AFFOLLAMENTO, CHIUSURE, SUICIDI. LA FOTOGRAFIA DELLE CARCERI NEL RAPPORTO ANTIGONE
I suicidi avvenuti quest’anno, ad
oggi, sono arrivati a 30.
Nel 2022, quando poi a fine anno furono 85 (il numero più alto mai registrato
finora), se ne erano registrati 20 nello stesso arco temporale. Se la tendenza
di questi primi 4 mesi si confermasse nel resto dell’anno il 2024 farebbe
registrare un altro record negativo e drammatico. In carcere ci si leva la vita
ben 18 volte in più rispetto alla società esterna.
L’Italia, secondo dati dell’OMS del 2019, è uno dei paesi dove ci si suicida di
meno. Al contrario, se si guardano i dati del 2021 del Consiglio d’Europa, il
nostro paese è al di sopra della media europea per i suicidi in carcere.
Dalle biografie delle persone che si tolgono la vita emergono in molti casi
situazioni di grande marginalità. Molte le persone giovani e giovanissime,
molte le persone di origine straniera. Molte anche le situazioni di presunte o
accertate patologie psichiatriche. Alcune provenivano da passati di
tossicodipendenza, altre erano persone senza fissa dimora. L’età media di chi
si è tolto la vita in un istituto penitenziario nell’ultimo anno e mezzo è di
40 anni. La fascia più rappresentata è quella tra i 30 e i 39 anni.
Gli stranieri, tenendo conto che la percentuale della loro presenza in carcere
è ad oggi leggermente inferiore a un terzo della popolazione detenuta totale
(31,3%), hanno un tasso di suicidi significativamente maggiore rispetto agli
italiani. In tutti gli Istituti dove sono avvenuti suicidi nell’ultimo anno e
mezzo si registra una situazione più o meno grave di sovraffollamento.
Proprio le presenze in carcere generano più di qualche preoccupazione, sia per
il numero complessivo raggiunto, sia per il tasso di crescita che si registra
da diversi mesi a questa parte. Rispetto al primo dato, al 31 marzo 2024 erano
61.049 le persone detenute, a fronte di una capienza ufficiale di 51.178 posti.
Tuttavia il dato disponibile più recente, ricavato dalle schede trasparenza del
Ministero della giustizia, ed aggiornato al 6 giugno 2023, ci dice però che in
quel momento c’erano 3.640 posti non disponibili. Di conseguenza è possibile
affermare che attualmente ci sono circa 14.000 persone recluse che non hanno un
posto regolamentare a disposizione.
Per quanto riguarda il tasso di crescita, invece, nell’ultimo anno questo è
stato in media di 331 unità al mese, un dato che se dovesse venire confermato
anche nel corso del 2024 ci porterebbe oltre le 65.000 presenze entro la fine
dell’anno.
Le cause di questa crescita sono diverse: maggiore lunghezza delle pene
comminate, minore predisposizione dei magistrati di sorveglianza a concedere
misure alternative alla detenzione o liberazione anticipata, introduzione nuove
norme penali e pratiche di Polizia che portano a un aumento degli ingressi.
Tra queste ultime va sottolineato che l’attuale governo, dalla data del suo
insediamento nell’ottobre del 2022, ha introdotto una decina di nuovi reati e
sei nuove fattispecie penali. Un impatto grave sul sovraffollamento potrà avere
anche la decisione di punire maggiormente i casi di lieve entità legati alle
violazioni della legge sugli stupefacenti che, già attualmente, produce circa
20mila detenuti. Da considerare, invece, che a questo aumento della popolazione
detenuta non corrisponde un aumento del numero dei reati. Dall’1 gennaio al 31
luglio 2023 erano stati commessi in Italia 1.228.454 delitti, il 5,5% in meno
rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Tra le soluzioni al sovraffollamento non c’è poi sicuramente quella
dell’edilizia penitenziaria.
I tempi medi di costruzione di un carcere, nella storia recente, sono stati
circa di 8-10 anni. Il costo medio di un carcere per 400 persone è di circa 30
milioni di euro. Ciò significa che oggi ci vorrebbero circa 40 nuove carceri,
per un costo di 1 miliardo e 200 milioni di euro. Somme a cui si dovrebbero
aggiungere anche quelle, ingenti, per assumere almeno 300 poliziotti a carcere,
e quindi altre 12 mila unità di Polizia Penitenziaria, oltre a tutte le altre
figure professionali e ai servizi necessari per far funzionare gli istituti.
In questo panorama di carceri sempre più sovraffollate e con numeri di suicidi
sempre più alti, non aiuta di certo anche la chiusura che si sta registrando
negli istituti penali. La circolare DAP n. 3693/6143 del 18 luglio 2022 aveva
introdotto direttive per la riorganizzazione del circuito della media
sicurezza, il quale nel suo complesso ospita più del 70% della popolazione
detenuta complessiva. Sebbene l’obiettivo dichiarato della circolare sia
superare la dualità tra custodia aperta e custodia chiusa, ai fini di garantire
il trattamento individualizzato, il modello di chiusura sembra essersi
affermato, configurando le occasioni di apertura come una residuale eccezione.
Il numero complessivo di detenuti assegnati alle sezioni a custodia aperta è
complessivamente diminuito di 9.750 unità, essendo passato da un totale di
12.033 del mese di luglio a 2.283 del mese di dicembre, mentre, nello stesso
periodo, è aumentato di oltre 7.000 unità il numero di persone detenute
ristrette in sezioni a custodia chiusa.
Questo significa che le persone detenute passano la maggior parte della loro
giornata in celle sovraffollate, laddove anche le possibilità di svolgere
un’attività lavorativa o di altro tipo non è a disposizione di tutti. Se si
guarda solo al lavoro, le persone detenute impegnate in un’attività solo il
33,3% del totale di tutti i reclusi (in lieve decremento rispetto all’anno
precedente quando era il 35,2%). Va però segnalato che la grande maggioranza di
questi lavora solo per poche ore e pochi giorni alla settimana, proprio allo
scopo di coinvolgere più persone.
“La situazione delle carceri italiane, che emerge da un lavoro di monitoraggio
che nel 2023 ci ha portato a visitare 99 istituti presenti in Italia, è
drammatica” spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. “Da tempo
chiediamo che il tema venga posto al centro dell’agenda politica e che si
affrontino i tanti problemi che stanno deflagrando in maniera evidente. Invece,
quello a cui assistiamo da parte del governo Meloni, è un utilizzo populistico
dello strumento penale, come strada da percorrere per gestire tutti i fenomeni
sociali che emergono nel paese.
Il risultato è il ritorno a livelli di affollamento che non si registravano da
oltre 10 anni, cioè da quando l’Italia fu condannata dalla Corte Europea per i
Diritti dell’Uomo per i trattamenti inumani e degradanti generalizzati che si
verificavano nelle nostre carceri. Al malessere sempre più intenso da parte
delle persone detenute e degli operatori si pensa poi di rispondere non
percorrendo la strada dei diritti, ma ancora una volta introducendo norme
penali, come il reato di rivolta penitenziaria che, anche in casi di protesta
pacifica e non violenta, può portare ad una pena fino a 8 anni, con
l’applicazione del regime del 4bis, inizialmente previsto solo per reati
gravissimi legati alla mafia e al terrorismo. Se questa norma fosse approvata –
conclude Gonnella – ci aspettiamo un possibile aumento dei suicidi e degli atti
di autolesionismo poiché, se si toglie anche la possibilità di protestare
pacificamente, l’unico strumento che le persone recluse avranno per manifestare
disagio potrà essere il proprio corpo”.