È un gioiello, tranne che per qualche confusione di Gesù con Dio. Franco Barbero
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La crisi della modernità e la ricerca di Dio
Da par suo, Edgar Morin dà il giusto nome alla stagione delle ideologie e al conseguente riflusso di fine secolo che hanno segnato buona parte della storia del ‘900 senza mai trovare un punto di sintesi. “L'aspirazione all'universalità - scrive - corre il rischio di perdere il contatto con il concreto e la volontà di imporre una verità universale può portare al terrore. All'opposto, la difesa del concreto porta a un particolarismo chiuso in se stesso, insieme al mito astratto di una presunta concretezza (il sangue e il suolo)”.
E aggiunge: problemi fondamentali di vita e di morte ora ci sovrastano, siamo nell'era del comune destino dell'umanità e dell'intero pianeta, l'universale si è fatto concreto. (E.M., Ancora un Momento, Raffaello Cortina Editore, pagg.32-33).
Tutte le crisi irrisolte del ‘900 sembra si siano riversate insieme in questo feroce inizio del XXI secolo. Pietà, umanità, diritto, istituzioni faticosamente costruite a costo di tanto sangue, tutto è azzerato, e l'uomo sembra tornato lupo per l'uomo come all'alba della civiltà.
In realtà, la crisi attuale altro non è che il precipitare della crisi della modernità. Il nome di Dio che per millenni, nel bene e nel male, aveva garantito quella sintesi, a partire dall'illuminismo con l'esaltazione mitica della ragione (ben presto calpestata come mai prima e prestata a tutti gli appetiti) è stato relegato a un ente inutile e quindi cancellato del tutto.
Nessuno, come Nietzsche, ha saputo rendere il dramma (la tragedia) della “morte di Dio”: “Noi l'abbiamo ucciso - va urlando il pazzo della Gaia Scienza - io e voi…Che abbiamo fatto sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare, e indietro e dai lati e in avanti? C’è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla?”
Era il 1882, e ci rende tutto lo smarrimento di oggi.
Non sappiamo più dove andiamo, ma ci stiamo andando a grande velocità. Eppure, peraltro verso, lo straordinario sviluppo delle scienze della natura ci fanno scoprire ogni giorno di più le magnificenze di questo mondo che Dio ha preparato per noi e che noi rischiamo di trasformare in un inferno.
A novant’anni, il nome di Dio ti martella dentro più forte dell’apprensione per la salute che viene a mancare o del cruccio per i vuoti o le cadute negli lunghi anni che hai vissuto. Tutto è secondario e di poco conto di fronte al dono di vivere le tue giornate al cospetto di Dio, semplicemente, senza sforzo né ansia. E la regola d'oro come abito mentale: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. E la fiducia in Dio, qualsiasi cosa ti accada.
Avere sperimentato anche per una sola volta la leggerezza e la dolcezza del giogo di Cristo ti lascia una nostalgia infinita.
Temi ricorrenti occupano la mente nell'ozio delle giornate. Mi affascina la stupefacente parabola dell'essere umano che germoglia dalla terra, si evolve nei millenni e, come per incanto, mette le ali e da semplice prodotto diventa l'arbitro dell'universo. Dalle meraviglie della creazione, la modernità trionfante aveva tratto motivo per mettere Dio fuori gioco. Ora che l'orizzonte si è fatto cupo e lo strapotere della tecnica ci appare più minaccioso che rassicurante, il vecchio razionalismo ha finito per ritornare laddove il pensiero classico era riuscito ad arrivare, riconoscendo che il male e la morte appartengono al destino immutabile dell'umanità. Né salvezza nè redenzione.
Da qui, il passaggio alla condizione post-moderna, che colpisce soprattutto le generazioni più giovani, è immediato. È il tempo dell'isolamento e della disperazione per quanti non si accontentano di arraffare quanto più possibile prima che la morte arrivi. Ma è anche il tempo della ricerca di un oltre, di una speranza di salvezza per chi sente di essere fatto per la vita e non per la morte.
Duemila anni fa veniva l'unica vera rivoluzione che il mondo abbia conosciuto. Imprevista e forse imprevedibile. Della quale veniamo via via scoprendo l'immensa portata.
Dio, che è uno, è al tempo stesso un Dio plurale: le tre persone trovano ciascuna identità e pienezza nelle altre due. Perché Dio è Amore, e l'Amore Vivente, ci testimonia Gesù Cristo, e Amore vuol dire relazione, vuol dire comunione.
