Ho con il territorio
di Ancona un rapporto personale di grande affetto che dura negli
anni. Corinaldo è un piccolo e bellissimo borgo marchigiano oggi
sommerso dal dolore.
Potrai leggere la drammatica vicenda che ci ha
tutti turbati come la conferma tragica delle mie tesi sulla crisi
diffusa del discorso educativo, sull’ evaporazione del padre, sulla
lunga notte di Itaca che ci circonda, sulla diffusione di un
godimento nocivo alla vita. Osservo invece con un certo sconcerto che
quella maledetta discoteca ci fotografa: spietatamente, crudelmente,
traumaticamente. Nessuno di noi è salvo. La caccia al colpevole,
l’attribuzione delle responsabilità per l’accaduto - pure,
sottolineo, giusta è necessaria -, i giudizi di condanna nei
confronti di quei genitori e dei loro ragazzi sembrano avere
innanzitutto dimenticato che questo tempo è ancora il tempo del
dolore.
Alcuni ragazzi sono gravi, le loro famiglie col fiato
sospeso, il corpo straziato dei morti giace senza sepoltura. Eppure
non c'è il silenzio necessario a ogni lutto, ma un livore
accusatorio che impressiona. Non tra i ragazzi, ma tra gli adulti.
Genitori e così detti immancabili esperti, dalle tribune dei media e
dei social, spiegano come dovrebbero comportarsi i veri genitori,
quelli seriamente responsabili del proprio ruolo educativo.
Altri
commentatori accusano invece l'artista di inneggiare, nelle sue
canzoni, allo sballo e alla dissipazione, accanendosi con le autorità
che non avrebbero adempiuto ai loro ruoli nel garantire la sicurezza
della struttura. In questo modo il rispetto per il lavoro doloroso
del lutto di famiglie spezzate dal dolore e dalla perdita viene
brutalmente calpestato. Non c'è senso della comunità, condivisione,
solidarietà, presenza, ma, come avviene tristemente e non
casualmente anche nella nostra vita politica, l’attribuzione
proiettiva e feroce della colpa che è sempre dell’altro.
Non ci
accorgiamo di essere come quelli che gettano spray urticante negli
occhi dei vicini per accaparrarci un po' di spazio o un oggetto di
valore? E’ evidente che una seria riflessione sul tema
dell'educazione si deve fare, ma non ora, non adesso, non in questi
termini trascurando i tempi psichici che l'elaborazione simbolica di
ogni lutto esige. Trascurando il dramma della bambina di 11 anni che
ha chiesto a sua madre di essere accompagnata al concerto prima di
vederla morta. Chi ha cura dei suoi pensieri? Chi, prima di giudicare
pubblicamente sua madre, pensa, anche solo per un attimo, a come sta
questa, a quali sensi di colpa possono tormentarla? Lo sappiamo: la
ragione ultima, quella più decisiva, all'origine della tragedia è,
oltre alla presenza, sempre minoritaria, di una microcriminalità
giovanile, la spinta al profitto che ha generato il fenomeno fatale e
determinante del sovraffollamento dei locali.
Ma noi siamo davvero
indenni da questa spinta? Noi adulti diamo testimonianza di quanto,
per esempio, la lettura e cultura, l’ amore e la solidarietà,
valgano più dell'accesso a un guadagno facile o dell'inganno del
prossimo? Sappiamo dare testimonianza ai nostri figli che la Legge
del mercato non è la sola Legge possibile per l'umano? Siamo in
grado di farlo? L’ educazione è una cosa seria: non è
l'apprendimento di regole esterne, né si può ridurre al sentimento
del loro rispetto. Il grande compito del processo educativo è quello
di rendere possibile l'incorporazione del senso umano della Legge che
è irriducibile a ogni regola. Il corteo paternalista delle voci che
richiamano il rispetto delle regole e dell'autorità sembra purtroppo
manifestarsi come ”pensiero unico“. Una lunga tradizione
disciplinare (pre-Sessantotto) gli dà vigore: meglio prendersela con
la cattiva musica che suscita cattivi modelli che con il modello di
vita che noi stessi proponiamo. Infatti: quale modello di vita siamo
stati e siamo in grado di offrire ai nostri figli? Gli consegniamo in
eredità un mondo senza, prospettive, senza lavoro, un corpo morto e
vorremmo che loro fossero la manifestazione, grata, vitale e positiva
del desiderio. Quando, chiediamoci, i limiti che oggi gli adulti
responsabili invocano, acquistano davvero senso? In un tempo come il
nostro che discredita continuamente i limiti essi possono esistere
solo se gli adulti per primi ne danno testimonianza credibile
facendoli esistere innanzitutto nella loro stessa vita. Questo è
l'essenziale. Essenziale non è il giudizio di condanna; essenziale è
sempre da quale pulpito viene la predica.
Massimo
Recalcati ( Repubblica 11/12/2018)