacro derivato dal cielo. Non c’è niente di più sacro della fraternità-sororità universale.

Ma questa prospettiva è totalmente assente dall’organigramma, dal funzionamento, dalla struttura stessa del Sinodo. Non è nemmeno considerata. Il Sinodo, per sistema, come l’istituzione ecclesiale in generale a partire dai secoli III-IV, porta insita l’impronta maschile «sacerdotale», direttamente ispirata all’antico sistema sacrificale del tempio ebraico: la sacralizzazione del potere, la separazione tra un’élite superiore (chierici) e la stragrande maggioranza dei «laici» definiti solo negativamente, anche dal Concilio Vaticano II, come «coloro che non sono né chierici né religiosi», coloro che non sono né contano nella Chiesa. Una separazione tra chi insegna, guida e comanda e chi ascolta, è guidato e obbedisce. Tra chi rappresenta «Dio» e chi rappresenta solo se stesso. È la negazione della fraternità-sororità e costituisce la radice di tutti i problemi strutturali della Chiesa cattolica romana.

E non ci sono segnali che questo Sinodo eliminerà questa radice clericale, nonostante il suo nome ridondante («Sinodo della sinodalità»), nonostante la retorica e tutta la buona volontà – che sinceramente riconosco – del papa che lo ha convocato, di coloro che hanno partecipato al suo processo per tre anni e di quelli tra voi che sedete, parlate e voterete nell’Aula sinodale senza poter decidere su nulla di importante. Né questo sinodo, come tutti i precedenti, abrogherà il clericalismo. Di fatto, nessuno dei documenti-base che fungono da quadro per i dialoghi ed i dibattiti dei 368 «padri sinodali» non vi consente neanche di mettere in discussione l’attuale modello clericale. Basta citare alcuni pochi esempi.

Avete innanzitutto l’«Instrumentum laboris» per questa seconda sessione dell’assemblea sinodale. In esso non viene mai messo in discussione il modello gerarchico clericale; al contrario, afferma molte volte la differenza tra ministeri «comuni», derivati ​​dal battesimo, ed i ministeri «ordinati», superiori, gli unici investiti del potere per presiedere l’Eucaristia, «assolvere i peccati» e «consacrare» diaconi, preti o vescovi. E, qualora ci fosse qualche dubbio, vi dice: «In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Romano Pontefice è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo» (n. 70). Nessun membro del sinodo, non importa se padre, può cambiarlo. Non se ne può nemmeno parlare.

Avete anche il Documento intitolato «Contributi teologici, canonici, pastorali» pubblicato lo scorso agosto dalla Segreteria Generale del Sinodo sulla Sinodalità. Un noiosissimo florilegio di riferimenti biblici, teologici, conciliari e papali, con considerazioni e proposte banali. È auspicabile – afferma - che la comunità ecclesiale in generale partecipi in qualche modo non solo alla consultazione ma anche alla deliberazione, ma aggiunge alla fine: «La deliberazione nella Chiesa avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide personalmente in forza dell’ordinazione e del suo ufficio» (n. 11.3). Questo finale è l’inizio. E all’interno dell’ordine sacro si limita a raccomandare un «sano decentramento» (titolo del n. 23). Questo è tutto.

Dal vostro ordine del giorno sinodale sono sparite alcune delle questioni cruciali che potrebbero puntare, almeno simbolicamente, alla riforma profonda ed irrinunciabile della Chiesa cattolica romana: l’accesso delle donne all’«ordine sacerdotale» ed anche al «diaconato consacrato», il celibato presbiterale, le persone LGBTIQ+… Sarà quindi inevitabilmente un sinodo di padri.

Avete ben definiti i limiti che non potrete superare. Li potrà superare papa Francesco? In teoria lo potrebbe fare, visto che gode di un potere assoluto. Ma sapete bene che nulla è più relativo di un potere assoluto. Il potere assoluto di un papa dipende dalla sua storia e dalle sue relazioni: dalle sue conoscenze, dai suoi criteri politici e teologici, dalle sue preferenze ed opzioni. Tutto è relativo nell’esercizio del potere assoluto.

