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Newsletter n. 141 del 12 marzo 2019
RATIONE SERVITUTIS?
Care amiche ed amici,
non a tutte le donne è piaciuta l’apologia della donna
fatta da papa Francesco nel corso dell’Incontro “sulla protezione dei
minori nella Chiesa” quando, intervenendo di sorpresa, ha detto che
ascoltando parlare una donna – la sottosegretaria del dicastero dei
laici e della famiglia - aveva sentito la Chiesa parlare di se stessa,
delle sue ferite, perché la donna è l’immagine della Chiesa, che è
donna, è sposa, è madre, e la Chiesa stessa va pensata con le categorie
della donna; infatti senza la donna, senza il genio femminile, essa
sarebbe forse un sindacato, non un popolo.
Il disappunto è che sia tornata anche in queste parole l’idealizzazione
“della” donna, che le donne hanno molto sofferto, essendo poi
misconosciute come persone.
Ci ha scritto dopo la nostra lettera del 26 febbraio in cui parlavamo di
questo, la teologa Marinella Perroni: “Sono del tutto d’accordo - come
peraltro sempre - con le riflessioni proposte. Mi permetto però una
considerazione critica, anche se non ho grande fiducia di poter essere,
se non capita, almeno ascoltata. Il discorso che Papa Francesco ha fatto
a braccio dopo la relazione di Linda Ghisoni ha messo in luce, al di là
delle sue migliori intenzioni, quanto anche lui resti totalmente
prigioniero di luoghi comuni che, sia pure con retoriche diverse, da
secoli impediscono alla chiesa di includere le donne (si veda per
esempio al riguardo la nota di Antonio Autiero sul blog del
“regno-delle-donne”). L’esaltazione è sempre stata l’altra faccia
dell’esclusione. Era un discorso impregnato di paternalismo patriarcale
e, quindi, totalmente in linea con quel clericalismo che dice di voler
sconfiggere. Finché non si ascolterà il pensiero che le donne hanno
elaborato negli ultimi due secoli, la cultura delle donne, le istanze
delle donne e si continuerà a parlare “sulla” donna, non sarà possibile
liberare la chiesa dal clericalismo, che è una delle più tristi
manifestazioni del sessismo. Un giorno, forse, gli uomini di chiesa,
chierici o laici poco importa, accetteranno non di parlarne ma di
ascoltare e, forse, capiranno che aveva ragione Carlo Maria Martini
quando diceva che sono rimasti duecento anni indietro”.
Così scrive la nostra teologa (“nostra” per affetto e per stima). Ma
anche su Facebook si è accesa una discussione sulla nostra lettera, a
prova di quanto la questione sia patita. Ha scritto per esempio Franca
Morigi: “Posso mostrarmi perplessa e un po’ perturbata dalla donna
madre-moglie figura o specchio della Chiesa? Molto più significative le
espressione ‘principio femminile, pensare con le categorie di una donna’
e “diritto di Antigone, del più umile, vincolato ai nutrimenti
terrestri, alla pietà’. Pietà contro Maestà” .
È stata anche citata una poesia di Anonima: “Io sono quella che cantano
i poeti… io sono parlata ma non parlo sono scritta ma non scrivo, io
sono dipinta, ritratta, scolpita, il pennello e lo scalpello mi sono
estranei. Nessuno ascolta le mie grida silenziose…... Io sono quella che
non ha linguaggio, non ha volto, non esiste… la donna”.
Quanto al blog del “Regno delle donne”
edito “in collaborazione con il Coordinamento delle teologhe
italiane”, citato da Marinella Perroni, esso si chiede se si può ancora
pensare “al soggetto ecclesiale secondo una linea di distinzione tra
maschile e femminile”.
No, non si può, non si può più. Un’esclusione delle donne dai ministeri
nella Chiesa basata sulla sola differenza di genere non è più
concepibile a questo punto della cultura, dell’antropologia e della
storia. Lo è stato per secoli, fino ad ora, fino alla Lettera apostolica
di Giovanni Paolo II “sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi
soltanto agli uomini” che dava per decisa “in modo definitivo” la
questione (ma senza alcun crisma di autorità infallibile) con
l’argomento che così avrebbe stabilito Cristo stesso “chiamando solo
uomini come suoi apostoli”, e agendo “in un modo del tutto libero e
sovrano”, che era come dire senza che umanamente se ne possa rendere
ragione, cosa di per sé incompatibile con tutta la pedagogia di Gesù.
