5 novembre, Roma: Non per noi ma per tutte e tutti!
02-08-2022 - Rete dei Numeri Pari
Volerelaluna
Non per noi ma per tutte e tutti: un appello a tutte le realtà sociali e sindacali, al volontariato laico e cattolico, perché vogliamo condividere con tutti e tutte la necessità, l’urgenza e la voglia di costruire una mobilitazione nazionale per il 5 novembre che sia plurale, partecipata, democratica e conflittuale per rimettere al centro del Paese la voce dei Diritti, contro le disuguaglianze e l’esclusione, per la giustizia sociale e ambientale.
Non per noi ma per tutte e tutti: un appello a tutte le realtà sociali e sindacali, al volontariato laico e cattolico, perché vogliamo condividere con tutti e tutte la necessità, l’urgenza e la voglia di costruire una mobilitazione nazionale per il 5 novembre che sia plurale, partecipata, democratica e conflittuale per rimettere al centro del Paese la voce dei Diritti, contro le disuguaglianze e l’esclusione, per la giustizia sociale e ambientale.
Questo non dipenderà dal colore e
dalla formazione politica che vincerà le prossime elezioni, perché nel
Paese c’è un problema strutturale: le crisi e i cambi di Governo non
cambiano la drammatica condizione sociale, materiale ed esistenziale che
vivono milioni di persone. La caduta del Governo Draghi ne è l’ennesima
dimostrazione. La politica si parla addosso, non risponde ai bisogni
reali delle persone e si gioca tutta su politicismo e tatticismo.
Ci spinge a costruire questo percorso la necessità di fare fronte alla drammatica situazione che si è generata nel nostro Paese negli ultimi due anni, dove all’aumento delle disuguaglianze causato dalle politiche di austerità imposte dall’Europa, si è sommato l’impatto della pandemia e infine la guerra. Questo a fronte di timide risposte spesso inefficaci da parte dei Governi che si sono succeduti. La politica considera evidentemente “accettabile” la condizione materiale ed esistenziale in cui vive la maggior parte delle persone nel nostro Paese: 5,6 milioni di persone in povertà assoluta e 8,8 milioni in povertà relativa; 4 milioni di lavoratori e lavoratrici povere; 8 contratti di lavoro su 10 precari; 3 milioni di giovani NEET; dispersione scolastica al 13%; analfabetismo di ritorno oltre il 30%; 10 milioni di persone non riescono più a curarsi e una persona su tre è a rischio esclusione sociale. Tutto questo mentre dal 2008 a oggi il numero dei miliardari è passato da 12 a 51 e tra marzo 2020 e novembre 2021 il valore dei patrimoni dei super-ricchi è cresciuto del 56%.
L’aumento senza precedenti nella storia della Repubblica delle disuguaglianze e dell’esclusione sociale rappresenta un enorme tradimento della nostra Costituzione e un gigantesco rischio per il funzionamento della democrazia. Ma nonostante le prospettive continuino a peggiore, l’impegno a sconfiggere disuguaglianze ed esclusione per garantire “pari dignità sociale” come stabilisce la nostra Costituzione sembra non rappresentare la priorità di nessun Governo e Parlamento degli ultimi 15 anni. Stiamo assistendo a una svolta autoritaria e tecnocratica che sta erodendo i principi della nostra democrazia.
L’accelerazione dei processi di emarginazione di fasce sociali sempre più ampie sta concorrendo in modo sostanziale ad acuire la crisi del sistema di rappresentanza politica, come mostra la larga e preoccupante astensione di decine di milioni di persone dal voto e dalla partecipazione attiva alla vita pubblica del Paese. Questa assenza di partecipazione unita alla mancanza o inefficacia delle risposte da parte di Governo e Parlamento continuano a indebolire la democrazia, delegittimando pericolosamente le istituzioni democratiche della Repubblica nata dalla Resistenza. Ma anche questo sembra essere accettato dagli attuali gruppi dirigenti della politica.
Il silenzio dei media e la massiccia campagna mediatica di arruolamento contribuiscono a semplificare il contesto nazionale e internazionale, omologando il dibattito nel Paese. Il risultato è che la nostra vita continua a peggiorare e il nostro Paese rischia di perdere le speranze, favorendo sempre di più lo sgretolamento della coesione sociale e delle possibilità di riscatto di chi vive già in grande difficoltà. In questo scenario sono la criminalità organizzata e le mafie a trarne maggior vantaggio, esercitando un ricatto sui territori, approfittando della disperazione di milioni di persone e offrendo un vero e proprio welfare sostitutivo mafioso in assenza di risposte dello Stato per garantire la giustizia sociale: precondizione per sconfiggere le mafie.
