A distanza di 64 anni i funerali di Stato per quel sindacalista sono il riconoscimento di tutto un movimento per l'affermazione dei diritti dei lavoratori e degli abitanti del Sud che non si è mai dato per vinto. I familiari dei sindacalisti uccisi in quegli anni, i movimenti antimafia, giornalisti e artisti coraggiosi, hanno continuato a reclamare e cercare verità e giustizia. Un vero peccato che trasmissioni televisive di grande ascolto che pure corrono dietro i dettagli dei delitti irrisolti, non si siano mai occupate dei delitti e delle stragi di mafia che ancora oggi rimangono strangolate dal punto interrogativo degli intrecci eretici tra Stato e mafia, economia e mafia, malinformazione e mafia. Ma quei funerali di Stato ci incalzano a non abbassare la guardia sui diritti. Il sangue di Rizzotto (e di Accursio Miraglia, Calogero Cangelosi, Giuseppe Biondo, Epifanio Li Puma, Nicolò Azoti... ) resta come una boa nel mare aperto della crisi in atto.
Vi sono correnti di pensiero e prassi consolidate che indicano nell'abbassamento dei diritti uno strumento necessario, un sacrificio per emergere dalle secche dell'economia. Si rincorrono i luoghi più sperduti del pianeta dove il minor costo di un lavoro senza sicurezze sociali, sanitarie, previdenziali... rende più competitiva la produzione. Ai lavoratori del Nord del mondo non si chiede di lottare perché i diritti acquisiti col sangue di eroi sconosciuti si estendano in ogni angolo del mondo. Piuttosto li si vuole costringere a rinunciare alle conquiste dei loro padri.
Un passo indietro dettato da una crisi che trova le sue ragioni nei latifondisti della finanza di carta, nella mafia speculativa della borsa senza regole, nella "roba" di padroni moderni armati di computer e di tanto potere. Placido Rizzotto sembra distante anni luce dalla situazione attuale e forse non capirebbe di precarietà, di flessibilità, di delocalizzazione, di globalizzazione selvaggia e di articolo 18 ma quella lezione sigillata col sangue resta oggi più valida che mai. Il compasso delle manovre deve segnare il cerchio della soluzione della crisi avendo come punto fermo l'affermazione dei diritti della gente che lavora e di quella che chiede di lavorare.
Tonio Dell'Olio
(Mosaico di pace, aprile 2012)