sabato 21 giugno 2025

Questo articolo ci è stato segnalato da Lorenzo Tommaselli.

“Dio non può mettere uno dei suoi figli in un forno”:
Torres Queiruga e la visione dell’inferno dei teologi progressisti

José Carlos Enríquez Díaz

Nel pensiero teologico contemporaneo, uno dei temi più dibattuti e messi in discussione dai teologi progressisti è la nozione tradizionale dell’inferno come punizione eterna. All’interno di questo movimento, Andrés Torres Queiruga, uno dei teologi più influenti del mondo spagnolo, sostiene una posizione che rompe con secoli di dottrina classica: Dio non può condannare eternamente nessuno dei suoi figli. Quest’affermazione non è semplicemente un desiderio emotivo o un’intuizione morale; si basa su una profonda riflessione sulla natura di Dio come Amore incondizionato.

Torres Queiruga racconta un aneddoto che illustra la sua convinzione in modo toccante e accessibile. Una suora disse una volta a una delle sue allieve che, se si fosse comportata male, Dio l’avrebbe portata all’inferno.

In risposta, Torres Queiruga chiese alla suora: “Pensi che tua madre possa metterti in un forno e bruciarti viva?”. “Mia madre no!”, rispose scandalizzata. “Allora nemmeno Dio può farlo, perché Dio è molto più madre di tua madre”.

Questo esempio, che può sembrare infantile o ingenuo, contiene una profonda verità teologica: se noi, esseri umani imperfetti, non condanneremmo eternamente una persona amata, come possiamo pensare che un Dio perfettamente buono e amorevole lo farebbe?

Per Torres Queiruga il concetto di inferno come luogo di punizione eterna e irreversibile contraddice il nucleo del messaggio cristiano: la salvezza universale e la misericordia divina. Nella sua opera e nel suo pensiero, il teologo galiziano insiste sul fatto che un’immagine di Dio che agisce peggio del peggiore degli uomini non può essere sostenuta. La dottrina dell’inferno eterno, così come è stata insegnata per secoli, deriva più dalla paura che dal Vangelo, più da una visione autoritaria di Dio che da un Dio che “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 18,23).

Anche altri teologi progressisti, come Xavier Pikaza, condividono questa visione. Egli ha sottolineato che l’inferno “è un mito religioso che è servito per secoli a mantenere l’ordine sociale ed ecclesiastico attraverso la paura”. Per Pikaza l’inferno non è una realtà creata da Dio, ma una possibilità umana di chiudere il proprio cuore all’amore. Ma anche così, Dio non cesserebbe mai di offrire la salvezza.

Invece di intendere l’inferno come un luogo fisico con fuoco reale e tormento eterno, molti teologi liberali contemporanei lo interpretano come una metafora dell’allontanamento volontario da Dio. A partire da questa prospettiva, l’inferno non sarebbe una punizione imposta dall’esterno, ma una condizione che gli esseri umani possono sperimentare quando rifiutano il bene, l’amore e la verità. Ma anche in questo caso la possibilità di redenzione non scompare mai. L’inferno, secondo questa teologia più aperta, non è eterno perché l’amore di Dio non si esaurisce. Come scrive il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, vicino ai progressisti su questo punto, sebbene non sia in senso stretto uno di loro, “ci si può ragionevolmente aspettare che l’inferno sia vuoto”. Questa speranza non si basa su una visione ingenua dell’umanità, ma su una comprensione radicale della grazia di Dio come universale, perseverante e redentrice.

A un livello più tecnico, i teologi progressisti insistono sul fatto che molte espressioni bibliche sull’inferno – come “fuoco eterno” o “pianto e stridore di denti” – debbano essere intese nel loro contesto apocalittico e letterario, non come descrizioni letterali dell’aldilà. L’esegesi moderna, supportata dalla critica storica e letteraria, sottolinea che queste immagini erano comuni nella letteratura ebraica del Secondo Tempio e avevano un carattere esortativo, non dogmatico.

Torres Queiruga applica qui un’ermeneutica coerente con la sua visione della rivelazione: Dio non impone dottrine finite, ma si manifesta nella storia attraverso simboli, metafore e processi umani. In questo contesto le descrizioni dell’inferno rispondono più alla pedagogia religiosa del tempo che a una realtà teologica definitiva.

I difensori dell’esistenza dell’inferno eterno citano spesso passi del Vangelo in cui Gesù parla di “fuoco inestinguibile” o di “pianto e stridore di denti”. Tuttavia Torres Queiruga e altri teologi progressisti ci ricordano che questi passi dovrebbero essere letti in chiave simbolica ed escatologica, non in chiave letteralista. Gesù parlava per parabole, con immagini suggestive, non per descrivere la geografia dell’aldilà, ma per esortare a una conversione del cuore nel presente.

Inoltre, se prendiamo sul serio l’affermazione “Dio è Amore” (1 Gv 4,8), l’intero messaggio cristiano cambia il suo asse. Non si tratta più di obbedire per paura della punizione, ma di vivere aperti all’Amore, confidando che questo Amore è più forte del peccato, più forte della morte e certamente più forte di qualsiasi inferno.

La teologia dell’inferno eterno ha plasmato l’immaginario cristiano per secoli, generando sensi di colpa, angoscia e paura. Oggi molti credenti – ispirati da voci come quelle di Torres Queiruga, Pikaza, von Balthasar e tanti altri – stanno riscoprendo un’immagine più evangelica di Dio, che non punisce in eterno, ma attende in eterno.

Come dice lo stesso Torres Queiruga: “Se l’inferno fosse eterno, il perdono di Dio sarebbe limitato e allora Lui non sarebbe Dio. Perché l’amore non può avere limiti, e Dio è amore”.

Anche il teologo italo-tedesco Romano Guardini, con una sensibilità diversa ma compatibile, riconosceva che l’inferno non può essere pensato come una semplice punizione esteriore, ma come la conseguenza ultima di un rifiuto libero e personale. Per lui la tragedia dell’inferno non è la dannazione, ma la negazione dell’incontro con Dio, frutto di una libertà usata male. Tuttavia, anche in questo estremo, Guardini conserva la speranza che il mistero della grazia possa, in qualche modo, raggiungere anche l’anima più indurita, poiché Dio non si stanca mai di chiamare.

In tempi in cui molte coscienze continuano ad essere segnate dalla paura, dal senso di colpa o da un’immagine punitiva di Dio, Andrés Torres Queiruga si erge come una voce profetica e liberante, profondamente radicata nel Vangelo. La sua teologia non è una rottura con la fede, ma un ritorno al suo centro più genuino: il Dio di Gesù, che è Padre, Madre e Amore incondizionato.

Con un’intelligenza luminosa, un coraggio non comune e una fede radicalmente fiduciosa, Torres Queiruga ha saputo tradurre la tradizione cristiana negli aspetti chiave del mondo contemporaneo senza sacrificarne profondità o rigore. Dove altri vedono condanna, lui propone speranza. Dove altri scatenano l’inferno, lui disegna orizzonti di redenzione. Grazie al suo pensiero, molti credenti hanno riacquistato la fede in un Dio veramente degno di essere amato, non temuto. Un Dio che non brucia i suoi figli, ma li abbraccia fino all’ultimo respiro.

Per questo la sua teologia non dovrebbe essere solo letta: dovrebbe essere apprezzata. Perché, come ogni autentica profezia, non grida a partire dall’ideologia, ma dall’amore. E questo – in questi tempi di tanta oscurità religiosa – è già una luminosa forma di salvezza.
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Articolo pubblicato il 5 maggio 2025 nel sito «Ataque al poder» (www.ataquealpoder.es).
Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli