Mark Lilla
Molti
giovani d'oggi, e non solo negli Stati Uniti, guardano alla democrazia
sotto la luce delle identità. Non si considerano cittadini democratici,
ma individui, ciascuno con una propria identità che li rende diversi
dagli altri.
Oggi molti giovani negli Stati Uniti circoscrivono il
proprio impegno politico ai problemi sociali che ritengono facciano
riferimento alla loro identità.
Per una persona come me, cresciuta
durante le battaglie ideologiche della Guerra fredda, è sconcertante
vedere tanti giovani così concentrati sulle questioni personali di
genere e poco attenti a questioni di giustizia economica o di politica
estera.
Le grandi ideologie e narrazioni che tentavano di spiegare tutto
avevano dei problemi, ma almeno facevano capire come le cose fossero
legate tra loro. Il risultato di tutto questo è che negli Stati Uniti la
sinistra radicale si oppone al neo liberismo economico e promuove ciò
che si potrebbe definire un neo liberismo sociale.
Costruire la
solidarietà non è il suo obiettivo primario. Rafforza soltanto
l'individualismo radicale dei nostri tempi.
Gli effetti della
globalizzazione economica hanno destabilizzato i governi in ogni parte
del mondo e si è allargato il divario tra un'élite ricca e istruita e
una sottoclasse crescente e insoddisfatta, priva di speranza.
L'immigrazione incontrollata l'ha resa più rancorosa. Il neo liberismo
sociale ha inoltre prodotto un effetto psicologico ed ha indebolito i
vincoli sociali. I giovani rimandano il matrimonio oppure scelgono di
vivere da soli. Continuano ad aumentare i casi di depressione e
suicidio.
Questo non accade perché mancano denaro e opportunità ma
perché stiamo vivendo ciò che Michel Houellebecq ha chiamato nei suoi
spaventosi romanzi "Le particelle elementari".
Le società democratiche
si stanno sfaldando. Governi incapaci di controllare gli effetti
dell'economia globale o l'immigrazione illegale appaiono deboli e
inadeguati. Questo porta gli elettori a cambiare in continuazione leader
e partiti che promettono di riuscire a controllare queste forze, ma non
ne sono capaci.
Come dimostrano le elezioni negli USA, il mio paese è
diviso tra due tribù che provano una profonda diffidenza l'una verso
l'altra. Da un lato esiste un'élite cosmopolita, liberale e istruita che
mette l'enfasi sulle questioni di identità personale, disprezza la
religione e vuole accogliere
gli
immigrati, legali o illegali che siano, in una società più
multiculturale. Questa élite domina le nostre istituzioni culturali: le
università, i media e Hollywood.
La tribù di destra, invece, unisce i
meno istruiti, più religiosi, bianchi e maschi. Provando disprezzo per
le élite culturali, questa tribù afferma la propria politica
dell'identità per competere con gli altri gruppi.
I populisti hanno
saputo convincerli che erano loro il vero popolo americano, non le élite
e che il loro Paese gli è stato rubato. Questa destra americana
attualmente controlla ogni livello di governo. E alla guida c'è un
indemoniato e abile demagogo che accumula potere mettendo gli americani
gli uni contro gli altri.
Cosa si può fare? Nel lungo termine dovremmo
riscoprire le virtù della cittadinanza. Le nostre società sono molto
diverse oggi. Conduciamo una vita privata più individualistica rispetto
al passato.
Tuttavia i nostri destini sono uniti: esiste un bene comune
che deve essere tutelato nell'interesse di tutti. E se vogliamo chiedere
alle persone di tutelarlo, dobbiamo fare affidamento non su un
desiderio, ma piuttosto su un dato sociale: qualunque siano le nostre
differenze o la nostra tribù, ciò che condividiamo é la cittadinanza.
Siamo tutti nati o naturalizzati cittadini e meritiamo di essere
trattati equamente, tenendo a mente che essere cittadino non significa
solo avere dei diritti, ma anche dei doveri, l'uno nei confronti
dell'altro e nei confronti delle nostre repubbliche. Mantenere un senso
civico e molto difficile. E per questo che, fin dal mondo antico, le
democrazie hanno sofferto di entropia: l'unica cosa che davvero le
mantiene unite è la cittadinanza. Se quel vincolo ha basi imperfette o
si è indebolito, la struttura si sfalda.
Una situazione simile è visibile
nell'Europa dell'Est. In seguito alla caduta del muro nel 1989, furono
create istituzioni democratiche, ma quello che i fondatori di quelle
istituzioni non potevano creare era un senso di cittadinanza che
richiede l'avvicendarsi di diverse generazioni. Oggi vediamo invece la
Polonia e l'Ungheria che abbracciano e celebrano quella che il
presidente ungherese Victor Orban definisce "democrazia illiberale".
In
quei paesi e in Italia, Austria e Francia ci sono forze politiche che
stanno stabilendo ciò che sembra essere un nuovo fronte popolare, questa
volta sotto forma di destra radicale.
E' difficile non avere
l'impressione che questo sia un film già visto. Le democrazie senza
democratici non durano. Si decompongono, trasformandosi in oligarchie,
teocrazie, nazionalismi etnici, sistemi autoritari oppure in un
miscuglio di tutti questi elementi. Non esagero quando dico che i
segnali di ognuna di queste patologie sono visibili nell'attuale vita
democratica americana. E mi rattrista pensare che l'Italia potrebbe ben
presto soffrire della nostra stessa malattia.
La Repubblica 9 gennaio