NEL SEGNO DI RUT - 5
PER CONTINUARE
La teologia femminista è una realtà in continuo sviluppo, diffusa in ogni continente.
La produzione teologica femminista, con saggi, libri, convegni e altri momenti di incontro, è in costante aumento. Anche il lavoro di base, svolto da gruppi o associazioni di donne credenti, è di particolare importanza, perché rappresenta il punto d'incontro tra teoria e pratica e prepara il terreno per il dibattito femminista.
Purtroppo va anche segnalato che, spesso, libri scritti da teologhe femministe non vengono tradotti nelle diverse lingue, soprattutto se si tratta di voci che si discostano troppo dall'ortodossia (ad esempio: di molte non abbiamo più avuto testi tradotti in italiano da quando la loro ricerca le ha portate a dirsi post-cristiane).
Inoltre sono molti gli esempi (Concilium 1/1996, pagg. 60 ss.) che dimostrano come le teologhe femministe non siano gradite sulle cattedre universitarie e come i loro lavori siano sottoposti a un vaglio particolarmente critico.
Questioni aperte
Oggi sono molte le questioni aperte, su cui la teologia femminista sta riflettendo ed esprimendo punti di vista a volte divergenti.
Una di queste è la nozione di soggetto, l’identítà della donna. La teologia femminista nasce, come abbiamo visto, dal movimento delle donne ispirato dall'emancipazionismo, che si proponeva di liberare le donne da tutto ciò che impediva loro il pieno accesso alla società, alla ricerca dell’uguaglianza con l'uomo. Si potrebbe dire che anche questo tipo di femminismo ponesse l'uomo come modello e misura. Esso si ispirava alla nozione del soggetto libero, autonomo, padrone di sé, e questa idea di soggetto diventò il nuovo modello per la donna.
Ora non siamo più sicure/i che il soggetto indipendente, che si innalza sul mondo per dominarlo, corrisponda alla realtà umana e tantomeno all'esperienza delle donne. Allora, la teologia femminista potrebbe essere basata su un ideale che ora viene messo in questione?
Molte sono le proposte sul tappeto, a partire da un "sé molteplice in continuo movimento" a un "sé che si trova solo in un rapporto di interdipendenza con altre e altri": un sé non più considerato essere unitario, bensì luogo delle molteplici differenze.
Un'altra questione è il problema delle differenze. La teologia femminista deve cercare di rispondere alle differenze che esistono tra donne: che cosa significa partire dall'esperienza delle donne se, per molte donne, quell'esperienza non è la stessa o ha significati diversi? Le teologhe nere, ad esempio, mostrano come alcune immagini o simboli usati dalle donne bianche abbiano tutt'altro significato se calati in un contesto di razzismo o di schiavismo. La teologia femminista deve far fronte alla parzialità del suo stesso pensiero e pensare al rapporto che esiste fra la differenza sessuale e le altre differenze che contraddistinguono l'essere umano nel mondo.
Come si può far parlare la differenza sessuale senza, da un lato, nominare la concezione maschile della femminilità e, dall'altro, le visioni classiste e discriminatorie della stessa?
Una terza questione aperta riguarda il rapporto che la teologia femminista ha con la teologia cristiana in genere. La teologia femminista è pluralista, in quanto comprende una pluralità di elaborazioni all'interno sia del movimento delle donne che delle varie confessioni religiose.
La differenza teologica porta a una diversa comprensione di Dio, di Gesù e della sua opera. La teologia femminista, per esempio, invece di pensare a un Dio lontano, totalmente altro dalla nostra realtà, preferisce pensare a un Dio vicino, implicato in modo dinamico nel mondo. Invece di pensare alla morte di Gesù in termini di sacrificio espiatorio, preferisce pensarla (come avviene già in alcune comunità di base) in termini di protesta nonviolenta contro l'ingiustizia. Eccetera...
Elizabeth Green conclude così il suo libro Teolagia femminista:
"Possiamo paragonare la teologia femminista e la realtà che rappresenta al vino nuovo della parabola di Gesù. Il vino nuovo, ci ricorderemo, ha avuto bisogno di otri nuovi. Spesso siamo così attaccati/e agli otri vecchi, familiari, consumati, che non li vogliamo sostituire. Dire Dio in modo diverso talvolta ci spiazza, ci fa sentire insicuri/e. Preferiamo le tradizioni consolidate del maschile, soprattutto se, abbandonandole, abbiamo qualcosa da perdere (un posto, un potere, un prestigio). Ma in questo modo, aggrappandoci agli otri vecchi, perdiamo sia il vino che il contenitore. Ci troveremmo senza un modo di dire Dio a partire dalla nostra esperienza femminile, a partire da una società in trasformazione, a partire dalla consapevolezza della differenza sessuale. 'Il vino nuovo', infatti, ‘fa scoppiare gli otri, il vino si spande, e gli otri vanno perduti'. E' doloroso quando scoppiano le cose vecchie alle quali siamo affezionate, eppure, ci ricorda Gesù, 'il vino nuovo va messo in otri nuovi'. Attraverso la teologia femminista le donne, vasaie di vecchia data, stanno fabbricando degli otri nuovi. Solo in questo modo possiamo invitare donne e uomini a bere del vino nuovo i cui effetti, nelle mani di Dio, sono imprevedibili”.
(continua)