martedì 26 luglio 2022

PICCOLO SEGNALE DI INIZIO

 L’ India “apre” alle caste

una donna di origine tribale scelta come presidente

di CARLO PIZZATI

È la prima presidente che viene dalle popolazioni tribali radicate in India da prima di tutte le migrazioni storiche. Sono i più poveri, quelli alla base dell’imponente piramide di caste, i diseredati, i maltrattati. Vogliono preservare le loro lingue, gli usi e i costumi. Ora avranno un’alleata in più. Una di loro. La neoeletta presidente indiana Droupadi Murmu viene da Uparbeda, paesino dell’Odisha, al confine con la foresta del Jharkhand, 4 case sperdute, dove si cucina all’aperto, l’acqua si pompa a mano, l’elettricità te la sogni. Qui nasceva, 64 anni fa, la candidata del premier Narendra Modi, che in questo modo attira i voti del 10% della popolazione indiana, i tribali, appunto.

Non è un posto di potere, la presidenza indiana ha un ruolo più che altro cerimoniale. Ma è un gesto simbolico importante, un’abile mossa strategica per il partito al potere, il Bharatiya Janata Party. Murmu ha vinto con una valanga di voti, anche alcuni dell’opposizione. È un premio enorme per questa signora della tribù dei Santhal, leggendaria per essersi ribellata al colonialismo britannico a metà del XIX secolo. Non è la prima donna presidente. Fu Pratibha Patil, dal 2007 al 2012, a vincere quel primato, ma è la prima donna “tribale” ad occupare la residenza di Rashtrapati Bhavan. «Sarà una presidente fenomenale che rafforzerà il cammino dell’India verso lo sviluppo», ha twittato Modi. Figlia di un coltivatore di riso, da bimba marciava per chilometri fino a scuola. La notte studiava alla luce di una lampada al kerosene. Gli studi le piacquero così tanto che diventò insegnante. Poi entrò in politica con i fondamentalisti indù del Bjp. Nel 2015, divenne governatrice del Jharkhand, dove la povertà è estrema, la condizione delle donne una delle peggiori al mondo. Murmu è restata al comando fino all’anno scorso. Schiva e dimessa, in realtà non voleva questa carriera, come spiegò nel 2016: «Mi era sembrato, all’epoca, che entrare in politica non fosse visto di buon occhio. Soprattutto per le donne. Perché nella società alla quale appartenevo pensavano che le donne non dovessero occuparsi di amministrazione pubblica».

Ed eccola, invece, a rappresentare un miliardo e quasi 400 milioni di indiani. Anche se non tutti si sentono rappresentati da questa nuova carica. Alcune associazioni puntano il dito sulla «dura realtà che la promozione di leader Dalit e delle caste più basse è solo una strategia ben congegnata dal Bjp».

Eleggere candidati dalle comunità oppresse, dicono i critici all’opposizione, «crea solo l’illusione dell’inclusività, quando invece è una mossa per espandere la base politica tra le caste non-dominanti con l’intento di raccogliere voti. È ipocrisia». Ma funziona.

«Il Bjp vuole ampliare la sua base politica», commenta un parlamentare “tribale” del Bjp, Salkhan Murmu «e noi vogliamo maggior riconoscimento. Loro vincono politicamente, noi preservando il nostro modo di vivere». Tra gli elettori che interpretano il linguaggio dei simboli, la vittoria della presidente tribale è una grande occasione per far festa. “Ci stiamo preparando a ballare al ritmo dei tamburi!” ha dichiarato Bhakta Tudu, cugina della neoeletta. «Ho il cuore pieno di gioia».

La Repubblica 23 luglio