Un’esperienza mistica
Secondo il monaco tedesco Willigis Jager, il mistico non usa preghiere in forma di dialogo con la divinità, non parla con Dio, perché rifiutando ogni possibile dualità egli sa che ciò che conta non è tanto la conversazione tra amanti, ma il momento dell’amplesso amoroso: essere uno con tutto dell'amato. Dialogare con un dio sarebbe come se un individuo, perso nell’abbraccio del suo amante, gli scrivesse al contempo lettere d'amore.
Nella meditazione le parole cessano, si gode solamente dell’unione, che non è da provocare, ma qualcosa di cui diventare consapevoli: io sono già ciò che desidererei essere. «Tu sei ciò che stai cercando», ci ricorda la tradizione zen, e questa nuova dimensione è così descritta nell’opera di Jager L'eterna saggezza:
Esiste per il mistico una sorta di nuova dimensione, quella del non-sapere, del vuoto, che sta al di là dell'attività dell’io. Chi si muove su questi livelli più profondi e più ampi della coscienza, riceve risposte del tutto nuove e sviluppa una nuova comprensione della vita. Muoversi su livelli più profondi significa esperire ciò che siamo realmente: a-temporali, tutt'uno col fondo ariginario dell'essere. Solo allora potremmo rispondere alle domande sulla vita e la morte.
Jäger sottolinea come tutti i mistici richiamino l’attenzione sul fatto che arriva il momento in cui la riflessione su Dio, e dunque anche ogni pio esercizio religioso, devono essere abbandonati se si intende proseguire sul cammino contemplativo. E a questo proposito si appella, ne L'essenza della vita, al mistico e teologo Taulero, vissuto nel XIV secolo:
Se non sei giunto in questo fondo, non ci arriverai con un modo di operare esteriore. Non ti sforzare inutilmente! Una volta che hai vinto il tuo uomo esteriore, entra nella tua interiorità, entra in te stesso e cerca questo fondo: non lo troverai nelle cose esteriori, nelle istruzioni e nei progetti...
A colui che medita accade qualcosa: si risveglia in lui la sua autentica natura divina, il suo vero sé, la vera pasta, la stoffa di cui è costituito. Ma occaorre fare attenzione: il risveglio non è frutto di una ricerca. Nella meditazione non si cerca nulla, perché non c'è nulla da cercare. È il divino stesso che germoglia e che prende forma, addirittura coscienza, attraverso di noi. Non siamo noi a esserci messi alla ricerca di Dio, ma è piuttosto Dio che “cerca” risvegliandosi in noi. «E noi non possiamo “fare” niente, possiamo solo allentare la presa, in modo che il divino possa sbocciare in noi», conclude Jäger. Possiamo giungere solo a lasciarlo in pace. Il nostro vero sé, la nostra autentica natura, emergerà in noi se non la ostacoliamo. A quel punto non siamo più noi che viviamo, il nostro piccolo ego centrato, ma solo lui, il Dio vivo che in noi si espande; come ha detto san Paolo: «Non sono più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Una volta che si sarà risvegliata in noi l’autentica natura divina, ogni dualità verrà meno. Si farà finalmente esperienza di essere uno nell’Uno, una cosa sola col tutto, così come l'hanno sperimentato i mistici d’Oriente e d'Occidente ed è descritto nell’Upanishad: «Chi venera una divinità considerando che essa sia altra da sé: “Altri è il Dio e altri sono io”, costui non sa. Per gli dèi egli è come una bestia».
Molta gente semplice
immagina Dio lassù e noi quaggiù.
Ma non è così: Dio e io siamo una cosa sola
Meister Eckhart
da Paolo Scquizzato “Se non lo cerchi lo trovi”.
Edizioni Paoline, € 11.00