lunedì 29 dicembre 2025

da Mosaico di Pace - 11/2025

Silenziate

In Afghanistan sono vietati libri scritti da donne. La voce di una giovane studentessa.

Intervista di Marcella Orsini


Nonostante gli sforzi della Campagna internazionale per il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine di diritto internazionale, in Afghanistan continuano le persecuzioni a danno di donne, ragazze e bambine. Questa volta, il tribalismo repressivo del regime talebano si è scagliato contro le fonti del sapere e della conoscenza nelle Università, dove è stato imposto di eliminare dall’insegnamento e dallo studio i testi scritti da donne. Sono stati vietati 140 libri scritti da donne ed è stato proibito insegnare i diritti umani. La connessione a Internet è stata rallentata, a fine settembre anche sospesa per settimane, per limitare il rischio di “atti impuri” e impedire alle ragazze di studiare da casa. Milioni di afghani sono stati tagliati fuori dal mondo: senza voce, senza connessione, senza istruzione. Avendo scelto con forza e determinazione da che parte stare e di dare voce alle donne silenziate dalla violenta repressione di ogni forma di vita e di libertà, abbiamo raggiunto una giovane attivista afghana tra le più impegnate nella difesa del diritto all’istruzione delle ragazze e delle donne nel suo Paese, per farci raccontare la reazione e la risposta delle attiviste al nuovo ordine di divieti nel nome del “codice morale” imposto dai talebani.

Grazie Meryem (ndr nome di fantasia) per aver accettato di parlare con noi. Ti chiedo, come persona e come attivista, cosa hai provato immediatamente alla notizia della messa al bando dei libri scritti da donne e della proibizione dello studio dei diritti umani all’interno delle università afghane?

Ho provato dolore e rabbia. Secondo me i libri scritti da donne sono voce e memoria di chi spesso non ha potuto parlare. Vietare quei libri significa spegnere una parte fondamentale della nostra identità. E proibire lo studio dei diritti umani è un modo per cancellare la speranza di un futuro più giusto. Ho pensato alle ragazze che in Afghanistan avevano il sogno di studiare e che ora vedono le porte chiuse davanti an loro.

I talebani proseguono nella violazione dei diritti umani di ragazze e donne, mirando di fatto a cancellarle dalla vita pubblica e adesso culturale. Qual è, secondo te, la ragione?

Credo che la ragione sia il controllo. Hanno paura delle donne libere, perché una donna istruita può cambiare la società, può insegnare ai suoi figli a pensare, a chiedere giustizia. Vogliono togliere voce alle donne, perché sanno che senza di noi la società rimane debole e facile da dominare.

Esiste un movimento internazionale o locale di attiviste difenditrici del diritto all’istruzione, di cui tu fai parte? Quali azioni sviluppate?

Sì, esistono movimenti e reti di donne che continuano a lottare, anche in silenzio. In Afghanistan molte attiviste rischiano la vita per insegnare nelle case o per creare spazi segreti di apprendimento. All’estero, come qui in Italia, cerchiamo di far sentire la loro voce, di raccontare al mondo cosa succede, di fare pressione politica e non permettere che la loro sofferenza venga dimenticata.

Credi che sia possibile raggiungere un livello di consapevolezza e di pressione nella società civile, anche a livello politico, sia in Afghanistan che nel resto del mondo?

Io credo di sì, anche se è difficile e richiede tempo. La società civile ha un ruolo fondamentale: se continuiamo a parlare, a denunciare, a non rimanere in silenzio, possiamo creare pressione anche sui governi. In Afghanistan la voce delle donne non si spegnerà mai e nel mondo è importante che le persone capiscano che i diritti delle donne afghane non sono una questione “lontana”, ma riguardano la dignità di tutte e tutti.