venerdì 21 luglio 2023
Nelle due diocesi la riorganizzazione annunciata dall’arcivescovo Repole. Una scuola per formare quanti saranno guide nelle comunità. I ministeri laicali “a tempo” per favorire il ricambio
L’arcivescovo Roberto Repole che guida le diocesi di Torino e Susa

L’arcivescovo Roberto Repole che guida le diocesi di Torino e Susa - Ansa

     

Invita alla «benevolenza reciproca» l’arcivescovo Roberto Repole. Nella Lettera pastorale diffusa nei giorni scorsi, dedicata al «futuro delle Chiese di Torino e Susa», le due diocesi che guida, il presule consegna non tanto un piano di lavoro, quanto una serie di «indicazioni di stile» che rappresentano però la sostanza di quella gioia della vita cristiana che l’arcivescovo intende promuovere. La Lettera arriva dopo le due Convocazioni che a giugno e luglio hanno concluso il cammino di ascolto nelle diocesi. Repole aveva lanciato lo scorso anno, pochi mesi dopo l’inizio del suo mandato (7 maggio 2022), l’invito alla ricerca dei «germogli», cioè dei semi di speranza e di futuro da coltivare, in vista di quel necessario rinnovamento nella vita e nell’organizzazione delle due Chiese locali, ormai impoverite nel numero dei preti e dei consacrati ma anche «invecchiate» nell’età media dei praticanti. Il rischio è che la presenza dei cristiani nel territorio e nella vita civile sia orientata a un «tirare avanti» nei servizi e nelle strutture, ma perdendo di vista quella «freschezza del Vangelo» che è invece il centro della vita cristiana, e anche la testimonianza che il mondo si attende. «Dobbiamo prendere consapevolezza in modo lucido – scrive l’arcivescovo – che mantenere semplicemente e stancamente il modello attuale significa condannarci a non essere più una presenza capace di trasmettere la ricchezza inesauribile e coinvolgente del Vangelo alle donne e agli uomini di oggi, tanti dei quali hanno una sete immensa di vita, di senso, di amore e di relazioni calde, in una parola, di Dio».

Al termine della ricerca sui «germogli» il presule propone una sintesi più organica, fatta appunto di concrete riorganizzazioni sul territorio ma soprattutto di una vita quotidiana dei cristiani più avvincente e «convincente». La centralità di Cristo e dell’incontro eucaristico nel giorno del Signore sono – ribadisce Repole – i capisaldi del progetto, da cui seguono gesti e stili di fraternità reale tra tutte le componenti del popolo di Dio. L’arcivescovo chiede uno «sforzo di immaginazione», a più livelli: pensare non più a parrocchie chiuse in se stesse, ma a presenze organizzate dei cristiani sul territorio: presenze capaci di «governarsi» secondo criteri di una maggiore e più consapevole corresponsabilità dei laici. Soprattutto per questo viene creato (sarà attivo da novembre) l’Istituto per la formazione dei laici. Ci saranno corsi almeno biennali, per arrivare a ministeri ordinati «a tempo»: cioè i laici che hanno frequentato il corso si considerano in servizio per i 5 anni successivi, ma il loro ministero non è a vita. Questo, ricorda Repole, anche per favorire il ricambio nelle funzioni e nei servizi.

I laici «formati» saranno chiamati a gestire le attività di base delle comunità parrocchiali e i servizi sul territorio; soprattutto, faranno parte dell’équipe-guida delle comunità: il gruppo che coordina la pastorale sul territorio dei gruppi di parrocchie. «Quest’ultimo – commenta Repole – è un servizio indispensabile laddove ci siano piccole comunità in cui non è possibile la presenza costante del presbitero. Non si tratterà di un servizio svolto da un singolo, ma da un gruppo ministeriale composto da almeno tre persone, in modo che sia evidente che il servizio della presidenza è svolto sempre e solo dal prete».

Nella Lettera l’arcivescovo annuncia anche un ripensamento radicale della Curia che deve essere a servizio delle parrocchie e del vescovo, superando la moltiplicazione degli uffici (con relativi costi) che ha caratterizzato gli ultimi decenni. Ma Repole sottolinea con forza, a conclusione della Lettera, che la fraternità vissuta nelle comunità cristiane è il vero banco di prova della riforma che si va preparando. Il «volto della Chiesa», l’immagine che ha di se stessa e nel mondo, ha da essere la carità.