DA ROMA A BERLINO, IL DOMINO DEL CINISMO
Il regime di Bashar Assad è caduto da quarantotto ore, un jihadista di nome al-Joulani è appena entrato a Damasco da trionfatore e qual è la prima cosa di cui preoccuparsi e per cui mobilitarsi? Non il curriculum del nuovo leader, che conta la partecipazione ad al Qaeda, a Daesh e a una lunga serie di imprese anti-occidentali; non la destabilizzazione che si rischia nell'area, con un Iran ferito e una Russia umiliata; non le reazioni di Israele o degli Stati Uniti. No, il problema dei maggiori Stati europei, nelle ore in cui la Siria si dimena tra la conta dei morti nelle carceri di Assad e il timore di furie giacobine, sono i migranti siriani che vivono all'interno dei nostri confini.
Con una prontezza e una rapidità di coordinamento che non abbiamo mai potuto osservare quando si è trattato di decidere sui dossier più stringenti per la vita dei cittadini europei - dalle scelte industriali a quelle sulle infinite transizioni che ci attendono - l'Austria ha annunciato i suoi piani per deportare e rimpatriare il maggior numero di siriani possibile (ne ospita al momento circa 100 mila); l'ufficio federale tedesco per la migrazione e i rifugiati ha detto che congelerà le domande di asilo per più di 47.000 cittadini siriani, la Grecia ha già sospeso l'elaborazione di 9.000 domande di asilo siriane. E a seguirne l'esempio sono subito accorsi Belgio, Francia e Italia: "Il governo italiano - si legge in una nota di Palazzo Chigi - ha stabilito, analogamente a quanto fatto da altri partner europei, di sospendere i procedimenti circa le richieste di asilo dalla Siria". Un coordinamento invero straordinario, che ai leader europei sarà sembrato oltretutto di un raffinato tatticismo: in tempi di scontento e di affermazione dei partiti populisti, sovranisti e xenofobi, difficile immaginare di poter volgere la crisi siriana a proprio favore in modo tanto efficace, mostrandosi pronti a rispedire a casa centinaia di migliaia di persone che da 13 anni hanno scelto di riparare in Europa per salvarsi dai massacri.
In poche ore, il cinismo degli europei ha cancellato quel momento di orgoglio collettivo rappresentato dalla celebre frase di Merkel pronunciata nel 2015 di fronte al primo esodo di siriani - "Wir shaffen das", ce la possiamo fare - e ha sporcato il sogno di tutti quei siriani che già si dichiaravano pronti a rientrare in patria per ricostruire e ricominciare, e che magari dagli europei si aspettavano sostegno, programmi, cooperazione: "andatevene in fretta, qui per voi non c'è più posto", si sono invece sentiti rispondere. Difficile, di fronte a simili azioni, continuare a coltivare la narrazione di un'Europa che difende i valori, che preferisce le conferenze alle armi, che ha dalla sua la forza della cultura e delle tradizioni secolari. E difficile anche sentirsi tranquilli, di fronte a decisioni così. Da siriani, da ucraini, e un po' anche da europei.
Francesca Sforza - La Stampa, 10 dicembre 2024