E c’è poi
il caso di Alfredo Cospito, militante anarchico in regime di carcere
duro, sebbene non abbia mai ucciso nessuno. Lui è in sciopero della fame
da tre mesi, ha già perso 35 chili, però non smette, non desiste. Non
per se stesso, dice; bensì per gli altri 800 detenuti sottoposti al 41
bis. E che cos’è questa misura? Una forma di carcerazione medievale che
vieta ogni contatto persino con i figli che abbiano più di 12 anni, e
che lascia il recluso in isolamento totale, senza libri né giornali.
Misura necessaria – affermano i suoi difensori – per i criminali più
pericolosi. Ma ad accusarla è la Costituzione, oltre a una macabra
statistica (l’anno scorso 84 suicidi nelle carceri italiane, un record).
Dice l’articolo 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato». Tuttavia non c’è clemenza nel carcere duro, come d’altronde
non c’è speranza di recupero sociale per chi subisca l’ergastolo
ostativo, il “fine pena mai”. Da qui le censure di vari organismi
internazionali; quelli nazionali, viceversa, finora hanno chiuso un
occhio, o meglio tutt’e due. Accecando in ultimo la Costituzione, povera
donna.
Terzo caso: i giovani ambientalisti di Ultima Generazione.
Anche qui una storia di carceri e manette, anche qui la mano dura dello
Stato contro chi viola le leggi dello Stato, sia pure in nome della
legge più alta, la Costituzione dello Stato italiano. L’episodio più
recente (2 gennaio) chiama in causa dei ragazzi colpevoli d’avere
imbrattato la facciata del Senato, spruzzando vernice lavabile su quegli
austeri muri. Epilogo: due denunce, tre arresti, un processo per
direttissima. Perché la loro azione è riprovevole, come no. Ma se ogni
iniziativa pacifica contro l’uso dei combustibili fossili cade in un
vuoto d’attenzione, se l’emergenza climatica mette a repentaglio la
sopravvivenza stessa del pianeta, allora il meno che possa capitarti è
una crisi di disperazione.
Anche perché i politici che fanno orecchie
da mercante sono i medesimi che l’anno scorso riscrissero l’articolo 9
della Costituzione, imponendo al nostro Stato di tutelare «l’ambiente,
la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future
generazioni». Ecco infatti il vero nemico dello Stato: se stesso, quando
sconfessa i propri principi fondativi.