lunedì 30 novembre 2020

PREGHIERA

 PREGHIERA


Tu che hai dato forma e vita

ai nostri corpi, che conosci

ogni particolare delle nostre

membra, liberaci delle imma-

gini che ci opprimono e dagli

stereotipi di cui sentiamo il

peso sulle nostre spalle.

Insegnaci la strada dell'amo-

re verso noi stesse/noi stessi,

consapevoli che questa strada

richiede di metterci in gioco

e di scavare nel nostro intimo.

Possiamo guardarci allo

specchio con occhi diversi,

possiamo godere dell'amore

appassionato che fa parte

della vita, possiamo essere fe-

lici. Ti chiediamo il coraggio

e la forza di compiere questo

percorso liberante!

Anonimo


LA SVIZZERA: ESEMPIO DI EGOISMO

Svizzera in discesa libera: stazioni sciistiche aperte, prenotazioni giù

Nonostante le prenotazioni in calo per Natale e le settimane bianche in picchiata, le bacchettate dell'Oms sulla gestione della pandemia e le terapie intensive intasate, la Svizzera tenta di salvare la stagione invernale mantenendo aperte le stazioni sciistiche. Anzi, gli operatori di Svizzera Turismo hanno avviato una campagna pubblicitaria per riempire le piste da sci. Le prenotazioni per il periodo natalizio sono del 19 per cento inferiori a quelle del 2019, mentre per le cosiddette «Sportferien›, cioè le settimane bianche di febbraio, la contrazione è addirittura del 28 per cento. Per quanto riguarda i pernottamenti in montagna, è attesa una contrazione del 31 per cento, per l'assenza dei turisti extraeuropei e il dimezzamento di quelli comunitari.

In buona sostanza, la Svizzera insiste su una linea soft di gestione della pandemia, con l'obiettivo di salvaguardare quanto più possibile l'economia. «Conto su tutti per fare di questo inverno un buon inverno», ha affermato la presidente della Confederazione, la socialista Simonetta Sommaruga, mentre il ministro dell'economia e del turismo Guy Parrnelin, esponente del partito di destra Udc, ha fatto appello ai suoi concittadini a rimanere in Svizzera perché «ci prenderemo cura della vostra sicurezza».

Queste parole sono arrivate dopo che David Nabarro, inviato speciale dell'Oms per la lotta al Covid-19, ha criticato apertamente la strategia della Svizzera. A suo parere, a fronte di una «situazione estremamente grave», le misure sono troppo blande. «Mi sorprende che la questione non venga trattata come un'emergenza nazionale», ha concluso l’esperto, intervistato dai giornali locali del gruppo Ch Media.

Ovviamente, in tutte le stazioni sciistiche ci saranno obblighi di distanziamento e di portare la mascherina, in particolare sui treni e negli impianti di risalita.

Intanto, la curva dei contagi pare essere in continua flessione, tranne che in alcuni cantoni come gli italofoni Grigioni e Basilea, dove da ieri sono chiusi bar e ristoranti. Per il responsabile dell'Oms con queste misure light si rischia però una terza ondata a gennaio.

Angela Mastrandrea, il manifesto 24 novembre

IL RISCHIO DI RENDERE DIO GRETTO

 "Ho tanta paura di aver reso Dio gretto , limitato, riducendolo alla risibilità della mia prudenza".

don Sirio Politi , prete operaio 

PRODURRE UN NUOVO MODO DI VIVERE

 "Spesso mi capita di piangere il tipo di lacrime  che stranamente mi scendono anche ogni volta che rivedo il discorso finale di Charlie Chaplin nel film" Il grande dittatore".

"Su questo pianeta c'è posto per tutti, la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica ma noi lo abbiamo dimenticato. Abbiamo i mezzi per spaziare ma ci siamo chiusi in noi stessi, la macchina dell'abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l'avidità ci ha resi duri e cattivi, pensiamo troppo e sentiamo poco, più che macchinari ci serve umanità, più che abilità ci servono bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è solo violenza e tutto è perduto".

Silvano Agosti, Giorni nonviolenti 2018 

ATTENZIONE: NOTIZIE UTILI

 Carissimi e carissime,

vi segnalo, che poiché ci sarà, sia questa sera alle ore 21(presentazione dei 2 libri per il seminario), sia mercoledì alle ore 21(presentazione del libro di Recalcati),

QUESTO MARTEDI' 1 DICEMBRE NON AVRA' LUOGO IL GRUPPO BIBLICO. 

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Venerdì 4 dicembre Franco trasmetterà un vocale. "Come hanno inventato la festa dell'immacolata concezione"

IL PAPA: "MAGGIORE SOBRIETA' E RISPETTO PER I VICINI"

 "Cerchiamo di ricavare del bene anche dalla situazione difficile che la pandemia ci impone -dice Papa Francesco all'Angelus in piazza San Pietro  - Maggiore sobrietà e rispettosa ai vicini che possono avere bisogno, qualche momento di preghiera fatta in famiglia con semplicità.

Queste tre cose ci aiuteranno tanto". 

(Da Repubblica 30 novembre)

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI MASSIMO RECALCATI: LE NUOVE MELANCONIE

 Sei stato invitato al seguente evento.

PRESENTAZIONE DEL LIBRO:LE NUOVE MELANCONIE

Quando

mer 2 dic 9PM – 2 dic 2020 11:45PM Ora dell’Europa centrale - Roma

Informazioni per partecipare

Partecipa con Google Meet

 

meet.google.com/iyv-ezhr-dge

Calendario


Chi

(L'elenco degli invitati è stato nascosto su richiesta dell'organizzatore)

altri dettagli »


Carissim*,
vi invitiamo alla presentazione del libro
 di Massimo Recalcati:
LE NUOVE MELANCONIE"
da parte di Don Franco Barbero. 
L 'incontro si svolgerà attraverso la piattaforma Google -Meet,

mercoledì 2 dicembre alle ore 21

Per eventuali informazioni resto a disposizione.
(3388885799). 
Un caro saluto
M.Grazia



PER I REGALI MEGLIO IL VAX DAY
Possiamo ancora evitare l'inutile strage di Natale

Sferaebbasta è un rapper piuttosto spregiudicato, famoso anche perché a un suo concerto a Corinaldo, esattamente due anni fa, sono morte sei persone: colpa di una banda che spruzzava spray urticante per rapinare i fan, ma anche di un'organizzazione che non è riuscita a garantire la sicurezza. Sferaebbasta pubblicizza ora i suoi prossimi concerti, il più immediato è a settembre 2021, quando - si spera - saremo tutti vaccinati. Un rapper ribelle è assai più prudente del governo, delle regioni e delle associazioni di categoria che invece sono ossessionate dal Natale e hanno deciso che bisogna a tutti costi dedicarsi a un paio di settimane di shopping, tra un lockdown e l'altro. Abbiamo tutti diritto a una pausa nella tragedia, dicono, e l'economia deve rifiatare. Se perfino Sferaebbasta capisce che non si possono tenere concerti mentre ancora il virus corre e ogni contatto non necessario aumenta la probabilità che qualcuno muoia, sorprende che questo semplice
concerto sfugga alle nostre autorità sanitarie.
Abbiamo già visto questa estate cosa succede con discoteche, spiagge e traghetti. Ogni giorno muoiono 700 persone molte di loro sarebbero ancora vive se ad agosto i locali fossero rimasti chiusi e se il governo avesse adottato misure restrittive quando era necessario e non quando era politicamente conveniente. Ora circola l'insana idea di allentare le restrizioni proprio quando sarebbero più necessarie, dal 3 dicembre, quando scade uno dei vari Dpcm in vigore. Norme troppo blande proprio quando c'è il rischio massimo di contagio produrrebbero un'altra strage. Una strage, peraltro, non necessaria perché abbiamo vaccini molto efficaci quasi pronti, si tratta di resistere ancora qualche mese per vederne i benefici. La pandemia diventerà molto meno pericolosa ben prima che tutti siano vaccinati, perché si ridurrà il numero dei potenziali infetti.
Il dilemma tra salvare le vite e salvare l'economia è falso: nessuna economia prospera sui cadaveri, gli Stati Uniti se la cavano meglio di noi non grazie ai 252.000 morti ma perché gran parte delle imprese che beneficiano dalla crisi (dal digitale al farmaceutico) sono americane. Mentre la nostra manifattura procede - pare - in relativa sicurezza, i servizi come ristoranti, intrattenimento e turismo soffocano. Ma non sarà qualche pranzo di Natale con terapia intensiva dopo il dessert a svoltare, e neanche qualche regalo con la sorpresa del virus sotto il fiocco a ripianare i conti di un anno orribile. L'economia ripartirà con la sicurezza sanitaria, dopo il vaccino: il Pil si salva salvando le vite, rimandiamo lo scambio dei regali a quando saremo tutti immunizzati, facciamo un Vax Day, ma evitiamo la strage natalizia. Se le autorità sanitarie sbaglieranno la gestione delle feste natalizie, nessuno si fiderà di loro nella delicata fase della distribuzione del vaccino, quando il rischio di tensioni sociali sarà massimo. E questa sarebbe l'ennesima tragedia evitabile.
STEFANO FELTRI

Domani, 12 novembre
[il Manifesto, 22 novembre]

L'AUTUNNO DELL'ARCIVESCOVO
Successione e inchiesta nella diocesi torinese clima da fine mandato


Momenti delicati per la diocesi torinese. Sfiducia, incertezza sul futuro. Effetto Covid, ma anche il clima da fine mandato di monsignor Cesare Nosiglia. Destinato alla cattedra di San Massimo da Benedetto XVI nell'ottobre 2010, ha cercato di segnare il suo episcopato con un apprezzato impegno sociale. Il banco alimentare, la vicinanza ai lavoratori, non ultimo il discorso ai sindacati di poche settimane fa; l'interessamento per le vertenze più complicate,  come l'Embraco; la presenza nei campi Rom e, tramite la Caritas, l'attenzione ai più dimenticati come i migranti. E, ora, alle famiglie segnate dalla pandemia.

L'arcivescovo, 76 anni, è stato prorogato dal Papa fino a settembre 2021. Il Concistoro del prossimo 28 novembre ha riattivato i rumors. Tra i 13 nuovi cardinali c'è il suo successore? Bergoglio, secondo buone fonti ecclesiastiche d'oltre Tevere, non intende procedere fino a San Giovanni. Deve pensare prima a posti chiave in Vaticano e ai nomi per importanti sedi, come Napoli. Alcuni li prenderà da quell'elenco. La porpora non arriverà più sotto la Mole, almeno per ora. Previsioni? Molti sperano in monsignor Derio Olivero, classe 1961. La fusione Torino-Pinerolo-Susa è ipotesi con qualche fondamento, visto che il Papa insiste: le diocesi in Italia sono troppe. Altri puntano sul vescovo di Tortona - Vittorio Francesco Viola, classe 1965 - piemontese di Biella, francescano come il nuovo arcivescovo di Genova, Marco Tasca: un "asse" nel nome di Assisi. Si parla anche dell'arcivescovo di Vercelli, Marco Arnolfo, torinese, classe 1952, e del parroco di Santa Rita a Torino, Mauro Rivella, classe 1963, con una esperienza importante in Vaticano alle spalle. Con Francesco, va da sè, di Torino si saprà al fototinish.

Nessuna accelerazione? Dipende. Dall'eventua1e rinuncia anticipata dello stesso Nosiglia - per motivi di salute - o da qualche sviluppo dalla Procura che sta ancora indagando sui tre sacerdoti torinesi don Salvatore Vitiello, don Luciano Tiso e don Damiano Cavallaro per le "vocazioni forzate". L'arcivescovo è nervosissimo. All'ultimo Consiglio presbiterale - dopo che in settembre, con le tenaglie, i sacerdoti avevano ottenuto un comunicato con le scuse  per le famiglie che stavano soffrendo per quelle situazioni - ha battuto i pugni sul tavolo: «Basta, mi sono comportato al meglio, la questione + chiusa». E ancora, duro con alcuni collaboratori laici: «Ce la vediamo tra preti».

Snodo cruciale il clericalismo. La diocesi di Torino conta 354 parrocchie e 980 sacerdoti (473 diocesani e 507 religiosi). E poi circa tremila religiosi (di cui oltre duemila suore) e 137 diaconi permanenti. I parroci sono stanchi, si occupano di poveri, di anziani, di giovani (se li hanno); celebrano funerali, matrimoni, messe e prime comunioni, seguono gli oratori (dove ancora esistono) e mille attività. Poco il tempo per pensare, a malapena per pregare. Non hanno buone relazioni con Nosiglia e non lo ascoltano. In questi dieci anni sono state affidate parrocchie ai primi che capitano (per non perdere i fondi dell'8xl000): come ai due religiosi del Verbo incarnato seguaci del condannato per abusi padre Carlos Buela, co-parroci alla Pier Giorgio Frassati e a Maria Madre della Misericordia. E hanno ordinato preti, anche se inadatti, pur di averne. Ha senso? Di mano in mano gira un libro del benedettino Michael Davide Semeraro - "Preti senza battesimo?" - contro le ipocrisie ecclesiastiche. Si diventa sacerdoti per un "salto ontologico" sui cristiani normali: intoccabili, superiori. Ecco la distorsione che si annida dietro alla vicenda di tanti giovani in talare e dei tre preti nel mirino della Procura.

Le indagini sulle "vocazioni forzate", in capo al Pm Marco Sanini, non sono concluse dopo l'intensificazione estiva. Una prescrizione potrebbe scattare per la denuncia della prima ragazza fuoriuscita. Ma è probabile che il magistrato stia valutando le piste più recenti: i versamenti in denaro di famiglie e giovani in convento alla associazione "Logos e persona" gestita dal terzetto. Si vedrà. Così come per il fascicolo aperto dal Vaticano.

Clima plumbeo, «clero diviso», altri casi messi a tacere, morale sotto i tacchi. Eppure, una Chiesa torinese ridestata e riflessiva contribuirebbe non poco alla costruzione del futuro della città. L'occasione? L'assemblea diocesana spostata per il Covid a primavera 2021 inoltrata. Elementi positivi? Dal 19 al 21 alcuni giovani parteciperanno convinti a "Economy of Francesco", il forum mondiale voluto dal Papa sul nuovo modello di economia. La scorsa settimana, don Luca Peyron, cappellano universitario, coordinatore di "Apostolato digitale" e catalizzatore dell'impegno sull'Intelligenza artificiale a Torino, ha affascinato online i giovani imprenditori con uno speech sull'uso delle tecnologie. Negli ultimi tempi, poi, in diocesi sono stati "ripresi a bordo" i credenti progressisti di "Chicco di senape". Il gruppo, nato nel 2007, provocò non pochi mal di pancia all'allora cardinale Poletto in pieno dibattito sui Pacs. In prima linea il leader storico dell'aggregazione, l'ingegnere torinese Beppe Elia, nel frattempo diventato presidente nazionale del Meic, il Movimento ecclesiale di impegno culturale. E Claudio Clancio, filosofo e presidente del Centro studi Luigi Pareyson: «Ho percepito un grande interesse degli uffici diocesani a ragionare sulla "Chiesa in uscita", meno sul territorio». Progetti non ne mancano, così come esperienze di punta piccole e grandi. Sermig, Gruppo Abele, per dire. «Rispetto agli episcopati di Pellegrino e Ballestrero - conclude il sociologo Franco Garelli, autore di "Gente di poca fede" e attento osservatore del mondo cattolico torinese - ci si è un po' esauriti e chiusi nel "fare", perdendo gli spunti intellettuali. La Chiesa di Francesco è amata, ma molti sono perplessi. Bisogna mettere a fattor comune idee e visioni, renderle pensieri e soluzioni,  guardando lontano ed evitando ogni individualismo». 

Francesco Antonioli


la Repubblica 17 novembre

Case di riposo
Si vive di più ma si invecchia male, il fallimento delle Rsa

In un paese in cui il 23% della popolazione ha superato i 65 anni, con un'aspettativa di vita di altri 20, il tema dell'invecchiamento dovrebbe essere centrale. Abbiamo l'età media più alta di tutto il continente, ma secondo Eurostat siamo al quintultimo posto in Europa negli indicatori che riguardano il grado di autonomia, le reti di relazione, la funzionalità e l'impegno attivo, pratico o intellettuale, dei nostri vecchi. Insomma si vive di più, ma si invecchia male.
L'esperienza di questi mesi, poi, ci dice che gli anziani, non sono stati né curati né protetti abbastanza (i decessi per coronavirus sono oltre l'80%). Ha fallito la sanità pubblica, clamorosamente assente sul territorio. Hanno fallito le Rsa, dentro le cui mura migliaia di anziani sono morti in solitudine. Nella prima e nella seconda ondata. Senza il Covid non sarebbe venuta alla luce la condizione intollerabile dei 200 mila anziani delle cosiddette residenze protette. Prima del Covid il business era in forte espansione con ingenti risorse di gruppi privati, italiani e stranieri. Il nostro paese in base agli standard europei, e tenendo conto dell'evoluzione demografica, avrebbe bisogno di 400 mila posti letto in più e gli investitori pregustavano grandi guadagni.
Dopo il Covid, una delle prime cose da cambiare è certamente il sistema delle case di riposo. Molte Rsa e strutture similari sono oggetto di inchieste della magistratura per sprechi, inefficienze, abusi e maltrattamenti. Il lavoro è sottopagato e dequalificato. Almeno in questo la situazione tra Nord e Sud non si differenzia molto. È il momento di intervenire con severità e rigore, fino alla chiusura, quando le Rsa, comunque denominate, non rispettano le convenzioni stipulate con le autonomie locali o agiscono nell'illegalità.
Il ministro della salute, Roberto Speranza, ha detto recentemente che «la casa deve diventare il primo luogo di cura». Facile a dirsi, mantenere il punto lo è meno, visti gli interessi in gioco. Dopo la pensione, la propria casa diventa l'ambiente di vita privilegiato, il rifugio, il luogo dei ricordi e degli affetti, delle abitudini. Per questo serve una scelta politica chiara che escluda, nei limiti del possibile, l'istituzionalizzazione. In fondo, finora, sono ancora relativamente pochi gli anziani che ricorrono alle case di riposo, spesso costretti da circostanze particolari.
Il problema allora è creare le condizioni favorevoli, dentro e fuori le mura domestiche, per allontanare nel tempo il ricorso ad una badante e/o il ricovero in una struttura residenziale protetta. Diventa decisivo intervenire sulle abitazioni, si deve anche ripensare la tipologia dei servizi residenziali dedicati ai soggetti in situazioni di vulnerabilità, non con l'istituzionalizzazione, ma con un adeguato supporto nel proprio alloggio e nel proprio quartiere. Servizi di mensa, pasti a domicilio, lavanderia, telesoccorso, ma anche l'aiuto per gli spostamenti, per le piccole manutenzioni in casa.
Una forma innovativa e moderna di residenzialità protetta, una nuova modalità di welfare da finanziare con lo spostamento graduale e programmato delle risorse oggi impegnate nei presidi residenziali (circa 7 miliardi di euro all'anno) verso i servizi sociali e sanitari di tipo domiciliare. È importante, in questo quadro, il ruolo di regioni ed enti locali nell'azione di coordinamento tra le varie politiche sociali (sanità, casa, trasporti, cultura, ecc.), perché le nostre città diventino accoglienti, sicure e solidali.
Gaetano Lamanna

il Manifesto 18 novembre

domenica 29 novembre 2020

STUDI STORICI SULLA BIRKAT HA-MINIM

 "La birkat ha-minim spesso è stata considerata come la preghiera pronunciata contro i cristiani o i giudeo-cristiani avente per obiettivo la loro esclusione dalla sinagoga.....

Essa è stata anche considerata come la tappa che segna la rottura il giudaismo e il cristianesimo: "Dalla nostra analisi risulta che essa non è stata istituita a Yavne e non contemplava l'esclusione di nessuno dalla sinagoga. Quanto ai giudeo-cristiani, essi fanno parte integrante del popolo giudaico. Nel 135, come tutte le altre comunità di Giudea, essi sono chiamati ad arruolarsi nell'esercito di Bar-Koziba e a partecipare in modo attivo alla guerra contro i Romani. Essi continuano a frequentare le sinagoghe e i padri della chiesa li rimproverano per questo ancora nel IV secolo".

Liliane Vana in Verus Israel, pag.189 a cura di Filoramo-Gianotto, Paideia Editrice, 2001


LUNEDI' 30 NOVEMBRE ORE 20,45

 La comunità di Piossasco coordina la serata di presentazione dei due libri 

"Buone notizie dal Gesù storico" e La prepotenza delle religioni"

Verso il Seminario nazionale delle CdB 2021

1° incontro – lunedì 30 novembre 2020 – ore 20:45

Franco Barbero presenta i libri:

“Buone notizia dal Gesù storico” di Antonio Guagliumi

“La  prepotenza delle religioni” di Ortensio da Spinetoli

Segue dibattito

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Link Zoom:

https://us02web.zoom.us/j/85642118106?

pwd=S2UwZGk3dGc3bW9zNjNOaCt2NkhCUT09

ID riunione: 856 4211 8106

Passcode: RzW2!k8

 

L'INCONTRO DI IERI : "OSPITALITA' EUCARISTICA".

E' stato un incontro, dalle 18,30 alle 20,30 di ieri sabato 28 novembre, in cui abbiamo vissuto un dialogo intenso ed esteso. Eravamo ben oltre 130 persone. 

Impossibile riferire le relazioni di Paolo Ricca e Giovanni Cereti e tutti gli interventi dei partecipanti. 

La Editrice Claudiana ha pubblicato un piccolo libro "Ospitalità Eucaristica" che condensa il senso di questo cammino ecumenico di reciproca accoglienza nella "cena del Signore", prospettiva tuttora sbarrata dalle gerarchie cattoliche. 

Ho visto che prevale una matura libertà di far convivere le differenze lasciandoci alle spalle i "muri" e gli "steccati" eretti dalla gerarchia.

Franco Barbero e Fiorentina Charrier 

IL CASO CASALEGGIO

 Dalla lobby del tabacco soldi alla Casaleggio Ecco la lista delle fatture

Lui smentisce ingerenze sul M5S e minaccia querele: 

“Io non firmo leggi”


Poco meno di due milioni e quattrocentomila euro lordi sarebbe la cifra pagata in consulenze dalla Philip Morris, la multinazionale del tabacco, alla Casaleggio associati, l'azienda guidata da Davide Casaleggio, il quale presiede anche la piattaforma web su cui vengono decise politiche e candidature parlamentari nel Movimento.

Il caso è esploso ieri dopo un articolo del quotidiano Il Riformista sul presunto lavoro lobbistico svolto dalla Casaleggio associati. L'azienda - sostiene il quotidiano - avrebbe incassato due milioni a titolo di consulenza in tre anni, nel periodo in cui sono state drasticamente abbassate dal Parlamento le tasse sulle sigarette elettroniche. Casaleggio ha risposto a questa connessione annunciando querela al Riformista e parlando di «teorie fantasiose», «ho già dato mandato ai miei legali di procedere con una querela nei confronti di chi ha diffamato me e la società». Il manager milanese ha spiegato che non esiste conflitto d'interessi perché «io non firmo decreti, né voto leggi, e non ho mai fatto ingerenze. Questi sono i fatti». Ha invitato a guardare semmai in Parlamento: «Affrontiamo pure il tema del conflitto di interesse, a partire dai 120 parlamentari che possiedono un'azienda e firmano leggi».

La storia però non sembra concludersi così. Intanto Piero Sansonetti nel pomeriggio ribadisce: «Casaleggio conferma di avere preso i soldi» e «non poteva fare altro». La Stampa è venuta a conoscenza di date, importi e successione di questa serie di fatture che sarebbero state pagate a Casaleggio Associati dal 30 settembre 2017 al 30 ottobre 2020. Si tratta di 49 fatture, ognuna con numero progressivo nella contabilità Philip Morris, con data e importi. Le fatture hanno cadenza mensile, variano da 40mila a 50mila euro mensili. Due fatture (14 novembre 2018 e 25 novembre 2019) appaiono eccentriche, ciascuna delle quali di 140mila euro. Il totale dei soldi che sarebbero stati corrisposti ammonta alla cifra lorda di 2.379.203,43, che sarebbe stata erogata per una «consulenza digitale».

Poiché non era chiaro se Casaleggio querelerà Il Riformista sostenendo che sia falsa la notizia dei pagamenti, oppure negando di avere fatto pressioni lobbistiche sul M5S, abbiamo rivolto - sia alla Casaleggio associati, sia a Philip Morris - due domande di chiarimento molto specifiche. Uno, se la srl milanese ha ricevuto pagamenti per consulenze dalla Philip Morris in una lunga serie di fatture, con relative date. E, se sì, è corretta la cifra totale di quasi due milioni e 400mila euro lordi? Visverbi, ufficio stampa della Casaleggio, ci ha risposto così: «Per policy aziendale Casaleggio Associati non rilascia mai informazioni relative ai propri clienti». Nessuna risposta, alle nostre due domande sulla Casaleggio associati, è arrivata dalla comunicazione di Philip Morris.

