da Il Fatto Quotidiano del 19/10/2025
“Sapevano dove ero: è un salto di qualità.
Il momento più duro”
di Thomas Mackinson
“Scusami, non ce la faccio. Sono in Procura”. Due occhiaie peste, la giacca di pelle nera attorno al braccio, una bottiglietta d’acqua stretta come una certezza nel giorno in cui tutto sembra scivolare e tutti vorrebbero fermarlo, sapere, sfiorarlo. Sigfrido Ranucci, otto anni alla guida di Report, passa la giornata tra deposizioni e redazione. Due linee corrono parallele e quasi si toccano: da una parte la dinamica dell’attentato, dall’altra il campo minato delle pressioni politiche che avvolgono la trasmissione. Giovedì sera, un’esplosione rompe la quiete di Campo Ascolano, alle porte di Roma. “Non ho visto nulla – spiega Ranucci – Abbiamo sentito un’esplosione alle 22:17. Lo possiamo dire con certezza perché c’è l’audio di un vicino che stava registrando un vocale: pur essendo due stabili più lontano, si è sentito un botto tremendo”. È la stessa zona dove, nel giugno 2024, la scorta aveva trovato due proiettili da P38, “dietro un cespuglio, in una posizione anomala”.
Questa volta, dice, è “diverso”: “Sapevano dove passo io, dove passa mia figlia. E sapevano quando ero rientrato a casa”. L’esplosione ha “buttato giù una parte di un edificio”, ed è avvenuta “in un posto aperto, vicino a un cancello”. Un testimone avrebbe visto “un uomo incappucciato” nei pressi. Tutte le denunce, per ora, sono contro ignoti. Esiste anche un fascicolo collegato alla ’ndrangheta: il collaboratore Luigi Bonaventura avrebbe sentito dire in carcere che Ranucci “era un uomo segnato”. La domanda delle cento pistole, o da un chilo di esplosivo nascosto sotto casa: i maggiori sospetti? “Abbiamo tentato di ricostruire un po’ tutte le vicende. È complicato capire bene quale possa essere la pista, ma con i magistrati abbiamo delineato un contesto. Vediamo se ci saranno riscontri”. Le tracce “sono quattro o cinque, ma riconducono sempre agli stessi ambiti”, compreso “l’ambiente dell’eversione di destra criminale”. Se è un messaggio, “questo lo è. Forse riguarda qualche inchiesta futura che però riallaccia vecchi scenari”.
Mentre gli investigatori raccolgono i verbali, è impossibile non pensare al clima in cui Report lavora. La seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, che ieri dispensava parole di solidarietà, lo aveva querelato parlando di “fango”. Querela, come tutte, archiviata anche in appello. Ranucci oggi può dirlo: “Non eravamo calunniatori seriali, lo dimostra la nostra storia. Non ho mai perso una causa, ho la fedina penale pulita”.
Poi c’è l’altro fronte, quello interno alla Rai. “È venuto a trovarci anche l’amministratore. È stato importante sentire i colleghi e gli amministratori vicini. Credo che dai tempi di Costanzo non accadesse una cosa del genere”. Poi il tono si fa più amaro: “Più che isolamento, è il momento più duro. Mai nella storia di Report ci sono stati tagli così”. La messa in onda spostata dalla storica domenica sera al lunedì, i contratti centellinati, la durata ridotta, le puntate tagliate, i budget sforbiciati e perfino la soppressione degli spot pubblicitari di lancio della nuova stagione: l’impressione di un sabotaggio esercitato per via “burocratica”. Nel giorno della paura balena un filo di speranza: “Io spero – e ho anche la sensazione – che questo fatto possa riaprire un dialogo all’interno della Rai, a vantaggio della qualità del servizio pubblico e di una trasmissione storica come Report, che merita il massimo rispetto”. E intanto si prepara a tornare in onda il prossimo 26 ottobre. Con le stesse mani che hanno contato i proiettili e ripreso lamiere divelte, Ranucci sfoglia le carte delle prossime puntate: le stragi di mafia, ’ndrangheta, fondi pubblici, il business dell’eolico, i fondi alla cultura e quelli sporchi dietro la guerra e l’occupazione di Gaza. Le inchieste che continuano a far tremare chi preferirebbe il silenzio.