venerdì 19 aprile 2019

IL NUOVO CONFLITTO SARÀ RADICALE

Il bipolarismo prossimo venturo , se mai lo vedremo, avrà ben poco di quello che avevamo conosciuto al tramonto dell'altro secolo. I suoi nostalgici dovranno rassegnarsi: i conflitti che si vanno già oggi preparando avranno luogo lungo faglie e punti di rottura ben poco eredi del duello destra-sinistra, o, come divenne moda al tempo della "crisi delle ideologie", centro-destra e centro-sinistra. Per un verso, il conflitto si radicalizzerà; quella rincorsa al centro "moderato" che aveva caratterizzato la competizione passata (e che si esprimeva appunto nella formula centro-destra versus centro-sinistra) perderà di valore proprio nella misura in cui viene meno il suo referente sociale. Per l'altro, assisteremo a innumeri trasversalità e passaggi tra i due schieramenti, ciò che li renderà però ancora più inimici, poiché spesso costretti a competere sullo stesso terreno e intorno ai medesimi temi. Dalla rincorsa verso il centro, si passerà alla radicalizzazione delle proposte e promesse. Decenni di crescenti disuguaglianze e di impoverimento relativo di vastissimi settori del ceto medio (in particolare dei lavoratori dipendenti pubblici e privati a reddito fisso) hanno ormai messo fuori gioco ogni politica liberista neo-conservatrice e in enorme difficoltà ogni riproposizione di politiche liberali-socialdemocratiche. La concorrenza su chi sia in grado di rilanciare più efficacemente politiche di Welfare caratterizzerà il nuovo terreno di scontro - e qui le più confuse "sinergie" saranno all'ordine del giorno. Ciò non significa affatto che i confini debbano evaporare, ma soltanto che essi saranno tracciati lungo linee del tutto diverse rispetto alla geografia di un tempo. Non sarà più "uguaglianza" versus meno tasse-libero mercato-stabilità.
La nuova destra sarà destra sociale. Sacrificherà ancora qualche agnellino sull'altare delle flat-tax , ma sempre più pro forma, fino alla scomparsa di antichi e ormai scomodissimi alleati. Incalzerà la sinistra sul suo terreno. Quest'ultima sarà chiamata a una sfida ardua almeno su due fronti: mostrare concretamente per quali ragioni non regga il programma sociale della destra e in quale contesto complessivo esso si collochi, quale drammatica prospettiva esso apra. Sul primo fronte, ritorna decisivo il tema dell'Europa. È matematicamente impossibile attuare oggi una politica di sviluppo, che significa innovazione, ricerca, formazione, infrastrutturazione materiale e immateriale a lunghissimo raggio, su una scala semplicemente locale.
Piccolo potrà anche essere bello, ma soltanto se si unisce, se dà vita a potenti federazioni. La dimensione europea è necessaria per ogni politica di Welfare. Qui la prima, grande faglia: tra congenito nazionalismo della destra europea e la lotta politica per una nuova Europa. Secondo fronte: la domanda di sicurezza che nasce irresistibile nei periodi di crisi, nei momenti in cui un Ordine geo-politico, sociale, culturale, viene meno e il nuovo neppure appare presagibile, verrà sempre dalla destra cavalcato e gestito in termini identitari, che comportano affrontare il terreno chiave dell'iniziativa politica, le relazioni internazionali, secondo una logica amico-nemico. Oggi che i grandi Imperi navigano in evidente rotta di collisione, oggi che più che mai vi sarebbe bisogno di federatori, di soggetti e luoghi in cui interessi e prospettive di quegli stessi Imperi potessero reciprocamente "tradursi", le destre sociali nazionaliste, sbandierando crociate anti-plutocratiche e inneggiando a indivisibili sovranità, si apprestano a trasformarsi in provincie suddite dell'Ordine a venire, qualsiasi esso sia. Storia italiana da secoli a questa parte, dalla calata dei "barbari" a fine '400? Può darsi, ma non certo provvidenziale. E i suoi effetti sono anch'essi del tutto calcolabili: centralizzazione del potere nell'esecutivo e eclissi totale del ruolo del Parlamento, dichiarazione di emergenza perenne cui far corrispondere arrogante quanto incompetente decisionismo. A tale deriva non ci si oppone con antifascismi di maniera, ma con strategie di riforma istituzionale, con un'idea di Europa non utopistica, non vuoto dover-essere, ma federazione di Stati che in essa convergono nella consapevolezza che soltanto così possono concretamente difendere la propria stessa sovranità. Federazione che ha una voce nella grande politica internazionale, la voce di uno ius gentium tutto da rifondare, di un diritto internazionale che sia sistema di vincolanti norme e non ripetizione di meri principi. Soltanto dall'Europa, dal suo pensiero critico, dalla tradizione democratica radicale europea questa voce può levarsi ed esprimere la propria inconciliabile differenza con la destra che avanza. La scelta intorno a queste idee determinerà la natura dei nuovi assetti bipolari.
Massimo Cacciari

(L'Espresso 7 aprile)