Disabilità, se è un ministero che discrimina
Iacopo Melio
La Repubblica 14/02
Caro direttore, ci risiamo. Quando non si sa dove pescare "punti tenerezza", il tema disabilità viene estratto con quella rassicurante compassione mista a pietismo (e incapacità) da far sussultare anche un paralitico. E sì, la battuta di black humor me la concedo, in quanto disabile, che di certo non è la cosa più squallida accaduta in queste ore. Anzi, normalizza un approccio che qualcuno, nell’anno della speranza, continua a sporcare di carità retrograda anziché di tutele sociali concrete. Ma facciamo ordine.
Qualche anno fa, in un incubo oggi rigurgitato, a decidere della mia libertà sarebbe dovuto essere un leghista che, per dirne una, alle donne quella libertà voleva toglierla, scegliendo per loro cosa fare con il proprio corpo e la propria vita. Una personcina empatica e sensibile, insomma, leggermente misogina e omotransfobica ma va beh, non si può avere tutto...
Ministro della Disabilità: figura ad hoc, "per noi", per ribadire l’esistenza di una categoria a parte, e dunque l’esigenza di provvedimenti "speciali" per persone "speciali". Che poverini, i disabili coccolosi, aiutiamoli nel recinto loro, infilandoli in uno scompartimento, sia mai ambissero allo stesso trattamento degli altri cittadini. Perché come gli altri non lo sono, hanno più bisogno e vanno protetti dal mondo (o magari nascosti, istituzionalizzandoli). Certo, come no.
E invece nessuna tutela è arrivata da Salvini, Meloni e compagnia. Non troverete un solo punto realizzato, di nessun programma specifico, del fanta-meraviglioso Ministero senza portafoglio (e quindi di pura propaganda strumentale). Solo un’antica discriminazione che continua a evidenziare differenze, anziché puntare ad una parità sostanziale con competenza e cognizione di causa.
Per questo un ruolo simile è tanto inutile quanto dannoso, portandoci cento passi indietro sulla strada dell’inclusione, e fa orrore vedere la facilità con la quale viene riproposto facendo leva sul pietismo più populista. Che poi io una certa strategia la comprendo pure: come diamine fai ad opporti a qualcosa che, sulla carta, dovrebbe semplificare la vita a chi affronta difficoltà oggettive in più? Con che coraggio sostieni che l’essere attenti verso chi fatica ad avere una vita normale, sia qualcosa di tecnicamente sbagliato?
Vaglielo a spiegare alle famiglie disperate che devono rifiutare la proposta di aiuto (perché solo tale resta) da chi promette ascolto e servizi senza adottare un metodo socialmente corretto.
E perciò "contano i fatti, non gli ideali!" qualcuno mi obietterà. Ma il punto è che gli ideali influenzano la motivazione, la qualità e l’efficacia dei fatti stessi, soprattutto nel lungo periodo. Perché c’è modo e modo di far le cose alla radice, pur condividendo l’obiettivo finale. Il punto è che, con queste scelte scellerate, non si potrà mai raggiungere quella piena accessibilità fisica e culturale che la stessa destra, che ancora stenta a capire cosa sia il welfare, scambiandolo per gentile concessione anziché per diritto e dovere, si auspica quando fa comodo.
Non smetteremo di ripeterlo: basterebbe che tutti i ministri tenessero di conto della disabilità quando, nel proprio settore, vengono realizzate nuove manovre, rendendole inclusive per tutti.
Basterebbe ricordarsi di ogni diversità, non solo quella fisica, senza indossare guanti bianchi ma uno sguardo aperto e intersezionale, che non appiccichi etichette ma le combatta convintamente al punto da non vederle. Ma soprattutto, basterebbe sfruttare ciò che già esiste e funziona benissimo in un’ottica di uguaglianza: il ministero per le Pari Opportunità, ad esempio, perché di questo stiamo parlando, di persone che chiedono stessi diritti e non di specie in via d’estinzione da salvaguardare. Siamo persone e non dei panda.
Invece no, sarebbe stato troppo semplice ma anche troppa responsabilità. Volete mettere la bellezza di nominare qualcuno che, di professione, faccia sentire bisognosi "i più fragili"? Un modo paternalistico per ritenersi buoni e giusti, senza puntare a un arricchimento della società bensì alimentando la cultura della carezzina sulla testa con sorrisi melensi.
E finché questo lo riterremo progresso tecnico, c’è poco da sperare in "Vita indipendente", "Dopo di noi", Caregiver, pensioni invalidità...
Perché manca la base, e manca da troppo tempo. Ancora.
L’autore è consigliere regionale del Pd in Toscana e fondatore della onlus #vorreiprendereiltreno