Il cuore del problema sta nel modello di sviluppo neoliberista, ormai da anni insostenibile socialmente e ambientalmente. All’interno di questo modello e in presenza di una crisi ecologica che colpisce molto di più le fasce più impoverite della popolazione, è impossibile garantire lavoro di qualità e salute, giustizia sociale e giustizia ambientale. Continuare a sostenere la visione della crescita economica infinita liberista ci sta portando alla catastrofe. A questo si aggiunge la militarizzazione in atto nel Paese, in cui ingenti risorse della spesa pubblica sono state spostate sulle spese militari. Una militarizzazione che si estende ai conflitti sociali e contro le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro rappresentanze sindacali.
Questo modello è responsabile dell’aumento della povertà, delle disuguaglianze, della precarietà lavorativa, dell’insicurezza sociale e sanitaria, del collasso climatico, delle pandemie e della crisi ecologica. La politica, purtroppo, non solo sembra non avere il coraggio di cambiarlo, ma a quanto pare ci continua a dimostrare ogni giorno di non avere nessuna intenzione di farlo. E se non cambia il modello di sviluppo le nostre prospettive saranno catastrofiche.
Stando così le cose, se non lottiamo per i nostri diritti non lo farò nessun altro per noi. Dobbiamo lavorare insieme per ridare alle nostre città e al nostro Paese una visione politica reale, contestualizzata, basata sulla realtà delle sofferenze e delle ingiustizie che incontriamo e viviamo ogni giorno sulla nostra pelle; una visione che sappia vedere anche a lungo termine, in grado di dare risposte, assumere la priorità della lotta per la giustizia sociale e ambientale, per far sì che quelle priorità siano poi trasformate in atti concreti dalla politica istituzionale.
Vogliamo andare in piazza perché siamo le vittime di questa crisi sistemica e strutturale che continueremo a pagare anche nei prossimi mesi con l’aumento dei prezzi e dell’inflazione. Perché le disuguaglianze e l’esclusione sociale continuano a crescere da 15 anni ma i Governi continuano a tagliare il Fondo Nazionale Politiche Sociali e rimandano qualsiasi riforma del welfare, continuando a scaricare completamente il peso del lavoro di cura sulle donne; perché centinaia di migliaia di famiglie rischiano di finire sfrattate per strada mentre i grandi costruttori continuano a speculare sugli affitti; perché viviamo male nei nostri quartieri dove ci trattano da cittadini e cittadine di serie B, vengono cancellati servizi e il welfare sostitutivo mafioso diventa l’unica alternativa; perché non vogliamo che le ragazze e i ragazzi finiscano nelle mani dei clan che sfruttano a loro vantaggio l’assenza dello Stato in troppi luoghi del Paese; perché nonostante la pandemia e 160 mila morti niente è stato fatto per la medicina territoriale, la salute pubblica e la prevenzione mentre si continuano a privatizzare i servizi sanitari e a investire troppo poco su ospedali e personale medico pubblico; perché vogliono distruggere l’unità della Repubblica attraverso la cosiddetta “autonomia differenziata”, realizzando il sogno della secessione dei ricchi, rendendo strutturali le disuguaglianze geografiche e il divario già esistente tra Nord e Sud; perché con il collasso climatico la nostra salute e la sicurezza sociale peggiorano, la siccità aumenta e si sciolgono i ghiacciai mentre il Governo con la scusa della guerra dirotta gli investimenti del PNRR (che erano per equità sociale e sostenibilità ambientale) su gas, carbone, armi e attività che favoriscono solo imprese private e non i cittadini e le cittadine; perché sul PNRR non è stata fatta nessuna co-programmazione e co-progettazione come prevedeva il codice del partenariato europeo e la sentenza 131 della Corte; perché la politica sta condannando il nostro Paese a maggiori disuguaglianze e a ulteriore debito pubblico, ancorando la nostra base produttiva a un modello di sviluppo insostenibile socialmente e ambientalmente che ci renderà tutti e tutte più poveri.
Non vediamo altro spazio per incidere, difendere e promuovere i nostri diritti, se non attraverso una mobilitazione costruita dal basso da soggetti sociali diversi, impegnati su obiettivi comuni per la Giustizia Sociale e Ambientale.
