lunedì 10 marzo 2025

 CARO FRANCESCO D'ASSISI...

 Marco Campedelli

 

Caro Francesco, ho immaginato quando ti chiamavano il "matto". Che cosa fosse la tua follia, non era facile capirlo. Tuo padre, Pietro di Bernardone, ti aveva preso l'armatura più bella e lucente. Lui che nobile non era, ma ricco sì, mercante, voleva un cavaliere che facesse invidia ai nobili di Assisi. Ed è proprio al ritorno dalla guerra con Perugia che ti hanno chiamato il "matto". La gente seria pensa che si possa tornare dalla guerra come si torna da una partita di golf. Sono quelli come il generale Cadorna, macellaio della Corona, che stava nei caffè di Udine mentre i "suoi soldati" nelle trincee marcivano in cancrene di topi e di pidocchi. Dalla disperazione si tagliavano le dita e lui, il generalissimo, li faceva mettere al muro. Fucilati per alto tradimento. Altri finivano nei manicomi, li chiamavano "scemi di guerra". I medici dicevano che erano preda di "tempeste sensoriali", vittime di suoni assordanti, terrificanti della guerra. Nevrosi di centinaia di migliaia di ragazzi di tutta Europa, del mondo.

Così quando ti hanno visto che parlavi con gli alberi, ti hanno detto "il matto". Perché tu sì che le sentivi le voci degli alberi e il loro pianto, quando sotto le bombe stavano diritti e non potevano scappare. Si stringevano, allungando le radici sotto terra, abbracciati. Eri matto perché parlavi con gli uccelli che perdevano la rotta del volo, e ti stringevi ai cani e ai gatti, nudi, disarmati, con il cuore che correva più svelto delle loro zampe. È lì, Francesco, che hai chiamato l'acqua sorella, quando rossa di sangue si lamentava e piangeva, hai chiamato madre la terra, quando perdeva i figli che le venivano piantati nel grembo senza carezze, senza fiori. Eri il matto perché cantavi la bellezza degli alberi quando era perduta, l'allegria della terra quando era in pianto, la tenerezza degli animali quando erano annichiliti dal terrore.

La tua malattia si chiamava immaginazione. E immaginando il mondo lo spingevi a inventarsi di nuovo. Cantavi gli alberi, i fiumi, il vento, così che si innamoravano di nuovo. Ed era come all'inizio, nella prima creazione. E la terra tornava a vestirsi di foglie, e il vento portava i pollini più leggeri, e anche l'acqua fremeva di passione. Così il mondo si rinnamorava. Perfino il lupo ti diventò fratello, perché sapevi bene chi davvero è crudele. Quelli che ordinano la guerra. E i lupi non lo fanno. Così ululavi con frate lupo sotto la luna, come una sirena, un allarme, per dire "riparatevi gli occhi, le mani, bambini, mettevi in salvo".

Hai commosso perfino la morte, Francesco. "Tutti scappano quando io arrivo", ti disse. "Pensano che io sia ladra, vigliacca, pronta a portar via loro la vita, ma anch'io sono stata fatta, messa dentro l'impasto della creazione". Sentirsi dire sorella fu per la morte la prima, unica commozione. "Tienimi la mano, baciami, Francesco", disse. "Ho tanta paura, ti prego". Che scandalo, Francesco, quando abbracciasti quel "lebbroso" di Hiroshima, sotto il fungo atomico, in un acre odore di morte. Ti eri fatto un sacco cucito di beatitudini e facevi capriole verso il cielo.

Quello che ti lacerò il corpo, ti strappò le carni, fino a bucarti le mani con il ferro e il fuoco, fu quando tornarono a dirti "matto" i tuoi, quelli che avevano condiviso all'inizio il tuo sogno. Dicevano che l'amore non si prende sul serio, che fa perdere la testa, fa ammalare. Allora, sentendoti tradito, tornasti dai tuoi fratelli alberi, e chiedesti agli uccelli quale rotta dovevi seguire. Il sole sembrava salire più dolce per non ferire i tuoi occhi malati e la luna ti cullava di notte come una madre.

Poi arrivò la morte e ti baciò sulla bocca. Ci pensò da allora il vento a diffondere la tua divina follia...

 

Adista 22 febbraio