Le disuguaglianze estreme della salute
Le diseguaglianze di salute, come è ormai accertato,
sono una conseguenza delle diverse condizioni socioeconomiche, delle crisi
finanziarie e delle politiche economiche e sociali. Le persone più abbienti e
con un più alto livello di educazione godono di una salute migliore, si
ammalano di meno e vivono più a lungo. La salute peggiora man mano che si
discende dalla scala sociale, procedendo dalla fascia socioeconomica più
elevata a quella più bassa.
Ci sono poi persone che vivono povertà estreme
alle quali il diritto alla salute è sostanzialmente negato oppure è fortemente
compromesso. Parliamo di chi vive in convivenze anagrafiche (ad esempio,
istituti assistenziali, centri di accoglienza per migranti, case famiglia), di
coloro che dimorano in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei e
delle persone senza tetto e senza fissa dimora. Parliamo di centinaia di
migliaia di persone: la rilevazione ISTAT del 2021 ha censito 463.294 unità, pari
allo 0,8% della popolazione totale e la cifra è probabilmente sottostimata. Di
queste, 351.338 vivono in convivenze anagrafiche, 96.197 sono senza
tetto/dimora, mentre 15.759 sono coloro che dimorano in campi autorizzati o
insediamenti tollerati e spontanei. In particolare, il 38% delle persone senza
tetto è di nazionalità straniera (50% africana, 22% europea, 17% asiatica) e la
metà risiede in soli sei Comuni: 23% a Roma, 9% a Milano, 7% a Napoli, 4,6% a
Torino, 3% a Genova e 3,7% a Foggia.
Non solo, ma delle persone che vivono in
condizione di grave marginalità sociosanitaria, vi è innanzitutto un’assenza di
informazioni. Di questo e di alcune esperienze nell’ambito dell’assistenza alle
persone cosiddette ”escluse” o “invisibili” si è discusso durante un recente
convegno organizzato nella sede dell’Istituto Superiore di Sanità – ISS dal
Centro Nazionale per la Ricerca e la Valutazione preclinica e clinica dei
Farmaci, dal Dipartimento Malattie Infettive e Centro Nazionale per la
Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute in occasione della
presentazione di un numero monografico del Bollettino Epidemiologico Nazionale
(Ben) dedicato all’argomento, curato da Roberto Da Cas e Cristina Morciano, del
Bollettino Epidemiologico Nazionale (Ben) dell’Iss di cui sono Responsabili
Antonino Bella e Carla Faralli.
Uno studio di Intersos, organizzazione no-profit
che realizza interventi quotidiani di cure primarie e promozione della salute,
ha indagato lo stato di salute nell’area della Capitanata di Foggia, dove
migranti per lo più irregolari, sfruttati nel comparto agro-alimentare,
dimorano in un ghetto isolato, permanente e sovraffollato. Dalla ricerca si
delinea un profilo di salute caratterizzato prevalentemente da patologie non
trasmissibili come quelle a carico dell’apparato digerente e
muscoloscheletrico, mentre non vi è evidenza di patologie infettive di
importazione/tropicali; sono invece frequenti traumatismi dovuti a incidenti
sul lavoro.
Due studi hanno poi analizzato lo stato di
salute degli esclusi nelle grandi aree urbane che si rivolgono ad ambulatori
del terzo settore per ricevere assistenza sanitaria. Il contributo di Caritas
di Roma ha rilevato una modifica del quadro epidemiologico degli assistiti nel
corso di quarant’anni: un aumento delle malattie croniche, soprattutto
cardiovascolari e metaboliche, e una riduzione delle malattie infettive.
L’Opera San Francesco a Milano ha invece approfondito la frequenza delle
malattie croniche nei propri assistiti e ha stimato una maggiore prevalenza di
malattie cardiovascolari, mentali e metaboliche (diabete) tra i migranti del
Sud America e dell’Asia rispetto alle popolazioni europee.
Il tema del mancato accesso all’assistenza
sanitaria da parte soprattutto dei migranti irregolari è stato approfondito da
uno studio dei ricercatori dell’Iss, che si sono focalizzati sul tema della
vaccinazione anti Covid. Come già documentato in molti Paesi europei, è stata
osservata una limitatissima percentuale di vaccinati stranieri non residenti,
con un ritardo nella somministrazione del ciclo vaccinale primario, rispetto al
totale dei vaccinati.
Anche lo stato di salute delle persone in
condizione di detenzione, rileva un’analisi presentata al convegno e nella
monografia, non è ancora sufficientemente studiato. La valutazione dell’uso dei
farmaci condotta in cinque istituti penitenziari delle ASL Roma 2 e della Asl
Viterbo ha riportato un elevato ricorso a farmaci per le patologie del sistema
nervoso centrale, dell’apparato gastrointestinale e per il trattamento dei
disordini metabolici. Viene, inoltre, evidenziata un’importante disomogeneità prescrittiva
tra i diversi istituti. Gli autori osservano che, tra le criticità nelle
modalità di offerta dell’assistenza alle persone detenute, vi sia la mancanza
di un sistema informativo che consenta la raccolta di dati relativi alla salute
di queste persone. La disponibilità di queste informazioni è presupposto
fondamentale per implementare iniziative di valutazione dell’assistenza e di
formazione degli operatori sanitari, e gli stessi autori auspicano una maggiore
collaborazione tra gli istituti penitenziari e le strutture sanitarie locali.
“Purtroppo questo ambito di ricerca
epidemiologica appare ancora poco esplorato – sottolineano li curatori della
monografia. Mancano le infrastrutture per una raccolta sistematica dei dati o
se realizzate sono da perfezionare, e sono poche le iniziative di formazione e
informazione destinate agli operatori sanitari dei servizi territoriali. È
forse anche poco sfruttato il patrimonio di dati raccolto dagli operatori del
terzo settore, che potrebbe rappresentare una base per avviare politiche almeno
a livello di comunità. Ulteriori studi su questi temi, con quesiti di ricerca
rilevanti e ben condotti, potrebbero rappresentare il fondamento razionale per
comunicare con i decisori politici e sarebbero anche funzionali a
rappresentazioni sociosanitarie finalizzate a trasmettere ‘una scossa etica’ in
Italia e nel resto dell’Europa”.