Il caso nel frattempo è ovviamente diventato politico. Gli attacchi più duri ieri sono venuti da Forza Italia (Deborah Bergamini si chiede «cosa avranno da dire a riguardo Crimi e Di Maio che, per molto meno, hanno crocifisso gli avversari politici, in nome di un presunto codice morale che a quanto pare deve valere per gli altri ma non per loro stessi») e da Giorgia Meloni, con parole forti, «aspetto i commenti dei parlamentari grillini su questo schifo». In altri tempi il Pd e Renzi (che per i finanziamenti alla fondazione Open è indagato), avrebbero probabilmente attaccato. Ieri invece silenzio. —

Jacopo Iacoboni, la Stampa 27 novembre



INFINITE FORME DI VIOLENZA....

 Prove di bellezza

Le donne del popolo mauri, in Mauritania, subiscono da secoli pressioni fisiche e psicologiche per rispondere ai canoni estetici della società.

La donna nel cuore del suo uomo prende il posto che occupa nel letto". Secondo la fotografa Carmen Abd Ali questo proverbio illustra il valore che la società patriarcale dei mauri attribuisce alle donne. La popolazione mauri vive nell'area sahariana della Mauritania ed è in gran parte di origine berbera. “Per essere desiderabile e trovare un marito, la donna per i mauri dev'essere rotonda”, dice Abd Ali. Nel febbraio del 2020 ha realizzato un progetto per raccontare i metodi, spesso pericolosi per la salute, imposti da secoli alle donne per assecondare i canoni estetici della società. L'obesità è considerata sinonimo di ricchezza e benessere.

La tradizione (mbelha, nel dialetto arabo parlato in Mauritania) prevede che le ragazze in cerca di marito assumano latte, pappa d'avena e farina di miglio in grandi quantità prima dell'inizio della pubertà. “Questo trattamento, imposto con pressioni fisiche e psicologiche dalle donne più anziane della comunità, oggi è in calo, soprattutto tra gli abitanti delle città. Ma resiste nelle zone più remote, dove il ruolo della famiglia è ancora ingombrante”, dice Abd Ali. Nelle aree urbane, dove la popolazione ha un tenore di vita più alto, molte ragazze per prendere peso assumono farmaci. “Si trovano facilmente al mercato nero e il prezzo è accessibile”. Per questa serie, intitolata Mbelha, la fotografa ha indagato alcuni dei metodi imposti alle donne per ingrassare, lavorando a metà strada tra lo stile documentario e la ricerca artistica. Ha coinvolto ragazze tra i venti e i trent'anni, che hanno subito in modi diversi l’alimentazione forzata, a cui ha chiesto di posare e di raccontare le loro storie: “Ho scelto questa fascia d'età perché sono ragazze che vivono bloccate in antichi canoni di bellezza, ma sperano in un cambiamento. Molte di loro conoscono i pericoli legati all'obesità”.

Nelle sue foto Abd Ali ha scelto un’estetica che richiama i codici della pubblicità per mostrare la violenza del sistema. Le immagini sono accompagnate da alcune frasi, tratte dalle testimonianze delle ragazze, che hanno scelto di rimanere anonime: “Per loro è molto rischioso parlare di quello che hanno vissuto, sia per i pericoli legati all'uso di alcuni medicinali sia perché stanno sfidando una tradizione antica”. Con il suo lavoro Abd Ali ha voluto dare voce a queste donne, ma anche portare l’attenzione su una questione più universale: “Ogni società ha i suoi ideali di bellezza. Attraverso queste foto vorrei riflettere sull'influenza degli standard estetici sul corpo e sull'immagine femminile, in tutto il mondo”.

Carmen Abd Ali è una fotografa francese nata nel 1994.

Internazionale 1385 | 20 novembre 2020


SETTE PUNTI CHE NON DEVONO MANCARE

 Come investire i fondi UE: 7 punti irrinunciabili

25-11-2020 - di Fridays for Future Italia

La crisi climatica è stata descritta come “una pandemia al rallentatore”. Entrambe infatti sono “invisibili” all’inizio. Entrambe riguardano l’intero pianeta e affliggono tutti, ma colpiscono le categorie più fragili con maggiore violenza. Per entrambe, le soluzioni coincidono con grandi cambiamenti su scala globale.
Ma la crisi climatica, oltre una certa soglia, è irreversibile. Se superiamo il punto di non ritorno non esisterà un “vaccino” in grado di salvarci. Ogni anno avremo perdite annuali del PIL italiano crescenti, che raggiungeranno l’8% nel 2100 (come spiega il rapporto del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici). Significa che rischieremo di avere ogni anno i danni economici che stiamo vivendo quest’anno a causa della pandemia! Ci troviamo quindi di fronte a un punto cruciale: non possiamo credere di risolverla continuando con il business as usual. Nonostante questo, i pacchetti di stimolo finora approvati dal nostro paese sono stati i peggiori in Europa dal punto di vista della transizione ecologica, e tra i quattro peggiori di tutto il G20 (insieme a USA, Giappone e Australia).
Tra sette anni avremo esaurito il budget di CO2 che ci dà il 67% di possibilità di limitare il surriscaldamento globale entro +1.5°C rispetto ai livelli preindustriali. La comunità scientifica ci dice chiaramente che un mondo più caldo di oltre 1.5 o 2°C mette a rischio le nostre stesse condizioni di vita, e neanche le migliori tecnologie ‒ che comunque non abbiamo ancora sviluppato ‒ potranno invertire i processi che si innescheranno. Nell’Accordo di Parigi vi siete impegnati a rispettare questo limite. Ma le emissioni stanno continuando ad aumentare, e la finestra di tempo che ci resta sta per chiudersi. Dobbiamo agire adesso se vogliamo avere una chance di risolverla. È questo il messaggio del Green Stimulus Index elaborato da Vivid Economics, che analizza in quale misura i pacchetti di stimolo post Covid dei vari paesi favorirebbero la transizione ecologica. Per l’Unione Europea il GSI è relativamente alto, intorno ai 40 punti. L’Italia però, tra i paesi analizzati, è quello con le performance peggiori. Il suo GSI è addirittura negativo: meno 16 punti, il peggiore in Europa e tra i peggiori di tutti i paesi del G20 (insieme a Giappone, Australia e USA).
Questa situazione vergognosa deriva da tre aspetti: non sono stati finanziati i settori di ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie sostenibili; non si è investito nelle Nature-based Climate Solutions (“Soluzioni basate sulla natura”); si è concesso un salvataggio ad Alitalia senza condizionalità sulla decarbonizzazione Le uniche eccezioni sono l’Ecobonus al 110% e gli incentivi ai piccoli Comuni per l’efficientamento energetico, nel Decreto Crescita (qualche decina di milioni). Briciole .
L’Italia con i suoi piani di stimolo ha fatto poco o nulla. L’ultima occasione di invertire la rotta è data dal Next Generation EU (che in Italia ci ostiniamo a chiamare Recovery Fund): a livello europeo il 37% dei fondi sarà destinato alla transizione ecologica. Ma i primi progetti che trapelano sono la rappresentazione più classica del business as usual. Eni avrebbe chiesto 12 miliardi di euro per la realizzazione dell’impianto di stoccaggio di CO2 a Ravenna, nel mar Adriatico, per produrre idrogeno blu (cioè da fonte fossile). Il ministero dei Trasporti sembra intenzionato a chiedere diversi miliardi per completare o costruire nuove autostrade. Ad alcuni territori potrebbe anche essere accordata una corsia preferenziale nell’uso dei fondi europei per realizzare inceneritori. Non possiamo continuare così: investire nel fossile non solo non è più accettabile, ma non è nemmeno economicamente vantaggioso! Per dare all’Italia una strategia chiara verso la decarbonizzazione, sarà fondamentale rivedere gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, ad oggi ampiamente insufficienti, attribuendo a questo strumento risorse e norme finalizzate alla conversione verso il 100% di energia rinnovabile. Così come bisogna specificare meglio i pilastri del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che per ora parlano solo di una vaga “rivoluzione verde” : oltre al fatto che “verde” non significa nulla di per sé, essi vanno spesso nella direzione opposta, continuando a garantire finanziamenti ad opere e infrastrutture che non hanno nulla a che vedere con la mitigazione delle emissioni.

 7 punti che non devono mancare

La nostra campagna Ritorno al Futuro condivide molti degli obiettivi proposti da importanti associazioni italiane (Legambiente, Kyoto Club, Forum Disuguaglianze e Diversità, tra le altre). Abbiamo individuato sette proposte imprescindibili, senza le quali nessun Next Generation EU potrà definirsi davvero tale.