E nella relazione si definisce anche l'essere umano fatto a immagine di Dio e nella relazione vive tutto l'universo.
Amare non riguarda semplicemente la sfera morale ma investe la struttura stessa dell'essere umano; così come non amare non è solo la violazione del più grande dei comandamenti che tutti gli altri comprende, ma comporta il totale fallimento della nostra esistenza e lo sconvolgimento di tutto l'ordine naturale.
A partire da questa spiazzante rivelazione, la cifra con la quale, da sempre, l'umanità ha interpretato il suo stare al mondo è radicalmente cambiata: non più ‘Io’, ma ‘Noi’ è la chiave di volta per comprendere noi stessi, l'universo e Dio. “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!”, ci dice Gesù. “Guai ai soli”, ammoniva già L'Antico Testamento.
Tutte le antinomie che hanno origine dalla dissociazione dell'Io con il Noi si stemperano e acquistano un nuovo significato: universalità e concretezza, teoria e prassi, essere e divenire, immanenza e trascendenza… tutti gli irriducibili del pensiero, della vita e della storia trovano soluzione, verità e senso nella pratica dell'amore redente in Gesù Cristo.
Non possiamo scandalizzarci se Dio si è fatto uomo; se è realmente presente nell'Eucaristia; se quando due o tre si riuniscono nel suo nome egli è lì. Non è mitologia perché Dio è Amore, e Amore è comunione. Fino a quando Dio non sarà tutto in tutti.
Mi piace concludere questo guazzabuglio di pensieri citando e facendo mio quanto Karl Rahner confidava al suo intervistatore (Krauss) qualche anno prima della morte (morirà nell'84): “Sia che il mondo venga dilaniato per lo scoppio di una bomba atomica, sia che continui a svilupparsi in mezzo a tante miserie economiche, tutto ciò sarebbe ugualmente pauroso e terribile; ogni uomo è obbligato, davanti all'eterno giudizio di Dio, a fare tutto il possibile affinché queste cose non si verifichino: ne dovrà rendere conto. Ma se nonostante ciò l'umanità o un popolo dovesse precipitare in un abisso, anche allora io sarei fermamente convinto e spero di rimanerlo sempre che pure una simile caduta andrà sempre a fermarsi nelle mani di un Dio infinitamente buono, infinitamente potente.
Salvatore Imbarrato
P.S. . A 90 anni mi domando: io, ho fede? Ho mai avuto veramente fede? Ma la domanda ha poco senso, perché la fede riguarda l'essere non l'avere. La fede è relazione costante, cercata, coltivata con la parola di Dio vivente in Gesù Cristo.
Credere è anche prendere sul serio questo mondo; altrimenti l'ultima parola rimarrebbe al male e alla morte. Credere non è alienazione, ma piuttosto immedesimazione con le sorti del mondo.
Fondamento della fede in Gesù Cristo, ma è affidata alle nostre mani fragili e malsicure: “Credo, Signore, aiuta la mia incredulità”.
Questa oggettiva precarietà mi rende immune da ogni forma di fanatismo confessionale, e mi fa sentire più vicino a tutti quelli che non condividono la mia fede.
Tutto è dono, tutto è grazia- Ma l'ultima parola è nostra, solo nostra. Ecco, sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me. Solo noi possiamo aprire quella porta.
La fede è supportata dalla conoscenza, èe ancorata al pensiero e alla riflessione. Per sant’Agostino, se la fede non è pensata e argomentata, è nulla”. Ma Dio è sempre al di là delle nostre argomentazioni.
Gesù ci dice che chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non entrerà in esso. Il bambino tutto riceve come dono e tutto si dà. Poi, nell’agone del mondo il suo Ego si corrobora e perde la misura di se stesso. Ritornare responsabilmente alla condizione del bambino è il traguardo di una vita riuscita. È il cammino dei santi.
La fede è invocazione, un grido di aiuto nel naufragio dell'esistenza: “Che fai, Signore dormi? Non vedi che siamo sommersi dalle onde non distinguiamo più il giorno della notte?”. “Vieni Santo Spirito e manda dal cielo un raggio della tua luce”. Se leggiamo in latino questo antico invito sentiamo ancora vibrare le voci di tante generazioni di credenti nel volgere dei secoli invocare da Dio vita e salvezza e la nostra voce unita alla loro. “...Sine tuo numine nihil est in homine, nihil est inoxium (niente è innocente). Lava quod est sordidum, riga quod est aridum, sana quod est saucium…”. Sana ciò che sanguina!
ROCCA 1 aprile 2025