Salta agli occhi che il modello di Chiesa di papa Francesco continua ad essere interamente clericale. Ha tutto il diritto del mondo - né più né meno di chiunque altro - di avere il suo, purché non lo voglia imporre. È lì che iniziano i problemi. In ogni caso, non sarà questo papa ad abrogare il clericalismo e questo mi sembra altrettanto sicuro e certo quanto i suoi frequenti avvertimenti contro il clericalismo. Lo ha appena detto molto chiaramente nel video trasmesso lo scorso 1 ottobre, proprio il giorno del ritiro con il quale i padri sinodali hanno aperto questo Sinodo. «Noi preti – dice - non siamo i capi dei laici, ma i loro pastori». E i pastori governano sulle pecore, qualunque cosa queste dicano e senza che queste abbiano scelto il loro pastore. Così continuerà ad essere. Dice anche: «i laici, i battezzati stanno nella Chiesa a casa propria e devono averne cura. Come noi, i preti, i consacrati, ciascuno apportando ciò che meglio sa fare». Chi sa e può guidare un autobus (fa questo esempio), guidando un autobus, e chi sa e può insegnare e comandare nella Chiesa, insegnando e comandando. Con una precisazione importante: sono i «consacrati» (da chi? Da quando?) a decidere cosa ciascuno sa, può e deve fare. È clericalismo nella sua espressione più pura, mi dispiace.

Ebbene, nulla di fondamentale cambierà nella Chiesa finché non cambierà radicalmente la mentalità teologica dei suoi attuali pastori consacrati. La Chiesa non potrà essere profeta e segno di comunione in un mondo così lacerato, finché non cambierà la sua struttura clericale, finché non sarà essa stessa una vera comunione fraterno-sororale, verso l’interno e l’esterno. E non per il bene della Chiesa, ma per l’ampio respiro dell’umanità e del pianeta.

Oggi, 3 ottobre, evoco il «transito» (la morte, il passaggio alla Vita) di Francesco d’Assisi, il Poverello, nel 1226, all’età di 45 anni e domani celebrerò la sua festa. Il vecchio mondo medievale di re, signori e castelli, di papi, chierici e grandi monasteri, di contadini, di servi e lebbrosi sociali si stava sgretolando. Un nuovo mondo ed una nuova chiesa volevano emergere. È stato il sogno di Francesco. Non ha voluto essere un signore, un uomo ricco, un prete o un monaco. Ha rotto con suo padre, un ricco mercante, figura di una nascente borghesia che cercava di rovesciare il vecchio mondo con le sue stesse armi: ricchezza e potere. Un giorno Francesco gli ha detto: «Non ti chiamerò più “padre mio Bernardone”». E ha rotto con ogni patriarcato sociale ed ecclesiale, pur non avendo mai combattuto contro nessuno. Ha solo voluto vivere come pellegrino, sempre in cammino, senza beni né casa, come Gesù, essendo il fratello minore di tutti gli esseri umani e di tutte le creature, annunciando la pace e senza condannare nessuno. E questo lo rendeva felice, non senza grandi piaghe nel corpo e nell’anima.

Permettetemi allora di salutarvi e di parlarvi con il rispetto e la libertà e con le parole che piacevano a frate Francesco: «Pace e bene, sorelle, fratelli sinodali. Rinnovate il sogno di frate Francesco, incarnate la sua libertà fraterna. Non legatevi a ciò che è stato detto, insegnato o fatto in altri tempi. Non legatevi a dottrine e strutture del passato. Non aggrappatevi nemmeno alla lettera di ciò che Gesù ha detto o non ha detto, ha fatto o non ha fatto 2000 anni fa. Ascoltate la voce che ci viene dal cuore del mondo e di tutte le creature, nostre sorelle: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”». _________________________________________________________________________________

Articolo pubblicato il 4.10.2024 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.org)

Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli