La paura è la maestra che ci insegna a cambiare le cose
di Gianrico Carofiglio
Parlare
di cosa si può apprendere da quello che stiamo vivendo implica
l’altissimo rischio di avventurarsi — e magari perdersi — nel territorio
di una retorica mediocre sui buoni sentimenti e sui buoni propositi.
Non
sono sicuro di sapermi sottrarre a questo rischio: esserne consapevoli
non è quasi mai sufficiente a eluderne la vischiosa seduzione. Con
questa premessa, credo che quanto sta accadendo potrebbe insegnarci
alcune cose decisive. Fra queste: una diversa comprensione della paura,
dell’errore e dei loro risvolti etici.
Cominciamo
con la paura. Essa è in primo luogo quella personale; la percezione
della possibilità di ammalarci, di soffrire, addirittura di morire. Non è
la forma più interessante e sicuramente non è la più istruttiva per una
riflessione sui significati. Ma quella che stiamo sperimentando in
questi giorni è anche, se non soprattutto, una paura di comunità: la
vita cui eravamo abituati e che davamo per scontata, potrebbe non essere
più la stessa, anche dopo la fase acuta dell’emergenza. È una paura, in
un certo senso, da fine del mondo, per come l’abbiamo conosciuto
finora.
Una paura
che ci mette in contatto non solo con la nostra fragilità individuale,
ma anche con quella collettiva, con una malinconia profonda, con la
tristezza, con il senso della perdita. Il lutto.
Tutte
cose che possiamo rifiutare, rimuovere (come facciamo spesso) anche se
poi — prima o dopo — riappaiono a presentare il conto.
Oppure possiamo accettarle, integrarle come parte attiva di noi.
Trasformarle in energia vitale.
La
paura va riconosciuta e usata; bisogna trasformarla in strumento di
lavoro per cambiare le cose — anche e soprattutto fuori dalle crisi — e
non lasciare che diventi una malattia occulta dell’anima individuale e
collettiva, che degeneri in una forza incontrollabile e distruttrice.
Peggiore delle epidemie del corpo. In questo senso verrebbe da dire: è
necessario coglierne la fondamentale implicazione etica e la grande
attitudine trasformativa. Poi c’è il tema dell’errore: la nostra
difficoltà ad ammetterlo e la nostra difficoltà a convivere apertamente
con esso. In molti — io per primo — abbiamo detto cose sbagliate, a
volte stupide, dall’inizio della crisi. Le affermazioni sbagliate o
anche stupide dipendono da molte ragioni. Nel caso specifico, fra
l’altro, dalla difficoltà, per i non addetti ai lavori, a comprendere e
maneggiare concetti non intuitivi come quello di crescita esponenziale.
Esiste però un tema generale. Riguarda il nostro bisogno quasi
compulsivo di esprimerci su tutto; anche prima di avere gli elementi per
farlo senza rischiare di dire o scrivere sciocchezze. Se guardo
indietro, nel passato remoto, o in quello recente quando questa vicenda
era già cominciata, i miei comportamenti più stupidi sono consistiti
nell’esprimere un’opinione quando avrei fatto bene a non parlare o a non
scrivere. Meglio ancora: quando avrei fatto bene a non avere nessuna
opinione, in mancanza di conoscenze sufficienti. Quando avrei fatto bene
a stare nell’incertezza consapevole e vigile, invece di praticare
un’inconsapevole improntitudine.
Credo
che questo me lo ricorderò e credo che questo sarebbe bene ricordarlo
tutti. Mi viene naturale concludere queste riflessioni citando un brano
di T.H. White, autore di una serie di romanzi di enorme successo sul
mito di Re Artù. «Il rimedio migliore quando si è tristi — replicò
Merlino, cominciando ad aspirare e a mandar fuori boccate di fumo — è
imparare qualcosa. È l’unico che sia sempre efficace. Invecchi e ti
tremano mani e gambe, non dormi alla notte per ascoltare il subbuglio
che hai nelle vene, hai nostalgia del tuo unico amore, vedi il mondo che
ti circonda devastato da pazzi malvagi, oppure sai che nelle cloache
mentali di gente ignobile il tuo onore viene calpestato. In tutti questi
casi, vi è una sola cosa da fare: imparare. È l’unica cosa che la mente
non riesce mai ad esaurire, da cui non si lascia mai torturare, che mai
teme o di cui mai diffida, di cui mai si pente.
Imparare è il rimedio per te. » Imparare è il rimedio per tutti noi.