CHIESA DI SAN ROCCO: PRETE DA 50 ANNI
care tutte e tutti
Utilizzo IN PARTE una riflessione che mi è stata richiesta dai giovani
studenti di teologia perché non ho intenzione di parlare di me e della mia
esperienza dopo 50 anni di prete se non con gli mici/che o con chi potrebbe
cambiare i rapporti umani nella chiesa al livello di scelte pastorali
“Parlarne è
interessante solo se viene detto francamente sia quanto si pensa sia quanto si
è vissuto. Questa è una riflessione sintetica che ritengo di avvio con questa
comunità di
san Rocco che sento mia ,non come proprietà ma come stile .
Credo che in
50 anni dalla chiesa locale sia la seconda o la terza volta – dicevo ai giovani
- che vengo invitato ad un confronto in Seminario ;in passato fui invitato
sempre solo sul mio lavoro coi migranti una volta su richiesta del servizio
migranti e una su richiesta del seminario teologico.
È vero: sono
un prete extradiocesano da 50 anni a Torino per scelta (forse per questo da tempo mi occupo
di extracomunitari) e per consiglio di un vescovo di questa chiesa, Michele
Pellegrino, mio compaesano che conoscevo bene che anche lui fece questa scelta
prima di essere vescovo di questa diocesi e le ragioni sono molte. ” Ho
sempre voluto conservare la libertà evangelica dei figli di Dio fin dal primo
giorno e questa difficilmente si mantiene se non sei autonomo, oltre
che nella testa, anche nella vita economica. Per questo, dopo 5 anni di “tempo
pieno” pastorale in 3 parrocchie , sono vissuto di lavoro dipendente con un
rapporto contrattuale (doposcuolista a Collegno, dipendente comunale come
bibliotecario a Nichelino, poi a Torino come responsabile dell’Ufficio
Stranieri e Nomadi del Comune a giunta comunista sindaco Novelli, assistente
religioso in ospedale, direttore dell’Ufficio Migranti della diocesi senza
stipendio…). Fui obbligato a licenziarmi dal comune ,dal servizio pubblico da
un altro vescovo che mi voleva all’ufficio migranti perché nessuno lo
accettava.
Essere
“suddito” nella chiesa è un atteggiamento che nessuno evangelicamente può
imporre ad un credente nel Dio di Gesù Cristo, neanche ad un prete. Siamo
fratelli, collaboratori, uomini liberi di mantenere la dignità. E la chiesa
cattolica non rispetta questo diritto umano: parla di dialogo, di sinodalità ..
ma in realtà pensa a una sudditanza con la rinuncia ai tuoi diritti umani .
Così l’ho vissuta la relazione con la Chiesa che l’autonomia lavorativa ed
economica mi ha permesso di tollerare. E questa è la chiesa cattolica in cui
dovrete lavorare .
La mia
formazione non è in questa diocesi: dopo il liceo classico a Fossano da
privatista (e l’esame di stato, sempre per poter scegliere più liberamente ),
ho avuto una formazione “fidei donum” per 5 anni a Verona (Studentato della
CEI) al Seminario per l’America Latina, che mi ha fatto conoscere
attraverso i vescovi e i formatori (durante il Concilio Vaticano 2°) una chiesa
diversa, povera, con grandi contraddizioni, ma profondamente umana. In questa
scelta ho trovato molti giovani teologi intenzionati a rispondere ad un
richiamo di papa Giovanni XXIII ad uscire e collaborare con altre chiese
sorelle. Poi l’incontro col vescovo Pellegrino mi ha convinto a restare e
provare nella diocesi di Torino in una chiesa di legno (corso Taranto) per un
po’ di anni che sono diventati 50.
Gli anni di
lavoro presso il sindacato (formatore, internazionale, stranieri) dal 1975 al
1982 mi hanno permesso di incontrare il mondo del lavoro soprattutto manuale
(avevo già fatto il contadino fin da piccolo per 5 anni con tanto di libretto).
L’incarico internazionale mi ha aperto la vita ad incontri diversi fuori Italia, tutti interessanti:
Palestina e Siria, Polonia di Solidarnosc, Brasile di Lula , Nicaragua e Centro
America, Argentina, utili ora nel servizio ai migranti. È in Argentina che
ho incontrato Papa Bergoglio a maggio del 2008 prendendo il “mate “a casa sua
dopo il seminario sugli immigrati italiani in Argentina che me lo ha fatto
scoprire.
Stimolare la
nascita di movimenti di solidarietà dal basso è stata la mia caratteristica
(ancora oggi seguo progetti in America Latina e Africa, Egitto, Senegal) ed
anche movimenti pacifisti (Ghandi è il mio riferimento). Sono
anti-concordatario (anche se non lo divulgo troppo).
Non voglio
dare consigli, ma mettere insieme delle riflessioni che guidano ancora oggi la
mia vita.
1. La chiesa in cui credo è quella
cattolica cioè universale “Nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessuno”. Da
oltre 35 anni guida nel mio lavoro pastorale con i migranti, rifugiati, Rom.
2. Siamo alla chiusura, per fortuna, di
una chiesa clericale: così penso
e vedo. Fra 10 anni gran parte della parrocchie cattoliche della Diocesi di
Torino saranno chiuse se non si sceglie di promuovere i laici al livello di
primi responsabili delle comunità (come è avvenuto in America Latina): “viri
probati”, uomini o donne, su cui Paolo VI ebbe paura di aprire al
sacerdozio ed oggi ci troviamo con questa chiesa senza laici responsabilizzati
e senza giovani.
3. Quale sarà il vostro ruolo di futuri
improbabili preti: quello evangelico del servizio alla Parola, alle persone.
Quindi ascolto dei bisogni, formazione, responsabilità ai laici fino
all’autonomia… Chi fa il prete per fuggire dal mondo che non riesce a
affrontare, a vivere positivamente, scelga altre vie.
4. L’assenza di giovani e giovani
adulti nella Chiesa pesa molto: sono assenti dalla chiesa-parrocchia 2
generazioni perciò è difficile costruire una chiesa del futuro prossimo.
5. Vi propongo quello che è il mio
sogno concreto di oggi: la formazione di “missionari ecumenici” nelle chiese
cristiane.
I “seminari”
svuotati e le università teologiche diventino luoghi di convivenza e formazione
al dialogo perché siamo “una cosa sola” anche se le Chiese resteranno divise
per un po’: strade diverse che mirano all’unità..
Le strade
diverse sono tutte buone: quello che conta è la fede non le religioni. E le
fedi sono in un unico Dio a cui tutti facciamo riferimento.
6. Dialogo interreligioso (esperienza” Insieme”, in atto ) di
dialogo interreligioso con ebrei, musulmani,
altri cristiani siamo al 6^ incontro comune. Vi garantisco che è
possibile anche oggi ,anche in questo clima
7. Nuova chiesa con gli immigrati: sulla pastorale la diocesi dorme.
Li fa riunire, pregare, ma non è capace di farli entrare nelle parrocchie ed
accoglierli nella pastorale normale.
8. la Comunità di san Rocco è quello che fin da
giovane ho cercato di costruire: un punto di riferimento dove le persone che
cercano Dio si incontrano in libertà e cercano di vivere i valori che credono .
Il posto è per tutti, a qualsiasi fede e religione si appartenga . Ringrazio
quanti ci credono in questo progetto.
Fredo
Olivero 2017.6.25