Operai Embraco in lotta: presi in giro da due anni
Maurizio Pagliassotti
Il Manifesto14/01
Una
dura protesta, i picchetti, uomini incatenati ai cancelli e feste
natalizie passate da quattrocento uomini e donne in un gelido spiazzo di
fronte alla fabbrica. Era la fine del 2017 e la crisi Embraco esplodeva
dopo lunga incubazione. Poi giunse la soluzione, creata dal ministro
del lavoro Carlo Calenda, che davanti ai cancelli della fabbrica
annunciava l’esito positivo: «Sono state presentate ai sindacati le due
società che faranno l’investimento nell’ex Embraco, riprendendo tutti i
lavoratori con gli stessi diritti e le stesse retribuzioni senza nessun
supporto di denaro pubblico», sottolineava il ministro.
Ieri
quattrocento lavoratori ex Embraco, oggi di proprietà della Ventures,
sono scesi in strada per l’ennesima volta, furibondi, per manifestare la
loro rabbia verso un piano industriale che li ha lasciati a casa o
quasi. Il corteo, che ha bloccato il traffico nella zona nord i Torino,
ha ribadito la domanda pressante affinché le istituzioni escano allo
scoperto e affrontino definitivamente il dramma che stanno vivendo.
Nessun momento di tensione si è registrato e anzi i lavoratori hanno
raccolto la solidarietà di passanti e automobilisti.
Vagamente
stanchi delle dichiarazioni e degli incontri che si susseguono,
lavoratori e famiglie della Embraco di Chieri domandano una trattativa
reale con la proprietà nonché con il governo.
Questa
la richiesta dei lavoratori: «Esigiamo che le istituzioni e la
Whirlpool mettano in atto tutte le soluzioni possibili per salvaguardare
il posto di lavoro di oltre 400 persone, questa volta in modo concreto e
serio».
Solo due
giorni fa si è saputo che la procura di Torino ha aperto un fascicolo
sulla crisi Embraco, a seguito di un esposto firmato da 108 lavoratori.
L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio a capo
del pool che indaga sui reati economici, è alle battute iniziali: non
esistono ipotesi di reato né vi sono soggetti iscritti nel registro
degli indagati.
I
lavoratori chiedono, da tempo, al Mise il coinvolgimento di Invitalia
affinché vengano individuati investitori che acquistino la ex Embraco.
Si tratta del famoso «piano B», più volte ipotizzato ma mai
concretizzatosi. Un piano definitivo, volto a rilanciare la produzione.
Operazione da sviluppare in tempi rapidi perché la cassa integrazione
terminerà a luglio e gli attuali proprietari hanno da tempo manifestato
l’intenzione di non proseguire l’attività produttiva.
La
richiesta si basa anche sulle parole che il ministro Calenda disse:
«Invitalia rimane con il fondo anti-delocalizzazione attivato nel caso
in cui ci dovessero essere dei problemi che speriamo non succedono. In
caso di problemi potrà aprire il paracadute». Parole che i lavoratori
ricordano bene. I problemi ci sono stati, ora in molti aspettano
l’apertura del paracadute: in molti sperano che se non dovessero
giungere investitori la situazione possa essere salvata dalla presa in
carico di tutti i lavoratori da parte di Invitalia, e quindi dallo
Stato.
L’intervento
pubblico è dibattuto anche dai vertici della Regione Piemonte, che nei
giorni scorsi hanno avanzato l’ipotesi di investimenti azionari nelle
crisi industriali più gravi.
La
crisi industriale non colpisce solo la Ex Embraco: a Brandizzo, pochi
chilometri ad est di Torino, la Martor sta vivendo giorni di lotta e
speranza. Cento diciassette lavoratori potrebbero aver trovato una
soluzione alternativa al brutale licenziamento ipotizzato nei mesi
passati.
Edi Lazzi segretario della Fiom di Torino e Luca Pettigiani
responsabile della Martor per la Fiom di Torino dichiarano: «Siamo di
fronte all’avvio concreto di una trattativa per affrontare la drammatica
vicenda della Martor.
I lavoratori, con grande senso di responsabilità,
e consapevoli di aver cambiato le sorti della vertenza attraverso i 23
giorni di lotta, hanno deciso nell’assemblea a maggioranza di riprendere
l’attività lavorativa, anche per evitare l’incombente fallimento della
Martor.
La Fiom è impegnata insieme ai lavoratori e alla Rsu nella
trattativa che rimane per noi finalizzata ad ottenere una soluzione
positiva per tutti gli attuali 117 dipendenti».
I lavoratori che rischiano nella città metropolitana di Torino sono oltre tremila.