L'ultimo consigliere comunale se ne va.
Francesco
Nevoli meno di due anni fa era candidato sindaco M5S a Taranto.
Raccolse poco più del 12% dei consensi e venne eletto consigliere
comunale. Ieri si è dimesso. Il suo passo indietro segue quello
dell’altro “portavoce” grillino, Massimo Battista, lavoratore alle
acciaierie dell’Ilva che se ne era andato polemicamente all’indomani
dell’accordo sulla vendita dell’impianto agli indiani di Arcelor Mittal,
portata a termine col beneplacito del ministro Luigi Di Maio.
Il
M5S in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe chiuso l’Ilva e
riqualificato l’area. Spinta da questo impegno solenne, alle elezioni
politiche la lista 5 Stelle a Taranto sfiorò il 50%, raccogliendo
percentuali bulgare nei quartieri operai e in quelli più esposti alle
ceneri dell’acciaieria.
Il fatto che ora a Taranto il M5S non abbia più
consiglieri comunali è indicativo di una tendenza più generale: il
rapporto difficile tra i 5 Stelle e i contesti locali.
Il
capoluogo pugliese è stato per qualche mese un piccolo laboratorio
delle strade che il grillismo avrebbe potuto prendere. Qui, proprio in
occasione della candidatura di Nevoli, si verificò un fenomeno che non è
avvenuto in nessun altro territorio, neanche in Valsusa: un soggetto
con un suo radicamento e indipendente dal M5S era riuscito a utilizzare
il marchio pentastellato per portare avanti le sue battaglie e piazzare i
propri candidati. Si trattava del Comitato liberi e pensanti, formatosi
nel 2012, nei giorni caldi dell’Ilva e dello sfarinamento del rapporto
dei tarantini con sindacati e partiti. Il comitato negli anni scorsi ha
organizzato un Primo maggio alternativo diventato, per dimensioni e
visibilità, contraltare alla piazza romana dei sindacati. Poi ha provato
a interagire coi 5 Stelle.
La
certificazione del fallimento tarantino arriva mentre nel M5S ci si
interroga sulla sconfitta alle regionali abruzzesi e ci si prepara al
risultato, tutt’altro che promettente, di quelle del 24 in Sardegna. In
una formazione politica che per ragioni strutturali non può decapitare
il suo gruppo dirigente e che tantomeno ha intenzione di sciogliere il
contratto di governo stipulato con la Lega, si cerca di uscire
dall’impasse mettendo mano alle regole interne. Prima fra tutte, quella
che vieta ogni alleanza. I vertici starebbero pensando di autorizzare le
alleanze con liste civiche. Potrebbe anche essere uno degli escamotage
utili ad aggirare la tagliola dei due mandati elettivi imposta dallo
statuto. Tutti nel M5S sanno che questa regola impedisce il
consolidamento organizzativo, ma è troppo forte la valenza simbolica
contro i politici di professione. Così, se dovesse crollare il divieto
di alleanze, chi esaurisce i due mandati potrebbe candidarsi nelle liste
collegate al M5S.
Sembra
facile, ma un altro fattore complica le cose. Chi conosce le dinamiche
grilline sa che, soprattutto su scala locale, il M5S è attraversato da
controversie legali per la conquista dell’agognato brand elettorale. Non
c’è territorio che non ne abbia conosciute. In alcuni casi gli scontri
interni hanno impedito la presentazione della lista. Ma di solito
intervengono i vertici, riconoscono d’ufficio la certificazione solo a
una delle parti in causa, quest’ultima compone la lista e si libera
dell’avversario. E allora, si chiedono i 5S sparsi per il paese, cosa
succederebbe se da Roma e Milano Di Maio e Casaleggio dovessero dirimere
le controversie di un’intera coalizione invece che di una singola
lista?
Giuliano Santoro - Il Manifesto 13/02/2019