Don Beppe Pratesi: il prete contadino, marito e padre.
Il Fatto Quotidiano 7/2
“Forse
si potrebbe parlare di una via normale alla rivoluzione”: questa frase
della prefazione del padre domenicano Alberto Simoni descrive
perfettamente il senso di Con tutto l’amore di cui siamo capaci, il
libro intervista di Antonio Schina a Beppe Pratesi e Lucia Frati.
Pratesi è un prete, formatosi nel “sorprendente mondo fiorentino a
cavallo del Concilio Vaticano II, in ultima analisi una lenta ed
efficace operazione di laicizzazione della fede e di
de-clericalizzazione della Chiesa, tanto invocata ai nostri giorni da
Papa Francesco ma difficilmente raggiungibile” (ancora Simoni). Nel
1964, un Pratesi appena ordinato accoglie l’invito di due confratelli un
po’ più grandi, Lorenzo Milani e Bruno Borghi, e firma una lettera di
protesta contro la rimozione dalla direzione del seminario fiorentino di
monsignor Bonanni, colpevole (per esempio) di far partecipare i
seminaristi ai convegni politici promossi dal sindaco Giorgio La Pira.
Fin da allora Pratesi sceglie da che parte stare: e presto capisce che i preti non possono vivere una vita separata da quella del popolo, e che dunque devono lavorare. Non sceglie, all’inizio, la fabbrica, ma la campagna: condividendo il duro lavoro dei braccianti. L’esperienza è illuminante. In occasione della processione del Corpus Domini torna fuori tutta intera una dimensione feudale ancora vivissima nelle campagne: il prete è al servizio del padrone, anzi ne legittima il dominio.
Fin da allora Pratesi sceglie da che parte stare: e presto capisce che i preti non possono vivere una vita separata da quella del popolo, e che dunque devono lavorare. Non sceglie, all’inizio, la fabbrica, ma la campagna: condividendo il duro lavoro dei braccianti. L’esperienza è illuminante. In occasione della processione del Corpus Domini torna fuori tutta intera una dimensione feudale ancora vivissima nelle campagne: il prete è al servizio del padrone, anzi ne legittima il dominio.
A Pratesi e a Beppe Socci, l’altro sacerdote che condivideva
quell’esperienza, vengono a dire: “‘Allora, ragazzi, la benedizione si
da nella villa dei Frescobaldi, viene il marchese, voi salite sul
balcone, viene anche lui accanto a voi’. Mi par di vederci, Beppino e
io: ‘Ma vu scherzate, siamo a questo punto?’. Non ci fu verso, noi non
si accetto’. A regola, era una tradizione che il marchese e i preti si
affacciassero per benedire il popolo che, per l’occasione, entrava nel
giardino della villa. Si arrivo alla conclusione che con la processione
si andava in vari posti, nei giardini e nelle aie delle case, anche nel
giardino del marchese. Però che non si parlasse di benedire dal balcone
della villa. Quella era una zona privata, e Gesù benediceva in piazza la
gente”.
CHISSÀ QUANTI secoli erano che un prete, da quelle parti, non disertava dal fiancheggiamento del potere: un potere bestiale, che negava l’eguaglianza e la fraternità fra tutti gli uomini, cioè uno dei messaggi fondamentali del Vangelo. Pratesi, che oggi ha 83 anni, era un prete “strano” (cioè appunto secondo il Vangelo), come quando “venne la zingara a metà messa con il bambino e ti chiese se glielo battezzavi, questa cosa qui fece scalpore”. Racconta Beppe: “Mi capitò una volta a Montespertoli, nella messa ‘bella’ di mezzogiorno, che era riservata al proposto, c’era la gente bene, vestita bene, nelle messe prima c’erano le massaie che avevano furia di tornare a casa presto per preparare il pranzo a tutti, povere donne di vera fede e di grandi sacrifici. All’ultima messa andavano quelli vestiti bene. Quella mattina c’ero io. Ad un certo punto … era entrato un bel gruppettino di donne zingare, e un bambino. Io le conoscevo, era gente con cui ero andato in carovana a insegnare qualcosina ai ragazzi, a vedere se trovavano un po’ di lavoro. Sicchè interruppi la messa, lo battezzai svelto svelto, senza nemmeno andare a prendere il libro. E poi si riprese; però andarono via quasi tutti, ne rimasero pochi, perchè era una messa bene. Fosse stata la prima, forse qualcuno si avvicinava e faceva una carezza a quel bimbo, moro moro”.
