sabato 15 dicembre 2018

Altro che lingua morta o inutile
con Repubblica l'elogio del latino



Si può raccontare l'antichità in modo gioioso, vitale. È in edicola con Repubblica un  libro che riuscirebbe a convertire allo studio della lingua latina anche lo studente più riluttante: Viva il latino di Nicola Gardini è un viaggio alternativo nel latino letterario che si rivolge ai ragazzi delle scuole ma anche agli ex liceali che vogliano rinverdire uno studio lontano nel tempo e, perché no, a chi lo voglia scoprire ex novo. Il libro di Gardini è per tutti, visto che fa a meno degli schematismi storiografici e delle litanie scolastiche spesso scoraggianti (in edicola a 9,90 euro più il prezzo del giornale). L'autore, che oggi insegna letteratura del Rinascimento a Oxford, è tra i più accalorati sostenitori della vitalità del latino.
Che non sia una lingua morta, d'altra parte, lo dimostra il successo editoriale dei libri dedicati alla cultura dei greci e dei romani. Ma perché, cosa cerchiamo nelle parole degli antichi? Qual è il segreto del loro potere attrattivo? «Sbagliamo a pensare che la lingua degli antichi romani sia un reperto di archeologia - osserva Gardini -. La verità è che siamo ancora sulla scia di un viaggio linguistico e filosofico mai interrotto».
Il libro di Gardini toglie al latino le ragnatele e ci fa scoprire quanto ci appartenga, quanto racchiuda le radici di quello che siamo, della nostra umanità. È un modo per ripartire guardando alle conquiste di questa lingua, riconnettendola alla vita, alle emozioni: «Il latino puo diventare un compagno di vita, una guida. L'antichità è in fondo una grande metafora del nostro inconscio. Ci attira perché è misteriosa, nascosta, e quel mistero si offre a noi e si lascia interpretare», dice l'autore.
Di capitolo in capitolo appaiono Cicerone, Sallustio, Lucrezio, Catullo, Virgilio, Tito Livio, Ovidio, Orazio, Properzio, Seneca e tanti altri, mai citati per mostrare regole linguistiche astratte, ma nel ruolo di traghettatori dentro le meraviglie di un percorso che è insieme culturale, linguistico ed esistenziale. «Il latino è come il genoma delle nostre psicologie», dice Gardini, spiegando perché abbiamo ancora oggi bisogno di quel serbatoio di sapienza.
Nel libro l'autore racconta così il suo personale viaggio emozionale: «Degli autori antichi Seneca è quello che più mi ha aiutato a vivere. Con Virgilio mi commuovo; con Tacito mi appassiono alla crudeltà; con Lucrezio mi allontano e sprofondo e vortico; con Cicerone sogno la perfezione in tutto, pensiero, discorso, comportamento. Seneca mi dà lezioni di felicità». Per Seneca la felicità non andava immaginata o desiderata o invidiata: «Sperare è perdere tempo, il bene più prezioso che abbiamo. Felice è chi sa vedere con chiarezza, oggi, ora, la sua realtà interiore, chi conosce i suoi bisogni, chi distingue l'essenziale dal vano», spiega l'autore nel capitolo sedici del libro. Certo non è facile definire cosa sia la felicità, concetto insidioso tra i più mutevoli nel tempo, continuamente evocato ma dai contorni fuggevoli. «Oggi abbiamo perso i riferimenti comuni, per questo abbiamo un grande bisogno di stare insieme. I libri antichi, tolti dalle impalcature e dai gusci ministeriali, ci restituiscono quel senso di condivisione che ci manca e che non può certo essere dato da un viaggio o da una foto di pastasciutta pubblicata su Instagram», spiega Gardini. Ecco svelato il segreto dalla lezione dei classici del passato: andare a ripescare nell'archivio comune di letture e pensieri dell'antichità non soddisfa solo la voglia di conoscenza, ma ci fa sentire meno soli.
RAFFAELLA DE SANTIS

(la Repubblica 28 novembre)