Vogliamo condividere con tutte e tutti proposte chiare e concrete su lavoro, casa, reddito, salario, servizi e politiche sociali, lotta alle mafie, riconversione ecologica, accoglienza e no all’autonomia differenziata (scarica le proposte). Proposte già condivise da centinaia di realtà della Rete dei Numeri Pari insieme ad altri soggetti, che continueremo a sottoporre al Governo, e che se fossero applicate sconfiggerebbero la “pandemia delle disuguaglianze”, rimettendo insieme il diritto al lavoro con il diritto alla salute, salvaguardando beni comuni, giustizia climatica e partecipazione.
Rivolgiamo quindi a tutte le realtà che condividono queste proposte l’appello a unirsi alla costruzione di questo percorso, organizzando assemblee territoriali per allargare la partecipazione e promuovere la mobilitazione del 5 novembre.
Per sottoscrivere l’appello, unirsi alla costruzione di questo percorso e promuovere la mobilitazione del 5 novembre scrivi a email: 5novembreinpiazza@gmail.com
Ci spinge a costruire questo percorso la necessità di fare fronte alla drammatica situazione che si è generata nel nostro Paese negli ultimi due anni, dove all’aumento delle disuguaglianze causato dalle politiche di austerità imposte dall’Europa, si è sommato l’impatto della pandemia e infine la guerra. Questo a fronte di timide risposte spesso inefficaci da parte dei Governi che si sono succeduti. La politica considera evidentemente “accettabile” la condizione materiale ed esistenziale in cui vive la maggior parte delle persone nel nostro Paese: 5,6 milioni di persone in povertà assoluta e 8,8 milioni in povertà relativa; 4 milioni di lavoratori e lavoratrici povere; 8 contratti di lavoro su 10 precari; 3 milioni di giovani NEET; dispersione scolastica al 13%; analfabetismo di ritorno oltre il 30%; 10 milioni di persone non riescono più a curarsi e una persona su tre è a rischio esclusione sociale. Tutto questo mentre dal 2008 a oggi il numero dei miliardari è passato da 12 a 51 e tra marzo 2020 e novembre 2021 il valore dei patrimoni dei super-ricchi è cresciuto del 56%.
L’aumento senza precedenti nella storia della Repubblica delle disuguaglianze e dell’esclusione sociale rappresenta un enorme tradimento della nostra Costituzione e un gigantesco rischio per il funzionamento della democrazia. Ma nonostante le prospettive continuino a peggiore, l’impegno a sconfiggere disuguaglianze ed esclusione per garantire “pari dignità sociale” come stabilisce la nostra Costituzione sembra non rappresentare la priorità di nessun Governo e Parlamento degli ultimi 15 anni. Stiamo assistendo a una svolta autoritaria e tecnocratica che sta erodendo i principi della nostra democrazia.
L’accelerazione dei processi di emarginazione di fasce sociali sempre più ampie sta concorrendo in modo sostanziale ad acuire la crisi del sistema di rappresentanza politica, come mostra la larga e preoccupante astensione di decine di milioni di persone dal voto e dalla partecipazione attiva alla vita pubblica del Paese. Questa assenza di partecipazione unita alla mancanza o inefficacia delle risposte da parte di Governo e Parlamento continuano a indebolire la democrazia, delegittimando pericolosamente le istituzioni democratiche della Repubblica nata dalla Resistenza. Ma anche questo sembra essere accettato dagli attuali gruppi dirigenti della politica.
Il silenzio dei media e la massiccia campagna mediatica di arruolamento contribuiscono a semplificare il contesto nazionale e internazionale, omologando il dibattito nel Paese. Il risultato è che la nostra vita continua a peggiorare e il nostro Paese rischia di perdere le speranze, favorendo sempre di più lo sgretolamento della coesione sociale e delle possibilità di riscatto di chi vive già in grande difficoltà. In questo scenario sono la criminalità organizzata e le mafie a trarne maggior vantaggio, esercitando un ricatto sui territori, approfittando della disperazione di milioni di persone e offrendo un vero e proprio welfare sostitutivo mafioso in assenza di risposte dello Stato per garantire la giustizia sociale: precondizione per sconfiggere le mafie.
Il cuore del problema sta nel modello di sviluppo neoliberista, ormai da anni insostenibile socialmente e ambientalmente. All’interno di questo modello e in presenza di una crisi ecologica che colpisce molto di più le fasce più impoverite della popolazione, è impossibile garantire lavoro di qualità e salute, giustizia sociale e giustizia ambientale. Continuare a sostenere la visione della crescita economica infinita liberista ci sta portando alla catastrofe. A questo si aggiunge la militarizzazione in atto nel Paese, in cui ingenti risorse della spesa pubblica sono state spostate sulle spese militari. Una militarizzazione che si estende ai conflitti sociali e contro le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro rappresentanze sindacali.