In realtà i teologi, per fare stare in piedi la dottrina, hanno cercato
di darne ragione, ognuno con la cultura del suo tempo (sempre, peraltro,
sfavorevole alle donne), fino all’argomento novecentesco che Gesù era
maschio, il sacerdote è lui, e così devono esserlo tutti gli altri. Ma
prima di questo, essi hanno insegnato per secoli – come ci ha ricordato
Giovanni Cereti, l’animatore della “Fraternità degli anawim” - che le
donne non potevano essere ordinate preti “ratione servitutis”, a
causa della condizione di servitù. Ossia, non erano libere; e tre erano
le categorie escluse dal sacerdozio per questo motivo: gli schiavi, gli
Indios e le donne. La ragione era che non avevano il “dominium sui”,
la proprietà cioè di sé e delle proprie azioni, in cui propriamente,
secondo gli scolastici, consisteva la libertà. Oggi nessuno più dice che
gli schiavi non possono diventare preti, perché la schiavitù è
felicemente (almeno in punto di diritto) abolita; di preti e vescovi
indigeni ce n’è quanti se ne vuole; ma solo per le donne, e solo “perché
donne” la discriminazione è rimasta; e se non sono padrone di sé, vuol
dire che sono di qualche altro padrone. Né se ne può uscire con
l’espediente del ripristino delle donne diacone, in funzione del prete, o
a compensare la mancanza di clero; la discussione sul diaconato
femminile non è che una strategia della distrazione che non può durare;
il vero problema sono i ministeri nella Chiesa, ivi compreso il
sacerdozio alle donne, e non come imitazione del maschio, ma come
capacità originaria divinamente fondata.
Però ci sono due buone ragioni a difesa dell’esternazione del papa, che
fanno anche di quel suo breve intervento all’Incontro romano una gemma.
La prima è che, anche a voler introdurre questa novità nella Chiesa, la
sua scelta è di cambiare la Chiesa non per decreto, ma con la Parola; e
la parola nella Chiesa è performativa, opera ciò che dice, se non resta
isolata ed è seminata nel fecondo terreno della collegialità.
La seconda è che il papa è un uomo, e le donne devono rassegnarsi ad
essere pensate non solo come esse pensano se stesse, ma anche come sono
pensate dagli uomini. Non, naturalmente, da quelli che le uccidono e
vogliono farle da padroni, ma da quelli che le amano, ciò che non è un
fatto di sentimento, ma un’antropologia. E, almeno finora,
nell’immaginario maschile “la donna” , anche quella più vincolata alla
terra, “ai nutrimenti terrestri”, ha una sua potenza, un suo fascino
ideale, come il divino, che è molto raccontato ma anche apofatico, che
non si può dire. Come ha detto papa Francesco parlando un giorno della
Genesi, Adamo, prima di vedere la donna, “l’ha sognata”, diversa da
tutto il resto. Ciò non dovrebbe essere peraltro solo a riguardo della
donna, ma di tutti gli esseri umani, perché in tutti gli esseri umani
bisognerebbe saper vedere il divino, riconoscere l’arcano che è in loro,
capire cosa significa per tutti essere “figlio e figlia di Dio”. Ma
forse ciò riesce meglio agli uomini nel pensare le donne, come dicono i
miti e le culture che nella donna hanno intravisto il divino, da Venere
alla donna biblica destinata a schiacciare la testa del serpente, dalla
bella Sulammita del Cantico dei Cantici, il cui amore è “fiamma di
Jahvé, alla “Celeste Aida, forma divina” che cantiamo spensieratamente
nei nostri teatri. Altro che “ratione servitutis”! O è solo poesia? C’è
una potenza delle donne che forse nemmeno il femminismo è riuscito
finora del tutto a pensare. Ma certo qui è la storia che si deve
dipanare.
Intanto la politica si incupisce. Nel sito pubblichiamo un’analisi degli psicologi
che spiegano come la logica del nemico, veicolata dal “decreto
sicurezza”, rischia di inquinare tutto il “capitale sociale”, cioè il
nostro sentire civile. Ma il Movimento Cinque Stelle ha mancato il
momento opportuno per aprire la crisi di governo, mettendosi in mano a
Salvini e così, consegnato il popolo, votandosi alla fine.
Annunziamo anche un convegno a Roma, che prelude a una nuova mobilitazione in difesa della Costituzione, e aggiorniamo il programma dell’assemblea del 6 aprile
di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri, sulle maggiori emergenze da
affrontare nella crisi, a cui tutti, e specialmente i giovani, sono
invitati.
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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