E poi, scandalo degli scandali, il prete si sposa, e ha cinque figli, ma senza smettere di essere prete: “Da allora in poi io non vedo più il celibato come una forma di vita superiore, una condizione di vita più dedicata a Dio, più santa: io non sono contrario se uno ha una vita solitaria, da celibe; io non dico che i preti devono essere sposati, però non sopporto che si continui a vedere la donna come un pericolo, una minorata che distoglie il prete dalla sua vita santa. … Io ho continuato a fare il prete assieme a Lucia, non sono stato cancellato come prete, non ho avuto nessun provvedimento: ho fatto il prete nella vita come mi sono sentito, spogliandomi di tutte le vesti e le comodità clericali”. Questo libro, questo frammento di storia orale, è una tessera preziosa non sono nella storia, ma anche nel progetto di cambiamento profondo della Chiesa italiana: e dunque, in un senso più vasto, anche della società italiana. In questo anno centenario della nascita, nel quale si moltiplicheranno le celebrazioni in onore di don Milani, bisognerà non stancarsi di dire che, nonostante papa Francesco, il potere clericale esiste ancora, ben saldo nelle mani di coloro che contro don Lorenzo combatterono aspramente, cioè, nelle parole di Pratesi: “Vescovo, preti in generale – soprattutto quelli con le stellette – i cristiani più tradizionalisti, i democristiani”. Sarà bene non dimenticarlo.
CHISSÀ QUANTI secoli erano che un prete, da quelle parti, non disertava dal fiancheggiamento del potere: un potere bestiale, che negava l’eguaglianza e la fraternità fra tutti gli uomini, cioè uno dei messaggi fondamentali del Vangelo. Pratesi, che oggi ha 83 anni, era un prete “strano” (cioè appunto secondo il Vangelo), come quando “venne la zingara a metà messa con il bambino e ti chiese se glielo battezzavi, questa cosa qui fece scalpore”. Racconta Beppe: “Mi capitò una volta a Montespertoli, nella messa ‘bella’ di mezzogiorno, che era riservata al proposto, c’era la gente bene, vestita bene, nelle messe prima c’erano le massaie che avevano furia di tornare a casa presto per preparare il pranzo a tutti, povere donne di vera fede e di grandi sacrifici. All’ultima messa andavano quelli vestiti bene. Quella mattina c’ero io. Ad un certo punto … era entrato un bel gruppettino di donne zingare, e un bambino. Io le conoscevo, era gente con cui ero andato in carovana a insegnare qualcosina ai ragazzi, a vedere se trovavano un po’ di lavoro. Sicchè interruppi la messa, lo battezzai svelto svelto, senza nemmeno andare a prendere il libro. E poi si riprese; però andarono via quasi tutti, ne rimasero pochi, perchè era una messa bene. Fosse stata la prima, forse qualcuno si avvicinava e faceva una carezza a quel bimbo, moro moro”.
E poi, scandalo degli scandali, il prete si sposa, e ha cinque figli, ma senza smettere di essere prete: “Da allora in poi io non vedo più il celibato come una forma di vita superiore, una condizione di vita più dedicata a Dio, più santa: io non sono contrario se uno ha una vita solitaria, da celibe; io non dico che i preti devono essere sposati, però non sopporto che si continui a vedere la donna come un pericolo, una minorata che distoglie il prete dalla sua vita santa. … Io ho continuato a fare il prete assieme a Lucia, non sono stato cancellato come prete, non ho avuto nessun provvedimento: ho fatto il prete nella vita come mi sono sentito, spogliandomi di tutte le vesti e le comodità clericali”. Questo libro, questo frammento di storia orale, è una tessera preziosa non sono nella storia, ma anche nel progetto di cambiamento profondo della Chiesa italiana: e dunque, in un senso più vasto, anche della società italiana. In questo anno centenario della nascita, nel quale si moltiplicheranno le celebrazioni in onore di don Milani, bisognerà non stancarsi di dire che, nonostante papa Francesco, il potere clericale esiste ancora, ben saldo nelle mani di coloro che contro don Lorenzo combatterono aspramente, cioè, nelle parole di Pratesi: “Vescovo, preti in generale – soprattutto quelli con le stellette – i cristiani più tradizionalisti, i democristiani”. Sarà bene non dimenticarlo.