giovedì 6 febbraio 2025

LE PAROLE PER DIRLO

PER ALZARE LO SGUARDO

di DERIO OLIVERO

Vescovo di Pinerolo

 

Oggi sono stato al tempio valdese. Nel culto ho tenuto io il sermone. Mi fa sempre un certo effetto parlare dall’imponente pulpito. Mi ricorda i solenni pulpiti da cui un tempo predicavamo noi cattolici. In alto, con le persone in basso. Lo so, per i valdesi esprime l’importanza e l’autorità della Parola. Ma è quasi inevitabile provare disagio a stare in quel luogo salenne. Al di sopra. Io provo a vincere il disaglo immaginando che quel luogo elevato possa simbolicamente richiamare Colui che sta in Alto. Quel luogo elevato sussurra trascenderiza.

Sto in alto per aiutare i fedeli a guardare in alto, ad alzare lo sguardo. È solo un gesto fisico, ma aiuta il pensiero e il cuore ad aprirsi al verticale, uscendo dal quotidiano sguardo orizzontale. Sto là per aprire uno squarcio al ripiegamento su se stessi. Per andare oltre se stessi è riscoprire una Presereza. E mi piace immaginare che la mia voce “scenda in basso” per aiutare i fedeli ad ascoltare una voce che arriva dal clelo. Un bel modo per andare oltre il ripiegamento della nostra società. Una società che ha camminato tanto, ha fatto passi da gigante grazie alla scienza e alla tecnologia. Se fossimo nati duecento anni fa, una buona parte d noi sarebbe morta nei primi mesi di vlta. Un'altra parte sarebbe stata spazzata via da una semplice infezione, da un'appendicite, da una polmonite. Saremmo vissuti in case fredde, senza ecqua potabile. Buona parte di noi sarebbe analfabeta e senza assicurazione sanitaria. Dunque siamo davvero fortunati. Ma, nello stesso tempo, viviamo in una società dal respiro corto. Una società dalla speranza corta. Pur essendo fatti per sperare, per guardare avanti, per desiderare... non riusciamo a sperare davvero. Anche noi, come gli antichi, stamo ripiegati sul “carpe diem” (cogli l'attimo). “Accontentati di quel che hai oggi e non sperare di più”. “Tiriamo a campare”. “Accontentiamoci, finché c'è un po' di salute”. Siamo finiti in un “neopaganesimo senza passione”. Come dice un bravo teologo: “Ecco la parola d'ordine del neopaganesimo: viviamo meglio le cose buone nella loro precarietà, accettiamole per quello che sono, senza crederle destinate ad una integrità solo sognata. Il neopaganesimo è la scelta di ammettere la possibilità soltanto di una salvezza bassa, ma senza riassegnazione o tristezza... Tutto questo attraverso la pratica di quanto l'uomo è in potere di attuare, ossia mettendo in opera quella che potremmo chiamare una strategia di auto-salvezza... Chi si salva deve ringraziare la propria abilità; chi non si salva deve accusare la propria incapacità” (D. Albarello). In alto su quel pulpito, mi sembrava di aprire uno squarcio. Perché oggi commentare la Parola di Dio significa “aprire uno squarcio”, aprire l'orizzonte. Oggi parlare di Dio è tornato ad essere un atto rivoluzionario. Significa spezzare l’ovvietà, spezzare il muro che ci costringe a tenere lo sguardo basso. Significa dare ossigeno ad una società piena di oggetti e povera di speranza. Significa far sentire una musica che può ancora trasformare il cammino in danza. Significa offrire una tavolozza di colori a persone che, sempre più, dipingono la _v:'rq usando solo il grigio. Perché oggi più che mai la Parole di Dio è luce.

PS.: Ti invito lunedì 27 “In mare aperto” e domentca in Duomo “Lectio divina” (vedi articolo in pagina).

L’Eco del Chisone, 22 gennaio 2025