domenica 22 marzo 2009

UN MESSAGGIO PROFETICO

di Gianfranco Monaca
da Tempi di fraternità, marzo 2009


Fin dai tempi dei profeti biblici nei riti della pubblica contrizione si nascondeva la spettacolarizzazione ingannevole. Qualcuno capì che il rapporto con il divino è reale solo se è vissuto nel rapporto con il prossimo più bisognoso, e l’unico modo per giustificare la religiosità è ricuperarla come potente motore di impegno per la giustizia sociale:

“Come puoi dire di amare un dio che non vedi, se non ami il prossimo che vedi?” (Prima lettera di Giovanni 4,19-20).

L’amore per i più deboli è la chiave di lettura del simbolo religioso : “Non m ‘importa dei vostri numerosi sacrifìci... Non so cosa farne del sangue di tori e di capretti. Quando venite a rendermi culto, chi vi ha chiesto tutte queste cose e la confusione che fate nel mio santuario? Le vostre offerte sono inutili, l’incenso che bruciate mi dà nausea, Mi ripugnano le vostre celebrazioni, per me sono un peso e non riesco a sopportarle. Quando alzate le mani per la preghiera io guardo altrove... Lavatevi, purficatevi, basta con i vostri crimini.., cercate la giustizia, aiutate gli oppressi, proteggete gli orfani e difendete le vedove (Isaia 1,11-17).

Il culto verso Dio espresso pubblicamente è ipocrisia se non corrisponde alla efficace conversione del cuore verso i deboli. “Quando aiuti qualcuno, non farlo sapere a nessuno, neanche ai tuoi amici: la tua pietà verso i deboli rimarrà segreta, ma Dio tuo Padre vede anche ciò che è nascosto, e ti ricompenserà...” (Matteo 6,2-10).

La religiosità dei simboli si verifica nella laicità dei comportamenti sociali. “Avevo fame e mi avete sfamato, ero straniero e mi avete accolto... “: è l’unica fede possibile. Se la Chiesa non è dei poveri, non è neppure di Dio. Figuriamoci se può essere della curia romana.