Fonti rinnovabili: i finanziamenti del Recovery Fund vanno utilizzati per realizzare impianti eolici offshore e solari a terra in aree dismesse, comunità energetiche e autoproduzione da fonti rinnovabili. Bisogna eliminare i 18 miliardi annui di sussidi ambientalmente dannosi e approvare una carbon tax i cui proventi vengano utilizzati in ottica redistributiva. L’obiettivo dev’essere arrivare a 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030.
Consumi energetici: ridurre del 50% i consumi energetici del patrimonio edilizio pubblico e privato. Accelerare gli interventi di efficienza energetica su scuole, ospedali, uffici pubblici, edilizia sociale; semplificazione amministrativa degli interventi di riqualificazione energetica e sostituzione di edifici con prestazioni di Classe A.
Mobilità sostenibile: finanziare l’elettrificazione delle linee ferroviarie per il trasporto di merci e persone; rilanciare le infrastrutture di mobilità sostenibile (trasporto pubblico, sharing, colonnine di ricarica) nelle aree urbane. Entro il 2030 ecco le grandi opere che proponiamo: 200 km di metropolitane, 250 km di servizi tramviari metropolitani, 5.000 km di percorsi ciclabili e nessuna infrastruttura stradale che sia in competizione con queste per il trasporto di merci e persone.
Riconversione industriale: investire nei settori industriali strategici della decarbonizzazione con priorità ad automotive elettrico per la mobilità pubblica, batterie, idrogeno verde, elettrificazione e digitalizzazione dei porti e del trasporto pubblico locale.
Adattamento al clima dei territori: finanziare piani e interventi di adattamento climatico nei territori idrogeologicamente vulnerabili. Rafforzare le attività di monitoraggio degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici. Concludere il piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico.
Diamo sostegno alla ricerca pubblica e privata per nuovi prodotti e produzioni bio circolari, destinando posti di lavoro riservati e garantendo il sostegno alla specializzazione dei giovani. Parallelamente, dobbiamo ridurre i ritardi e i divari digitali che ostacolano l’affermazione di attività economiche e comportamenti sostenibili.
Rafforzare il modello agroecologico: incentivare la transizione a un modello agricolo che non alteri il clima, che valorizzi le risorse locali (filiera corta) e il biologico e qualifichi l’agricoltura integrata, promuovendo inoltre stili alimentari a base vegetale. Bisogna invece disincentivare l’importazione di prodotti responsabili di deforestazione. L’Italia deve quindi porsi obiettivi più ambiziosi di quelli della Politica Agricola Comune europea.
 
Il Next Generation EU delineerà il futuro dei prossimi 70 anni: non può essere scritto solo da chi oggi ha 70 anni. Saranno i giovani a subire le peggiori conseguenze della crisi climatica causata dall’inazione della politica, e per questo è nostro diritto essere inclusi nella stesura del piano. Inserire la parola “green” nel Recovery Plan non significa agire per il clima. Non ci importa quante volte la ripetete. Ciò che ci importa è vedere degli obiettivi chiari, e che vengano raggiunti. D’altronde, quando noi studenti facciamo un esame, non ci viene chiesto quante ore abbiamo passato sui libri, ma di dimostrare che abbiamo raggiunto dei risultati e appreso gli argomenti.
Il tempo sta scadendo. Questa è la nostra ultima possibilità. Tutto il resto è propaganda.

IN PERU'

 La forza della protesta

La Repubblica, Perù

Il golpe parlamentare alla fine è stato sventato. Le due immagini che simboleggiano questa vittoria sono il giuramento sereno e rassicurante del nuovo presidente della repubblica, Francisco Sagasti Hochhausler, e la decisione della procuratrice generale Zoraida Àvalos di avviare un'indagine preliminare contro Manuel Merino (presidente dal 9 al 15 novembre) con l'accusa di omicidio colposo, abuso di potere, lesioni gravi e sequestro. La democrazia si è imposta grazie a un'intensa pressione pubblica, che ha disarmato il gruppo parlamentare promotore della destituzione del presidente Martín Vizcarra il 9 novembre.

Restare vigili

Da questi giorni di crisi politica e sociale possiamo trarre alcuni insegnamenti. Il primo è che non bisogna arrendersi e bisogna chiamare le cose con il loro nome. Come La maggioranza dei peruviani, questo quotidiano ha scritto da subito che la decisione presa dal congresso il 9 novembre, anche se sancita da una votazione, era un colpo di stato nella forma e nella sostanza. Altrettanto importante è stata la risposta rapida della popolazione, che ha capito il pericolo ed è scesa in piazza per difendere la democrazia. Migliaia di peruviani, soprattutto giovani, sostenuti dalle famiglie e dalle comunità con rumorose caceroladas (manifestazioni pacifiche e rumorose), si sono imposti come il fronte democratico più importante, in grado di frenare la deriva autoritaria. La repressione brutale delle proteste pacifiche da parte della polizia ha peggiorato la situazione di Merino e del suo governo, che si sono dimessi. Il Perù ha superato un momento difficile. Le forze autoritarie e i loro alleati corrotti in parlamento sono stati sconfitti, ma sono sempre lì. Per questo la cittadinanza deve restare vigile. La transizione è appena cominciata.

Internazionale 1385 | 20 novembre 2020


LE PAROLE PER DIRLO
"IL VANGELO È L'AVVENIRE DELL'UMANO" (D. COLLIN)

di DERIO OLIVERO Vescovo di Pinerolo

Oggi sono stato folgorato dal titolo di un libro: "Il cristianesimo non esiste ancora". Domani vado a comprarlo. È proprio vero: il cristianesimo è davanti a noi, non alle nostre spalle. Che tristezza vedere tanti cristiani che vivono di nostalgia! Per loro il cristianesimo è una "Cosa del passato". Attaccati ad "una" delle forme del cristianesimo, quella che hanno incontrato da ragazzi. Lo so, li capisco. Tutti siamo affezionati alla nostra infanzia e alla nostra gioventù: erano tempi "magici". I giochi, i profumi delle minestre di mamma o dei suoi gnocchi alla panna, le scorribande con gli amici, i primi innamoramenti, la voglia di cambiare il mondo, i sogni per rivoluzionare la società, le notti passate attorno ad una bottiglia di vino a progettare il futuro. Anch'io sono affezionato a quel tempo, che con il passare degli anni sto mitizzando, come tutti. In quel tempo ci sta anche la prima comunione" e le esperienze giovanili in parrocchia. Il rischio (per me e per tutti) è pensare che quella fosse la vera società e la vera Chiesa. Ma non è così. Difendere quella forma di Chiesa è solo un modo per difendere se stessi. Non è questa la Tradizione. La Chiesa non ha 50 anni, neppure 100, neppure 200. Ha duemila anni. Essere fedeli alla tradizione significa essere consapevoli che la forma della Chiesa è cambiata decine di volte. Essere fedeli alla tradizione significa sapere che la Chiesa è sempre in trasformazione.
Qual è la Chiesa vera? Quella dei Padri, quella del Medio Evo, quella di Trento, quella della lotta antimodernista? Io sono un innamorato della Tradizione, cioè della capacità della Chiesa di trasformarsi e rinnovarsi. Il vero "difensore della tradizione" è colui che prova a cambiare. Gli altri sono solo dei cultori della cenere, degli adoratori dei musei. Uomini e donne con lo sguardo corto, incapaci di guardare la storia oltre la propria esperienza fatta da bambini. Spesso attaccati ad un'immagine "parziale" di Chiesa, che difendono come un trofeo, un simulacro, una coppa. E con violenza attaccano tutti coloro che provano a dire: "Amico, in mano non hai la Verità, ma un piccolo riflesso della Verità, una forma storica". Perché da sempre è così: chi difende se stesso diventa violento; chi non ha ragioni valide da difendere compensa la sua mancanza di ragioni con la violenza. Per fortuna sono un cristiano, cioè un piccolo uomo, fragile, limitato, ma con una fortuna enorme: Gesù Cristo è morto per liberarmi, per aiutarmi ancora a credere alla libertà, che si compirà nella vita eterna. Trionfo di libertà e fraternità. Azzeramento della violenza e dell'egoismo dispotico. Per questo continuo a lottare per questa fede. Consapevole che "il cristianesimo vero non esiste ancora". Sono felice di dedicare la vita a qualcosa di grande, che mi sta davanti. Talmente grande che, anche nella nostra epoca, non raggiungeremo; ma la sua ricerca riempie di senso il nostro cammino. Per questo il cristianesimo vero è ancora inaudito ed inedito.