Questo modello è responsabile dell’aumento della povertà, delle disuguaglianze, della precarietà lavorativa, dell’insicurezza sociale e sanitaria, del collasso climatico, delle pandemie e della crisi ecologica. La politica, purtroppo, non solo sembra non avere il coraggio di cambiarlo, ma a quanto pare ci continua a dimostrare ogni giorno di non avere nessuna intenzione di farlo. E se non cambia il modello di sviluppo le nostre prospettive saranno catastrofiche.
Stando così le cose, se non lottiamo per i nostri diritti non lo farò nessun altro per noi. Dobbiamo lavorare insieme per ridare alle nostre città e al nostro Paese una visione politica reale, contestualizzata, basata sulla realtà delle sofferenze e delle ingiustizie che incontriamo e viviamo ogni giorno sulla nostra pelle; una visione che sappia vedere anche a lungo termine, in grado di dare risposte, assumere la priorità della lotta per la giustizia sociale e ambientale, per far sì che quelle priorità siano poi trasformate in atti concreti dalla politica istituzionale.
Vogliamo andare in piazza perché siamo le vittime di questa crisi sistemica e strutturale che continueremo a pagare anche nei prossimi mesi con l’aumento dei prezzi e dell’inflazione. Perché le disuguaglianze e l’esclusione sociale continuano a crescere da 15 anni ma i Governi continuano a tagliare il Fondo Nazionale Politiche Sociali e rimandano qualsiasi riforma del welfare, continuando a scaricare completamente il peso del lavoro di cura sulle donne; perché centinaia di migliaia di famiglie rischiano di finire sfrattate per strada mentre i grandi costruttori continuano a speculare sugli affitti; perché viviamo male nei nostri quartieri dove ci trattano da cittadini e cittadine di serie B, vengono cancellati servizi e il welfare sostitutivo mafioso diventa l’unica alternativa; perché non vogliamo che le ragazze e i ragazzi finiscano nelle mani dei clan che sfruttano a loro vantaggio l’assenza dello Stato in troppi luoghi del Paese; perché nonostante la pandemia e 160 mila morti niente è stato fatto per la medicina territoriale, la salute pubblica e la prevenzione mentre si continuano a privatizzare i servizi sanitari e a investire troppo poco su ospedali e personale medico pubblico; perché vogliono distruggere l’unità della Repubblica attraverso la cosiddetta “autonomia differenziata”, realizzando il sogno della secessione dei ricchi, rendendo strutturali le disuguaglianze geografiche e il divario già esistente tra Nord e Sud; perché con il collasso climatico la nostra salute e la sicurezza sociale peggiorano, la siccità aumenta e si sciolgono i ghiacciai mentre il Governo con la scusa della guerra dirotta gli investimenti del PNRR (che erano per equità sociale e sostenibilità ambientale) su gas, carbone, armi e attività che favoriscono solo imprese private e non i cittadini e le cittadine; perché sul PNRR non è stata fatta nessuna co-programmazione e co-progettazione come prevedeva il codice del partenariato europeo e la sentenza 131 della Corte; perché la politica sta condannando il nostro Paese a maggiori disuguaglianze e a ulteriore debito pubblico, ancorando la nostra base produttiva a un modello di sviluppo insostenibile socialmente e ambientalmente che ci renderà tutti e tutte più poveri.
Non vediamo altro spazio per incidere, difendere e promuovere i nostri diritti, se non attraverso una mobilitazione costruita dal basso da soggetti sociali diversi, impegnati su obiettivi comuni per la Giustizia Sociale e Ambientale.
Vogliamo condividere con tutte e tutti proposte chiare e concrete su lavoro, casa, reddito, salario, servizi e politiche sociali, lotta alle mafie, riconversione ecologica, accoglienza e no all’autonomia differenziata (scarica le proposte). Proposte già condivise da centinaia di realtà della Rete dei Numeri Pari insieme ad altri soggetti, che continueremo a sottoporre al Governo, e che se fossero applicate sconfiggerebbero la “pandemia delle disuguaglianze”, rimettendo insieme il diritto al lavoro con il diritto alla salute, salvaguardando beni comuni, giustizia climatica e partecipazione.
Rivolgiamo quindi a tutte le realtà che condividono queste proposte l’appello a unirsi alla costruzione di questo percorso, organizzando assemblee territoriali per allargare la partecipazione e promuovere la mobilitazione del 5 novembre.
Per sottoscrivere l’appello, unirsi alla costruzione di questo percorso e promuovere la mobilitazione del 5 novembre scrivi a email: 5novembreinpiazza@gmail.com