Nonostante il
moltiplicarsi delle leggi e delle denunce, delle raccomandazioni e
delle campagne di prevenzione, il problema dei femminicidi e, più
generalmente, delle violenze contro le donne è ormai strutturale in
Italia. Da un lato, non cessano di aumentare gli uomini che, forse
perché insicuri della propria virilità o fratturati
narcisisticamente, non sopportano di essere contraddetti, non
accettano alcuna critica, reagiscono con l'irrazionalità della
violenza a qualunque tipo di disaccordo o contestazione.
Dall'altro,
non diminuiscono le donne che, incerte anch'esse sul proprio valore e
con poca fiducia in se stesse, finiscono per ritrovarsi invischiate
in relazioni perverse, vittime prima ancora che della violenza fisica
dei propri compagni o mariti delle loro manipolazioni e bugie.
Ormai lo
sappiamo da tempo: nel nostro Paese manca non solo una cultura del
rispetto della dignità umana e del valore dell'alterità. Ma anche
la capacità di riconoscersi reciprocamente, imparando fin da piccoli
l'importanza di accettare se stessi e gli altri non solo per quello
che si è e quello che si ha, ma anche, e forse soprattutto, per
quello che non si è e quello che non si ha. «Persone» e non «cose
», dunque. Che meritano di autodeterminarsi e di rivendicare i
propri desideri e la propria libertà.
Senza che qualcun altro decida
al posto nostro, cerchi di controllarci, e ci distrugga quando non ci
lasciamo sottomettere.
Quando si
capirà che, senza la promozione di una cultura della tolleranza e
dell'accettazione reciproca, la violenza non sarà mai arginata?
Quando si comincerà a proteggere davvero le vittime finanziando in
maniera adeguata i centri anti-violenza, che da anni chiedono
risorse? Quando si affronterà il problema della presa in carico
psicologica degli uomini che maltrattano le donne?
Quando si deciderà
di introdurre nelle scuole un'educazione mirata a disinnescare
comportamenti violenti e alla gestione dei conflitti?
(Michela
Marzano, Repubblica,
15 luglio)