L ECO del Chisone, 18 novembre
[il Manifesto 18 novembre]
Tutti maschi al comando dell'emergenza sanitaria

Ci avevo già pensato a inizio pandemia ma l'altro ieri mi è tornato in mente con un post di Instagram che annunciava la nuova puntata di un noto programma di approfondimento di Rai 3: su dodici ospiti invitati a parlare di Covid undici erano uomini. Avevo smesso di farci caso ma è così da febbraio: le voci emblematiche di questa emergenza - politici, virologi, amministratori - sono perlopiù maschili. Uomini, solo uomini quelli che contano. Avanti con gli anni, coi loro completi grigi o blu scuro, o in camice bianco, li vediamo salire sui loro scranni oppure in collegamento, esporsi, contraddirsi, azzuffarsi, in questo pandemonio infodemico che confonde autorevolezza ed egopatia.
L'emergenza parla con voce di maschio: la conferma l'ho avuta cercando l'elenco dei membri dell'organo più citato in questi mesi, il comitato tecnico-scientifico: nei primi mesi i venti membri erano tutti uomini. Sono dovute arrivare le (sacrosante) proteste per far aggiungere, il 15 maggio con un'ordinanza integrativa, sei donne.
Mediaticamente le donne che vediamo intervenire sono in secondo piano, o altrove, in altri stati, oppure finiscono - a torto o a ragione - a giocare il ruolo delle inette: il ciondolo a forma di virus, i banchi con le rotelle.
Eppure la storia ha consegnato (imposto) alle donne il ruolo della cura: sono loro quelle che si occupano della vita e della morte, che accudiscono, assistono. Mamme, infermiere, suore, badanti. Sempre loro, solo che qua si tratta di decidere, governare. Si tratta di potere. Una tendenza confermata del resto anche nella sanità: le donne medico sono circa il 40 per cento, ma i primari donna negli ospedali raggiungono solo il 14 per cento (concentrate in pediatria e ginecologia).
Quando il gioco si fa duro arrivano i padri, e i nonni: scendono in campo i capifamiglia. Ci troviamo a pendere dalle loro labbra, reiteriamo le loro parole, ci abbeveriamo alla loro fonte, non proprio nutriente, del loro immaginario. Dove sono le donne? Anche perché sappiamo che ci sono differenze di genere, innate e culturali, nella gestione delle emergenze: ce lo insegnano le neuroscienze, l'antropologia, la psicologia. Non voglio azzardarmi a dire che le donne farebbero meglio, ma una più equa rappresentanza ci avrebbe regalato di sicuro chance di visione in più.
La mancanza di prospettive e lo strapiombo comunicativo che abbiano davanti forse arrivano anche da questa unilateralità, la schizofrenia tra autoritarismo, pavidità e decisioni casuali credo arrivino anche da qui. La pandemia, tra le altre cose, è il reagente che disciolto nella nostra società sta rivelando ciò che dovrebbe già essere sotto i nostri occhi: il potere che mette in scena se stesso sceglie sempre per auto-conservarsi.
Non è normale, non dovrebbe essere normale. Non si tratta di mitizzare il femminile, ma di rilevare un vuoto, un'anormale normalità resa ancora più inquietante dal fatto che passi sotto silenzio. Questo paese continua ad avere un gigantesco problema con la leadership femminile.
JONATHAN BAZZI

(Domani, 13 novembre)
[il Manifesto, 22 novembre]

COSÌ MULTITASKlNG DA STAR MALE
Zoom è l'altro virus nella nuova società dell'iperstanchezza

"Stanchezza" è la parola che torna con più insistenza nella vita quotidiana al tempo del Covid-19. L'Organizzazione mondiale della sanità ha diagnosticato come pandemic fatigue quella sensazione di affaticamento che proviamo come «naturale reazione a una situazione che dura da molto e di cui non si vede la fine». La paura del contagio, unita alla paura del futuro, genera un effetto di sovraccarico fisico ed emotivo, a cui rischiano di soccombere soprattutto le persone che meno possono contare su fattori di protezione individuali e collettivi. In più, per chi lavora da casa, per chi continua a svolgere le attività consuete attraverso canali virtuali, alla fatica generata dal virus si somma una forma specifica di sfinimento. Anche questa ha un nome: è stata chiamata Zoom fatigue, dal nome della piattaforma più famosa del momento, ma gli effetti di altre applicazioni come Microsoft Teams, Google Meet o Bluejeans, sono del tutto simili. In un lungo articolo intitolato The anatomy of Zoom fatigue, lo studioso di culture della rete Geert Lovink disseziona la nostra vita lavorativa (e relazionale) online.

L'ossessione per la performance
Accanto alla difficoltà di comunicare in mancanza di supporti non verbali e ambientali, ciò che emerge con forza è la richiesta di prestazione cui ci costringe la nostra immagine riflessa nello schermo. «In pochi secondi ti trovi incapsulato in quell'io performativo che sei tu. Sto muovendo la testa per assumere una posizione più favorevole? Questo angolo mi dona?». Il tempo del video aggiunge il suo carico esigente al regime di lavoro post fordista già imperniato, da ben prima dell'era Covid, sull'automotivazione e sulla performance individuale. Ma vi aggiunge anche un sentimento di continua inadempienza, per la distrazione, la tentazione del multitasking, e quella sensazione di disagio fisico e psichico che sempre ci accompagna.
«Zoom ha moltiplicato il lavoro, ha ampliato la partecipazione e ha inghiottito il tempo per scrivere, per pensare, per divertirsi e per le relazioni con la famiglia e gli amici», scrive Lovink. «I livelli dell'indice di massa corporea sono aumentati, gli stati affettivi e la salute mentale sono stati alterati, la coordinazione motoria è stata distrutta, insieme alla capacità del cervello di gestire il movimento attraverso lo spazio fisico come risultato dell'eccesso di tempo trascorso davanti allo schermo».

L'auto-sfruttamento
In un saggio di dieci anni fa, Byung-Chul Han parlava di «società della stanchezza» analizzando il disagio dell'individuo tardo-moderno in un mondo ossessionato dalla prestazione e della competizione. Libero dai vincoli della società disciplinare del passato, privo di obblighi ma anche di tutele, l'individuo non accede a una vita più ricca di pensiero, cura o tempo per sé, ma si avvia verso forme di super-lavoro che aumentano fino all'auto-sfruttamento. Da qui i disturbi tipici della nostra epoca, come depressione e sindrome da burnout.
È interessante notare che per Han questo paesaggio patologico distingue il nostro tempo da quello precedente, che chiama l'epoca «batterica» o «virale», superata grazie alla tecnica immunologica. Cioè, sostiene il filosofo, mentre il paradigma immunologico del passato era adeguato a descrivere il nostro rapporto con una minaccia estranea, con il «negativo», il paradigma odierno vede piuttosto un soggetto che si ammala per eccesso di «positività», per gli effetti della sovrapproduzione, dell'iperprestazione, della comunicazione.
Alla luce della pandemia che sta flagellando il pianeta pare difficile liquidare come superata la minaccia dell'epoca virale, e sottovalutare la necessità di una reazione immunologica. Piuttosto, dobbiamo constatare la coesistenza dei due paradigmi, notando l'affaticamento da prestazione lavorativa che cresce, mentre il mondo rallenta per fermare il contagio. Quella in cui stiamo vivendo la chiamerei perciò una società dell"'iperstanchezza", il cui stress fisico e mentale ha un'origine doppia: la fatica necessaria ad "immunizzarci" - a proteggerci, tenere lontano il virus e combatterlo - e quella impiegata per adeguare ogni giorno l'immagine del nostro Io alla performance che ci è richiesta. L'iperstanchezza produrrà nuove malattie neuronali? Possibile. Ma nella pandemia, che mette a nudo la fragilità e il bisogno di cura dei corpi, il sovraccarico potrebbe anche generare una reazione: indurre persone iperstanche a dirsi anche stufe, anzi arcistufe, e a opporre un rifiuto alle domande di prestazione senza fine.
GIORGIA SERUGHETTI, filosofo

Domani, 16 novembre 2020

sabato 28 novembre 2020

PER NON RIMUOVERE L' ALDILA'

 BRUNETTO SALVARANI, Dopo. Le religioni e l'adilà, Editori Laterza, Bari 2020, pgg200, Euro 18.00.

Facendo seguito alla presentazione del libro compiuta in rete il mese scorso, mi preme sottolineare  che queste pagine, dense  ed accessibili, colmano un vuoto della teologia cristiana.

Parecchie generazioni di cristiani hanno subito una predicazione terrorizzante sul "dopo morte", a forte tinteggiatura infernale .

Nel panorama culturale delle ultime generazioni la morte e il dopo sembrano dissolversi nella scomparsa del futuro.

La domanda del dopo morte può essere rimossa, ma essa continua a battere alle porte della nostre vite. Il pregio di queste pagine sta proprio nel ricondurci a visitare le diverse tradizioni religiose per cogliere, dentro questo orizzonte , le differenze che le caratterizzano.

