sabato 2 agosto 2025

da ROCCA del 01/07/2025
Un bel lavoro per noi vecchi
di Enrico Peyretti

Oso parlare anch'io della vecchiaia, perché ci sono ben dentro. Mi pare che la vecchiaia sia un punto di vista elevato per guardare la vita indietro, avanti, attorno e dentro.
Guardare indietro: la memoria del vecchio è ben fornita. Può perdere cosette recenti, ma è un patrimonio di storie, da non portarsi tutto via nell'aldilà, ma da consegnare a chi viene, se vorrà. Raccontare, scrivere memorie, familiari o sociali, è un servizio che i vecchi possono fare, se la gente non vive rattrappita sul presente passeggero. Non sarà facile: a tanti non interessa. Ma si può offrire. Il vecchio ha ricevuto molto, dalla sua casa come dalla città, da maestri vicini, da esperienze lontane: è un bene pubblico, da restituire. Ha vissuto dolori e passaggi oscuri superati e le ferite che lasciano, ha il gusto di dolci ricordi, conosce le attese e le ricerche dei tempi sospesi. Può insegnare come si diminuisce e si muore con buono spirito. Insomma conosce la vita, che i giovani affrontano ignari. Se ci fosse colloquio tra le generazioni, la società sarebbe più ricca di cose che valgono. Ma è una scuola poco frequentata. Anche il vecchio ha ancora da imparare: il mondo è un altro, il suo non c'è più, ma i diversi tempi sono legati, nel bene e nel male. Parlarsi attraverso queste frontiere sarebbe utile a tutti. Si dedica poco tempo per questa unità di tempi.
Poi, da vecchio, devi guardare avanti, più di prima. Che fare del tempo che ti resa? Conosco due scelte, su cui si può discutere: meglio riposare, interiorizzare; oppure lavorare ancora, per coltivare e restituire quanto hai ricevuto? Io propendo per la seconda scelta, se si può, ma comprendo anche la prima. Ho visto entrambe, nei vecchi che mi hanno preceduto. Lo sbaglio è ripiegarsi come un tappeto consumato, morire in anticipo, vedere solo il vuoto attorno e davanti. La tristezza del vecchio è contagiosa. Certo, davanti c'è la morte, più vicina che a tutti gli altri. Si tratta di imparare a morire, come si imparava a vivere.
Ti fanno scuola quanti ti precedono, anche più giovani di te (papa Francesco aveva 1 anno meno di me) e ti preparano un posto nella loro comunità. Nel tempo della vecchiaia, morire è l'esperienza più importante che posso ancora fare. Sarà interessante e anche difficile. Ma ci si prepara vivendo tutto il possibile. Quel che fa paura è la morte lunga, tormentosa. Prego di avere una morte breve, dopo il dono della vita lunga. E chi non la chiede questa grazia? Credo che non sia ingratitudine a Dio cercare di gestire liberamente il nostro morire. Il suo dono è affidato alla nostra responsabilità come ogni dono. Ma il vecchio ricordi che, a tutte le età, c'è sempre altro da imparare, novità da riconoscere. Almeno il digitale, in cui è spesso neo-analfabeta. E continui a pensare: cambiare idee è intelligenza. 
Tra guardare indietro e avanti, c'è da guardarsi attorno e dentro di noi: chi siamo per gli altri? Come stiamo con loro? La società frenetica vede i vecchi come scarti, prodotti a scadenza, pesi sociali, mantenuti, non contribuenti. Oppure sono compatiti, ma lasciati soli, in deposito. Stiano attenti, i vecchi, perché dipende anche da loro: si presentano musoni e arrabbiati, offesi, o addolciti dal tempo? Si sentono finiti o aperti al mistero? 
Privilegio dei vecchi è sperimentare sia che il tempo è limitato, sia che la vita non basta a se stessa, preme sui limiti. E' come un ventre gravido, geme per dare frutto. Contiene un mistero nuovo, come quando nascemmo, bambini davanti a tutta la novità. Quel passo sarà un ciglio sul vuoto o un valico su un orizzonte? Gesù nel morire donandosi, ha promesso vita. Siamo pronti tanto a darci quanto ad essere accolti?