QUALE PACE?
Sei saggi su pace e guerra,violenza e nonviolenza
giustizia economica e benessere sociale
Ed. Mimesis, Milano 2016, pp. 158, 16,00 €
Già meritorio per tanti lavori filosofici è un'ottima antologia di Gandhi, Pontara ci propone qui riflessioni profonde sulla qualità della pace. Esaminando l'opinione di Steven Pinker: «Può darsi che oggi viviamo nell'era più pacifica dell'esistenza della nostra specie» (nel libro II declino della violenza), Pontara sostituisce al criterio di calcolo di Pinker (numero di vittime in relazione alla popolazione mondiale, molto più numerosa che in passato) quello meglio proporzionato (il numero di morti su 100.000 persone l'anno), in base al quale la guerra 1939-45 risulta la più violenta della storia umana. Inoltre, le violenze in corso minacciano direttamente anche le generazioni future, sicché è assai dubbio l'ottimismo di Pinker e assai certo il pericolo aggravato dalle nuove tecnologie, dalla massiccia industria bellica, dal rischio di guerra nucleare.
Quale pace? Non le «paci» che sono solo la volontà del vincitore imposta al vinto. Per Pontara la pace è la proprietà di sistemi sociali che potrebbero essere conflittuali e riescono ad evitare conflitti armati (cfrp. 27). Tra le due nozioni di pace, quella più larga, o pace negativa, cioè assenza di guerra, e la nozione più esigente e più stretta, cioè pace positiva, assenza di ogni forma di violenza (diretta, strutturale, colturale), Pontara sceglie di adottare la prima nozione larga, in quanto più utile all'analisi, visto che la seconda nozione stretta implica un giudizio di valore, una concezione determinata della giustizia. La peace research internazionale (Johan Galtung e altri) è più orientata verso la seconda nozione: pace come assenza di ingiustizie e di culture violente. Però Pontara ammette che il superamento della guerra è legato alla riduzione sia delle gravi diseguaglianze (interne ai popoli, e mondiali), che riducono la mobilità e la fiducia sociale cioè la qualità della vita, sia delle gravi minacce all'ambiente vitale.
Anche Bobbio, a cui l'Autore dedica un capitolo, prediligeva il concetto di pace come antitesi della guerra, ritenendo utopia un mondo senza alcuna forma di violenza. Ma anche la politica di potenza armata e minacciosa è una forma di guerra, diceva già Hobbes, e anche Kant (sugli eserciti permanenti causa di guerre). «Finché esistono stati esiste la guerra», dice Pontara in una discussione sul libro. Bobbio vedeva in uno stato mondiale federale e democratico la possibilità di pace permanente. Per lui realisticamente la nonviolenza possibile si realizza nella democrazia. Ma è vero che le democrazie non si fanno guerra tra loro? Ne hanno fatte molte (non rispettando l'universalità dei diritti umani) contro stati non democratici, ma ci sono anche vari esempi di guerre tra democrazie (almeno formali) (cfrp. 68). Si può sperare che vivere in democrazia induca i cittadini a rinunciare alla violenza verso altri popoli, ma nel nuovo millennio, fino al presente, assistiamo ad una preoccupante «recessione di democrazia» (p.70).
Sarebbe sufficiente uno stato mondiale democratico a togliere pretesti di conflitti bellici? Intanto, vanno considerate, mostra Pontara, le possibilità dimostrate da lotte non violente nella liberazione da dittature e imperialismi.
«È eticamente giustificato violare diritti fondamentali di alcuni al fine di tutelare quelli di altri? (p.36). È la questione angosciante delle «guerre umanitarie», delle «missioni di pace», tenuto anche conto che la guerra moderna è sempre più «guerra totale» per la sua grande distruttività. Può giustificare tali guerre la tradizionale dottrina del «doppio effetto», quello voluto e quello concomitante, non voluto? La proporzione tra le vittime previste, quelle risparmiate e quelle collaterali causate, può essere un criterio morale? Pontara, esaminate tre versioni della dottrina etica dei diritti umani (quella assolutistica, quella del doppio effetto, quella conseguenzialistica), conclude, con sette ragioni forti, che la guerra moderna, in ogni sua forma, non è giustificabile (p. 48-50). Solo la pace - disarmo, transarmo, difesa civile, diplomazia civile, nonviolenza attiva - è la via alla pace.
Enrico Peyretti, Rocca 1 Febbraio 2020