Fa parte di un umanesimo consapevole e adulto la capacità di "pensare la morte" nei giorni della vita, sfuggendo alla rimozione o alle ideologie del diventare post-mortali.

Tra chi accoglie la morte come fine di tutto e chi pensa alla morte come "malattia o limite," superabile con le nuove tecnologie, l'Autore propone di misurarsi con le tradizioni religiose che da sempre accompagnano il viaggio dell'esistenza umana.

Il credente in Dio è consapevole che qui la fede apre un orizzonte che fa della nostra vita una esistenza con una finestra sempre aperta verso un futuro di pienezza nel "porto" della vita che è Dio.

Franco Barbero

RSA: ANCORA SOTTO INCHIESTA

 Strage di anziani nelle Rsa

A Torino undici indagati per epidemia e omicidio


Le inchieste sulla prima ondata della pandemia che ha investito il 

Piemonte da fine febbraio cominciano a registrare i primi indagati. 

Dei 30 fascicoli aperti in procura a Torino, uno si è «sbloccato», uscendo

 dalla formula delle accuse contro ignoti. Sono 11 – tra responsabili di 

strutture e addetti ai controlli delle Asl – a essere accusati di epidemia

 colposa e (per 8 di questi) omicidio colposo in relazione alla gestione

 dell'emergenza nelle Rsa, uno dei più grandi focolai del Nord Ovest con

 3.523 anziani positivi sui 28 mila delle 700 strutture private.


Due i fascicoli che portano in dote i nomi dei presunti responsabili. Il primo riguarda le Rsa «Chiabrera» e «Massimo D'Azeglio». Sono indagati i vertici della società Gheron, proprietaria delle strutture, e tre componenti della commissione di vigilanza dell'Asl. Tutto ruota attorno a un trasferimento «non autorizzato» di numerosi pazienti Covid dalla D'Azeglio alla Chiabrera avvenuto alla vigilia di Pasqua. Una decisione anomala, presa troppo «frettolosamente» che aveva insospettito da subito gli investigatori. Ma soprattutto che avrebbe dovuto essere preventivamente comunicata – e autorizzata – dalla commissione di vigilanza.

In quel periodo le due Rsa avevano aderito alla richiesta della Regione di ospitare pazienti Covid positivi provenienti dagli ospedali. E gli spostamenti non autorizzati insieme alle carenze sulle misure di sicurezza – questi i punti dell'accusa – avrebbero favorito l'evoluzione dell'epidemia. La Guardia di Finanza ha tracciato più di cento anziani morti nelle due strutture durante la prima ondata del virus. 

Ora i ricoveri alla «Chiabrera» sono stati bloccati e i familiari di una ventina di vittime hanno presentato esposti (6 si sono affidati all'avvocato Mauro Molinengo) ma la procura vuol fare chiarezza su tutti i decessi. Con una specifica: «La delibera regionale non è oggetto di indagine» precisano a Palagiustizia. Non solo: un ultimo fatto è entrato da poco nei radar dei finanzieri e della procura (pm Rossella Salvati). L'8 novembre scorso «nonostante una formale diffida (inoltrata il 14 maggio 2020) un trasloco (stavolta in senso contrario dalla D'Azeglio alla Chiabrera) non autorizzato si sarebbe ripetuto. Lo scrive la commissione di vigilanza in un verbale del 20 novembre scorso e finito agli atti dell'inchiesta che ora promette dunque di allargarsi. «Si tratta di ospiti Covid positivi» si legge. Dal verbale di sopralluogo si apprende «che si assiste a un continuo passaggio di operatori da un Rsa all'altra nonostante l'ulteriore diffida a utilizzare percorsi interni per trasferimenti di personale e ospiti». E da due giorni ci sono tre indagati per la gestione dell'emergenza nella residenza per anziani «Madama Cristina», sempre a Torino. Nei guai sono finiti il direttore, l'ex direttore sanitario e il legale rappresentante. L'inchiesta, coordinata dal pm Vincenzo Pacileo prende il via dagli accertamenti effettuati dalla commissione di vigilanza dell'Asl dopo una serie di esposti, di segnalazioni dei familiari e degli operatori sanitari. Gli ispettori avrebbero rilevato gravi carenze nella gestione della pandemia e il mancato rispetto delle normative sulla sicurezza degli ambienti di lavoro. Tra le contestazioni della Procura c'è il non aver adottato le misure adatte a contenere la diffusione del Covid: la mancanza di dispositivi di protezione personale, una formazione del personale carente o comunque inadeguata, il mancato isolamento degli ospiti sintomatici. —

Irene Famà – Giuseppe Legato, la Stampa 27 novembre

LA VOCE DI UNA VERA EUROPEISTA

 Bonino “Inaccettabile il ricatto dei 5Stelle sul Mes

Recovery, ritardo rischioso”

ROMA — «Basta con il ricatto dei 5Stelle che non vogliono i soldi del Mes per la sanità: lo spieghino ai pazienti, alle famiglie, ai medici e agli infermieri in questo momento di rinnovata pandemia. E sul Recovery Plan ogni ritardo è inaccettabile ». Emma Bonino, senatrice di +Europa, ex ministra degli Esteri e storica leader radicale, non tende la mano alla maggioranza giallorossa: mercoledì a Palazzo Madama non voterà lo scostamento di bilancio. Ma prepara una nuova risoluzione parlamentare per spingere sul Mes.

Bonino, da Bruxelles arrivano segnali di insofferenza per i ritardi italiani sul Recovery Plan, anche se il governo rassicura. Tardare sarebbe un rischio per l’Italia e per la sua ripresa?

«Sarebbe un rischio non solo tardare, ma anche arrivare all’appuntamento con una “lista della spesa” di centinaia di progetti o provando a mettere sul conto del Recovery interventi inammissibili, come la riduzione della pressione fiscale sul lavoro. Siamo rimasti a due mesi fa quando c’erano 577 progetti per un importo pari al triplo dei 209 miliardi a disposizione dell’Italia. E manca ancora qualunque tipo di informazione certa su cosa e come si procederà. D’altronde è sotto gli occhi di tutti la complessità del negoziato europeo con le posizioni inaccettabili di Ungheria, Polonia e Slovenia. Come ha detto bene ieri Bini Smaghi proprio a Repubblica , se l’Italia userà male i fondi e non accede al Mes, uscirà da questa crisi vedendo aumentare il proprio distacco dai competitori europei che lo useranno meglio».

Ma l’opposizione dei 5Stelle sul Mes per la sanità sembra non scalfibile. Come +Europa cercherete di accelerare il voto sul Mes in Parlamento? Quale mossa farete?

«Noi le abbiamo provate tutte. Ci riproveremo forse con una risoluzione, vedremo: non desistiamo, perché questo rifiuto demagogico dei 5Stelle è inaccettabile. Non possono tenere sotto ricatto».

Intende, tenere sotto ricatto il Pd e il resto della maggioranza pro Mes?

«Tenere sotto ricatto i cittadini.

Vorrei vedere i grillini fare un’assemblea con i pazienti, i familiari, i portantini, i medici, gli infermieri in questa fase di rinnovata pandemia e spiegare perché non dobbiamo prendere i soldi del Mes! Mi pare evidente che la strategia del governo è di continuare a rimandare a una specifica discussione parlamentare la decisione sul Mes e nello stesso tempo di continuare a rinviarla in attesa di tempi migliori. Si può andare avanti così all’infinito. Mi chiedo che idea abbiano i molti parlamentari di maggioranza che hanno aderito all’intergruppo per il “Mes subito”. Al momento costituiscono solo l’alibi per un pluralismo di facciata, per cui sul Mes non si è formalmente ancora deciso nulla, anche se nella sostanza si continua a decidere per il no».

In vista c’è un allargamento della maggioranza? Lei ci sta? E pensa si possa coinvolgere Fi?

«Non sono molto brava in fatto di tattiche parlamentari. Penso che la maggioranza abbia più da temere dai “numeri” della realtà che da quelli del Parlamento. Per quello che riguarda +Europa noi di questa maggioranza non facciamo e non faremo parte. Cambiare le maggioranze significa cambiare i governi».

E non vede il cambio del governo Conte all’orizzonte?

«No».

La pandemia e la crisi economica e sociale impongono una responsabilità di tutte le forze politiche, come chiede il presidente Mattarella. È d’accordo?

«Non penso che il presidente Mattarella intenda la “responsabilità” come vorrebbero alcuni suoi interessati interpreti, nel senso del dovuto soccorso alla maggioranza, quando questa ne ha bisogno».

