venerdì 1 ottobre 2021

LA GIUSTIZIA SCOLLEGATA DALLA REALTA'....

 La giustizia scollegata dalla realtà che trasforma l'accoglienza in reato

Luigi Manconi

La Stampa 1/10/2021

Promotore di un'associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Questa è la pesantissima accusa a seguito della quale Mimmo Lucano, già sindaco di Riace, ha subito una ancora più pesante condanna: tredici anni e due mesi di reclusione. Va ricordato, in primo luogo, che l'integrità morale di Lucano non è stata assolutamente sfregiata dall'esito del dibattimento. Non gli è stato addebitato, infatti, alcun interesse economico personale. Dunque, da quella sua attività Lucano non ha ricavato alcun guadagno illecito. E per quanto riguarda il «vantaggio politico» che sarebbe stato perseguito, secondo l'accusa, resta agli atti il duplice rifiuto opposto all'offerta di candidatura in occasione delle elezioni politiche del 2018 e quelle europee del 2019. Diventa, così, difficile sottrarsi all'idea di uno spropositato accanimento giudiziario, tanto più se si tiene conto che la pena richiesta dall'accusa era di circa la metà di quella, poi, inflitta dal tribunale.

Siamo in presenza, quindi, di un verdetto abnorme e per tentare di comprendere come sia potuto accadere, è necessario risalire all'origine della vicenda. Indicata come modello di accoglienza e integrazione a livello europeo, Riace è stata capace, di governare un fenomeno per sua natura tendenzialmente ingovernabile, sempre oscillante tra inclusione e irregolarità, costantemente precario eppure vitalissimo. Una saggia amministrazione di quella comunità (così come di altre del meridione italiano) ha dimostrato la possibilità di un'accoglienza che valorizzi e le risorse della collettività locale e quelle dei nuovi arrivati, portando al ripopolamento e alla rinascita di borghi e territori altrimenti destinati al declino, garantendo la convivenza pacifica tra gruppi e culture differenti. Tutto ciò, va da sé, non può avvenire senza limiti e senza errori: è, appunto, una sorta di esperimento sociale che, quando riesce, assume la forza esemplare di un modello, al di là delle dimensioni, magari ridotte, dell'esperimento stesso. Secondo la BBC, quel sindaco avrebbe «fermato l'esodo dalle sue terre, creato nuovi posti di lavoro, trovato soluzioni per l'accoglienza dei migranti». Suscitando un «circolo virtuoso» fra i nuovi arrivati e la cultura locale, così «da rilanciare la lavorazione dimenticata del rame e del legno». Tutto ciò in luoghi e ambienti estremamente complessi, segnati dalla lacerazione del tessuto sociale, dalla fragilità di tutte le istituzioni pubbliche e dalla presenza di organizzazioni criminali. In questo contesto l'amministrazione di Riace ha saputo «dare un posto al disordine», offrendo opportunità di integrazione e socializzazione, avviando nuovi servizi pubblici (raccolta differenziata dei rifiuti), rivitalizzando comunità gravemente depresse, assicurando «ordine pubblico».

In presenza di questo, una giustizia, incapace di comprendere la vita reale, i suoi affanni e le sue contraddizioni, di ascoltare il corpo sociale, i suoi sussulti ma anche i suoi sollievi, ha voluto «mettere le brache al mondo», animata da un sistema di pregiudizi e sospetti che hanno trasformato iniziative civiche e atti politici in altrettante fattispecie penali. E ha ridotto un sodalizio culturale ad associazione a delinquere. Vale la pena ricordare che quello associativo, secondo i giuristi liberali, è un classico «reato di sospetto», (inteso come di mero pericolo astratto). E c'è da temere altro. Pur se sappiamo bene che nel diritto la forma è sostanza, penso che neanche la più acribiosa osservanza del più arido formalismo giuridico avrebbe dovuto vedere nell'attività di Lucano un'intenzione criminale tale da giustificare la mancata concessione delle attenuanti «per motivi di particolare valore morale o sociale».

Tale circostanza fa temere il peggio: che dietro questa sentenza possa esservi una certa concezione ideologica destinata a sanzionare la politica dell'accoglienza come interpretata da Lucano e dai suoi sodali. E a penalizzare quel diritto al soccorso che costituisce il fondamento stesso dell'intero sistema dei diritti universali della persona. Spiace davvero dirlo ma questa sentenza sembra l'esito di quello che Cesare Beccaria definiva «un processo offensivo»: dove il giudice diviene nemico del reo. —