sabato 19 gennaio 2013

ANCORA SU PAOLO

MAURO PESCE, L'esperienza religiosa di Paolo, Marcelliana, Brescia 2012, pp. 160, € 14.
Il sottotitolo esplora l'ambito della ricerca del nostro Autore: " La conversione, il culto, la politica" con la serietà e l'audacia che lo caratterizzano.
Pesce parte dalla constatazione che "per ritrovare il vangelo del Paolo storico è necessaria un'opera di ricostruzione … Sono poi convinto che in Paolo non ci sia nulla che travalichi la cultura giudaica e che egli viva in un momento in cui i seguaci di Gesù non fanno parte ancora di una religione diversa da quella giudaica. L'identità dei seguaci di Gesù nelle chiese paoline è un'identità plurima, molteplice, che trova concetti solo giudaici per esprimersi: i seguaci di Gesù sono chiamati da Paolo "i santi", "i fratelli", categorie che ci riportano all'interno della cultura giudaica" (pag. 11).
E' diventato un luogo comune parlare della "conversione" di Paolo. "Alcuni celebri dipinti di età moderna costituiscono in qualche modo una manifestazione plastica di questo racconto … Nella raffigurazione di Caravaggio, Paolo ci appare caduto da cavallo, folgorato da una luce divina che lo atterra nel momento stesso in cui sta agendo con forza per perseguitare la chiesa nascente … Il fatto è che questa iconografia moderna ha rappresentato per lunghi secoli non solo la conversione di Paolo, ma anche i rapporti tra ebrei e cristiani, tra ebraismo e cristianesimo. L'accecamento di Paolo è simile a quello della Sinagoga, rappresentata cieca nell'iconografia medievale.
Cristo è la luce, l'ebraismo rappresenta le tenebre. La conversione è il passaggio dalla fede ebraica a quella cristiana" (pag. 14). Ne consegue che "gli ebrei debbono convertirsi al cristianesimo" (pag. 14). Oggi gli studi biblici, a partire da una rilettura del triplice racconto degli Atti degli Apostoli, ci permettono di "comprendere l'esperienza di Paolo alla luce del suo tempo" (pag. 16). Tali studi sono pressoché "concordi nell'affermare che non si può considerare la conversione di Paolo nel vecchio senso di un passaggio di religione. Di una conversione dall'ebraismo al cristianesimo, per Paolo, non si può parlare … Bisogna, anzitutto, dire che Paolo non si è mai convertito" (pag. 17), cioè fatto cristiano. L'esperienza dell'"apparizione" di Gesù, cioè l'incontro profondo con il messaggio di Gesù, determinò un cambiamento radicale nella sua vita. Fu l'annuncio della risurrezione di Gesù ad aggregare Paolo ai discepoli del nazareno: "Ma in ogni caso la fede nella risurrezione di Gesù non provoca un cambiamento di religione". Paolo era fariseo e già credeva nella risurrezione finale: "Paolo, quindi, non cambia religione per credere in Gesù, ma – al contrario – diventa seguace di Gesù proprio perché rimane nella sua religione di prima e di sempre. Il Dio che gli rivela Gesù è il Dio biblico ebraico in cui egli credeva prima" (pag. 21). "Se Gesù era risorto, significava che la fine di questo mondo era iniziata, perché era iniziata la risurrezione dai morti" (pag. 22). "Egli ragiona da buon giudeo tradizionale. Anche da questo punto di vista, Paolo resta un giudeo e non diventa un cristiano, non cambia religione … In sostanza, l'idea che emerge dalle ricerche recenti, è che Paolo vive e interpreta l'esperienza della rivelazione che cambia la sua vita come un fatto interno alla sua esperienza giudaica. Non si tratta di qualcosa che lo faccia uscire dal giudaismo, ma invece di qualcosa che lo orienta a prendere una strada precisa all'interno del giudaismo stesso …" (pag. 25). Paolo vede nella rivelazione di Gesù, cioè nella recezione del messaggio dell'ebreo Gesù, "la soluzione del problema centrale del giudaismo del suo tempo: quello di una tendenza universalistica frenata dal particolarismo della Torah biblica "(pag. 27). Le letture storiche susseguenti, in cui Paolo diventa l'oppositore del giudaismo, sono frutto di esegesi storicamente decontestualizzate: "Ai tempi di Paolo il cristianesimo non esiste" (pag. 82).
"Quando cadrà l'attesa della fine, inizierà l'interpretazione ecclesiastica di questi passi e scomparirà il Paolo storico" (pag. 86). L'Autore più e più volte ribadisce che "Paolo è un giudeo e le comunità paoline sono comunità che non fanno parte di una religione diversa da quella giudaica" (pag. 82).
"Se le cose stanno così, se il Paolo storico è diverso dal Paolo successivo, la conseguenza in qualche modo paradossale ma drammatica è questa: che il Paolo storico non è veramente un pilastro delle origini cristiane e del pensiero cristiano. Paolo è in qualche modo morto dopo le sue sette lettere sicuramente autentiche. Chi legge le lettere di Paolo alla luce del Nuovo Testamento – come testo canonico considerato unitario teologicamente – non legge il Paolo storico, ma un Paolo interpretato e modificato" (pag. 81).
I libro di Pesce procede ponendo problemi solitamente elusi prima dello sviluppo della teologia del pluralismo religioso.
Per Paolo il compimento dell'atto morale (per lui l'obbedienza alla legge) in sé non è più sufficiente. In sostanza senza Cristo Gesù, il messia Gesù, "è impossibile diventare giusti agli occhi di Dio" (pag. 109). La mediazione di Gesù è necessaria per la salvezza "Ma, in realtà, stabilire che la salvezza viene per la fede in Gesù Cristo restringe proprio la salvezza a quelli che credono in lui. Cioè toglie universalità al credere che non ha più come oggetto Dio solo, ma soprattutto Cristo. Nel momento in cui si pone questa affermazione, immediatamente si eleva una differenza, si precisa un'esclusione, si crea un gruppo esclusivo. Tutt'altro che transculturale … Una contrapposizione che ha attraversato tutta la storia occidentale e continua ad affliggerla in assenza, tutt'ora, di una adeguata risposta alla questione ebraica da parte cristiana" (pag. 110). Per Paolo la legge – Torah non perde alcun valore; essa conduce a Cristo.
Mauro Pesce affronta poi la questione del perdono dei peccati: "In sostanza per Gesù, ottenere la remissione dei peccati da parte di Dio è possibile e non c'è bisogno di alcuna espiazione … Gesù non media il perdono dei peccati. Per Paolo, invece, la mediazione di Gesù Cristo è imprescindibile …" (pag. 114.
Si termina la lettura di queste pagine, assai impegnative e forse troppo poco sfumate, con la consapevolezza di dover fare i conti con un Paolo "diverso" da quello che solitamente la predicazione cristiana ci ha presentato.
Egli resta fino alla fine un credente ebreo che non avrebbe mai "divinizzato" Gesù, ma anche un ebreo-giudeo che, con il suo rigoroso scostarsi da alcuni elementi tradizionali dell'ebraismo, non poté non meritarsi la "patente dell'eretico" dentro la sua tradizione religiosa. Farne un cristiano sembra davvero troppo.
In ogni caso consiglio vivamente la lettura di questa opera recente che pone interrogativi ineludibili, ma spesso assolutamente sottovalutati anche nella lettura dei testi paolini autentici.
Noto con un certo disagio che su questi interrogativi si preferisce glissare.
Franco Barbero