Sono iniziate oggi e proseguiranno in ben sette fasi
nell’arco dei prossimi 44 giorni le monumentali elezioni per il rinnovo della
Lok Sabha, la Camera dei Deputati del Parlamento indiano. E tutti i pronostici
danno già per scontata la conferma dell’attuale Primo Ministro Narendra Modi
per il terzo mandato consecutivo, alla guida di una nazione che con 1.440
milioni di abitanti ha ormai superato la popolazione della Cina: un settimo
della popolazione mondiale.
Se così sarà e se completerà anche il prossimo mandato di altri cinque anni,
Modi sarà dunque il terzo primo ministro più duraturo nella storia dell’India:
dopo Jawaharlal Nehru, che governò per quasi 17 anni consecutivi e dopo Indira
Gandhi, di lui figlia, che governò per quasi 16 anni.
Ma tutti i numeri sono impressionanti, per questa
tornata elettorale che si inaugura nel subcontinente indiano oggi:
– quasi un miliardo, per l’esattezza 969 milioni, gli aventi diritto al voto,
tra cui 17 milioni di giovani che voteranno per la prima volta;
– ben 2.660 le sigle registrate, contando anche i micro-partitini che però
godono di una certa popolarità a livello locale, ciascuno dotato di un suo logo
facilmente distinguibile per quella quota di popolazione (quasi un quarto del
totale!) che resta analfabeta;
– 15 milioni gli addetti alla supervisione di oltre un milione di urne
elettorali; particolarmente quest’anno l’Election Commission ha enfatizzato
l’eroica dedizione di quegli addetti, cui toccherà il compito di raggiungere i
luoghi più remoti del subcontinente perché proprio tutti riescano a votare,
nell’arco himalayano come nelle foreste del centro India;
– 5.5 milioni le cosiddette EVM, Electronic Voting Machine, che dovrebbero
garantire l’affidabilità del voto (ma già da giorni si registrano non poche
perplessità sui media);
– oltre 14 miliardi la spesa complessiva di questo vero e proprio colossal
elettorale, una cifra più che doppia rispetto alle ultime elezioni del 2019 che
tra stipendi, trasferte, prebende e regalucci vari supera persino quella delle
elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Sarà un “evento festosamente democratico per tutti” ha
festosamente assicurato il primo ministro in carica Narendra Modi, mai stato
così popolare come in queste ultime settimane, e che tutti i pronostici già
danno per vincitore.
E alla chiusura dei seggi il 1° giugno prossimo, basteranno solo un paio di
giorni per averne la conferma: il conteggio definitivo verrà annunciato il 4
giugno e l’unica incertezza riguarda solo le dimensioni, ovvero i numeri che la
NDA (la National Democratic Alliance, la coalizione all’interno della quale si
posizione anche il BJP di Narendra Modi) riuscirà a totalizzare. Nel caso
l’obiettivo dei 400 seggi su 562 venga raggiunto (questo il target
ripetutamente pubblicizzato in una campagna elettorale mai stata così
fragorosa) sono in molti a temere per il futuro stesso di una democrazia già da
tempo sotto assedio: perché con un simile plebiscito Modi avrà i numeri per
stravolgere ciò che vuole, a cominciare da quell’unico baluardo rimasto, la
Costituzione.
Il confronto è quindi fra un Narendra Modi più
popolare che mai, coccolato dai tycoon di tutti i settori trainanti
dell’economia indiana, ovunque onorato a livello internazionale, amatissimo
persino dal popolino – e un Rahul Gandhi che nell’arco di questi due ultimi
anni ce l’ha messa proprio tutta, da quell’epica marcia (la Maha Bodo Yatra)
che l’anno scorso e di nuovo negli scorsi mesi l’ha portato ad attraversare
tutti i più remoti angoli dell’India, alla continua denuncia di uno stile di
governo che, soffiando sull’hindutva (l’affermazione del suprematismo a matrice
indù rispetto a tutte le altre minoranza, in primis quella mussulmana), si
configura in effetti come autocrazia.
“C’è il pericolo che l’India diventi una dittatura?”
si chiede Dhruv Rathee, giovane e cliccatissimo You Tuber, con oltre 21
milioni di followers.
Indubbiamente sì, c’è questo pericolo e non solo da oggi. Basterebbe
considerare i tanti che languono da anni dietro le sbarre per i più diversi
motivi di dissenso. Per non dire dei recenti e clamorosi arresti degli
avversari politici più in vista: da Arvind Kejriwal, dal 2015 governatore di
New Delhi e leader del Aam Aadmi Party di orientamento progressista, a Hemant
Soren, governatore del Jharkhand, Stato del centro India a predominanza tribale
e (guarda caso) ricchissimo di risorse minerarie che attendono solo di essere
‘assegnate’ al miglior offerente.
E dunque non sarà solo una festa. Saranno elezioni
cruciali per il futuro dell’india e per ciò che l’India rappresenta ormai a
livello globale: con un’economia che anche quest’anno ha registrato indici di
crescita oltre il 7%, accentuando ancora di più però il divario fra ricchi
sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, soprattutto nelle campagne, per
quell’immenso settore di annadata (produttori di cibo) ai quali Modi aveva
promesso il raddoppio del tenore di vita durante le scorse elezioni e invece si
sono trovati costretti a difendersi contro le multinazionali dell’agro-business
con le oceaniche proteste che abbiamo più volte raccontato in questo sito.
E infatti, a turbare il trionfalistico battage
pro-Modi di questi ultimi giorni, non sono mancati gli episodi di comizi
sonoramente ‘disturbati’ dalle proteste dei sindacati contadini, soprattutto in
Punjab.
E poi c’è la disoccupazione giovanile, mai stata così grave e causa di
scontento. E soprattutto stridente, nel quadro di una crescita economica così
evidentemente selettiva, resta la piaga della povertà, certificata dalle
centinaia di milioni di sacchi di granaglie regolarmente distribuiti in tutta
l’India con sovra-stampato il bonario faccione di Modi.
Partita aperta insomma su parecchi fronti, che non mancheremo di seguire nelle
prossime settimane.
(da Daniela Bezzi, Centro Sereno
Regis, Pressenza)