Lei voterà lo scostamento di bilancio mercoledì in Senato dove la maggioranza è in bilico, a meno che non ci sia il soccorso dei forzisti?

«No. Proprio per ragioni di responsabilità. Mentre a ogni scostamento si fanno nuovi miliardi di debito, che a differenza di quanto pensa qualche mio collega come il presidente dell’europarlamento, l’Italia dovrà pagare fino all’ultimo euro (anche perché i principali creditori sono le banche e i risparmiatori italiani), trovo intollerabile la negligenza con cui si rifiuta il Mes e si caricano sulle spalle dei contribuenti del futuro miliardi di maggiori interessi sul debito pubblico. Non pretendo di decidere come spendere i soldi. Ma esigo che almeno non se ne butti una parte fuori dalla finestra, perché così vuole il M5S».

Giovanna Casadio, la Repubblica 23 novembre


GRANDI PAROLE E SPESSO ....POCHI FATTI

 Il flop dei tamponi rapidi dal medico solo un dottore su tre disposto a farli


Il tampone dal medico di famiglia ha fatto flop. In teoria poco più di un assistito su tre ha oggi la possibilità di bussare alla porta del proprio dottore per farsi fare un tampone rapido. Nella realtà in molti casi quel 38% di loro che ha dato la disponibilità a farli non è ancora passato dalle parole ai fatti, aspettando che la propria Asl gli indichi un luogo più sicuro del proprio studio dove "tamponare" i propri pazienti, senza rischiare di infettare chi è in sala d'attesa per curare altri malanni. Così a un mese dalla firma dell'accordo tra la principale sigla di categoria, la Fimmg e la Sisac, l'organismo delle Regioni che regola la convenzione dei medici di base si è ancora punto e a capo.

Il quadro non proprio confortante emerge dall'indagine condotta da La Stampa consultando le Regioni, che per una volta hanno risposto in massa, con le sole eccezioni di Calabria e Provincia di Bolzano, fornendo dettagli anche sullo stato dell'arte delle Usca. Le "unità speciali di continuità assistenziale", fatte di medici e infermieri imbracati nelle tute bianche antivirus, che dovrebbero andare ad assistere gli oltre 750mila positivi in isolamento domiciliare che quando iniziano ad avere sintomi non sanno a che santo votarsi. «Al 31 ottobre ne erano state avviate meno del 50%» ha tuonato la Corte dei Conti nel report del quale abbiamo riferito ieri. Il decreto legge che le ha istituite a marzo ne prevedeva una ogni 50mila abitanti. In tutto, rapportato alla popolazione italiana fanno 1.204 «squadre speciali». C'è da dire che in questi giorni le regioni si sono rimboccate le maniche e a oggi, da nord al sud dello Stivale, se ne contano persino di più: 1.312. Ma non è tutto ora quello che luccica. Prima di tutto per le forti differenze regionali. Perché se alcune regioni come Piemonte, Valle d'Aosta, Lazio, Toscana, Marche, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna ne hanno realizzate anche più di quel che il decreto indicava, le altre sono tutte sotto soglia e l'Abruzzo in pari. La Lombardia ne ha 157 anziché 202, il Veneto ne attivate ha 51 su 98, il Friuli 7 su 24.

Il vero problema però non è quante sono ma cosa fanno. Secondo lo stesso decreto di marzo dovrebbero garantire la gestione domiciliare dei pazienti Covid che non hanno bisogno di ricovero. Ed essere composte dai più esperti medici di famiglia, da quelli di guardia medica, dagli infermieri e dagli assistenti sociali. In molti casi invece le Usca corrono più da una parte all'altra a fare tamponi che ad assistere, i medici di famiglia se ne sono spesso rimasti nei loro studi e di assistenti sociali «ne sono stati assunti 150 sui 604 previsti», denuncia Gianmario Gazzi, presidente nazionale dell'Ordine della categoria. «Il Piemonte li ha integrati nelle Usca, ma in larga parte delle regioni – spiega – non è stato così. Eppure è l'assistente sociale che sa chi deve attivare quando c'è da portare la spesa a un anziano solo o organizzare l'assistenza al figlio malato di genitori positivi». «Tempo fa – racconta – un adolescente è rimasto solo a casa perché entrambi i genitori erano stati ricoverati per Covid. Poi magari il problema lo risolvono gli stessi medici e infermieri delle Usca, ma così finiscono per essere distratti dal loro compito principale, che è quello di fare diagnosi e somministrare cure».


Paolo Russo, La Stampa 27 novembre



LE DONNE CHIEDONO FATTI E SCELTE CONCRETE

 Il contrasto della violenza contro le donne: tra retorica e realtà

25-11-2020 - di ActionAid

Lo ha chiesto di recente il Consiglio d’Europa. Lo chiedono da anni i centri antiviolenza e molte associazioni delle società civile. Soprattutto, però, lo chiedono le donne che subiscono violenza: l’Italia deve dotarsi di un sistema di prevenzione e protezione pienamente funzionante in tutte le sue parti e ugualmente accessibile su tutto il territorio italiano. Sebbene alcuni miglioramenti siano stati registrati nel corso degli ultimi anni, permane ancora un’ampia distanza tra quanto previsto dalle norme nazionali e internazionali e quanto attuato nella pratica quotidiana. Lo ha dimostrato con inequivocabile evidenza l’emergenza sanitaria da Covid-19 che, come una cartina tornasole, ha messo in luce la fragilità di un sistema ancora troppo spesso caratterizzato da difficoltà gestionali, economiche e di coordinamento a vari livelli istituzionali. Sono state approvate norme, adottati piani antiviolenza a livello nazionale e regionale, erogati fondi e realizzati interventi di prevenzione e protezione, eppure, tutto ciò non è ancora sufficiente per dotare il nostro Paese di un sistema articolato capace, da un lato, di incidere profondamente sulla cultura patriarcale e maschilista che produce la violenza di genere e, dall’altro, di fornire adeguato supporto alle donne che di tale cultura sono vittime.
Il monitoraggio dei fondi antiviolenza realizzato da ActionAid sostanzia un quadro che desta preoccupazione.
Ricostruendo l’intera filiera delle risorse statali e regionali stanziate per il periodo 2015-2020, è stato possibile verificare l’effettivo impegno delle istituzioni centrali e territoriali nel prevenire la violenza e garantire protezione e assistenza alle donne che la subiscono. È stato altresì possibile raccogliere importanti indicazioni per migliorare prassi operative e procedure burocratico amministrative che dovrebbero essere tenute in debito conto dalle Amministrazioni statali e regionali per migliorare la propria capacità di risposta alla violenza contro le donne.
In prossimità della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è auspicabile un definitivo cambio di paradigma. Non più solamente brevi campagne di comunicazione che velocemente vengono dimenticate, non più annunci di ripartizioni di risorse che da mesi dovrebbero essere già state trasferite, non più eventi che – seppur apprezzabili – non producono quei cambiamenti strutturali necessari per contrastare la violenza. Serve altro. Serve che la violenza maschile contro le donne sia all’ordine del giorno nelle agende politiche nazionali, regionali e locali 365 giorni all’anno, e non solo il 25 novembre. Le agende però non possono essere solo quelle delle rappresentanti istituzionali con delega alle pari opportunità, devono essere anche le agende di tutte e tutti coloro che siedono a vario titolo ai tavoli del Governo, del Parlamento, delle Regioni e di tutte le amministrazioni e agenzie coinvolte nella prevenzione e nel contrasto della violenza così come nell’assistenza e protezione delle donne che quella violenza la subiscono. Lo stesso livello di impegno è altrettanto necessario sia assunto anche da chi si occupa dal punto di vista burocratico di realizzare le politiche e gli interventi. Solo tale cambio di priorità nelle agende della politica permetterebbe di dotare l’Italia di un sistema di prevenzione e protezione strutturato e articolato in grado di dare pronte risposte alle donne in tempi ordinari così come in quelli emergenziali.
Nelle pagine del dossier realizzato da ActionAid vi sono molti dati, analisi dettagliate e raccomandazioni puntuali, così come tante indicazioni di chi lavora direttamente con le donne e nelle istituzioni che possono orientare le strategie e le prassi future. Alla vigilia della redazione di un nuovo piano antiviolenza, si parta da qui, dal confronto basato su evidenze empiriche e testimonianze dirette, per stendere un piano strategico e programmatico attuabile, che permetta di colmare le lacune presenti nel sistema antiviolenza in vigore. Non solamente perché lo chiede il Consiglio d’Europa, ma perché le donne hanno il pieno diritto di vivere una vita senza violenza e le istituzioni italiane hanno il dovere di garantirlo.