Il paese si ammutina per il parroco sospeso "E ora tutti in Vaticano"
La Repubblica 10/10
MATTEO MACOR
MATTEO MACOR
BONASSOLA (LA SPEZIA) — Nessuna occupazione della chiesa, come i fedeli più arrabbiati avevano proposto in settimana. Nessuna messa cancellata, nessuna liturgia interrotta. Ma ad abbracciare don Giulio Mignani, il parroco sospeso dalla Diocesi di Spezia dopo le aperture in tema di fine vita, aborto, diritti di genere, ieri mattina si sono ritrovati davanti a Santa Caterina in oltre 500, residenti e villeggianti, parrocchiani e non credenti. Erano tutti rigorosamente fuori dalla chiesa: la funzione delle 11, celebrata da un sostituto mandato dalla Curia, è andata quasi deserta nonostante le preghiere dello stesso don Giulio («Non dobbiamo impedire di entrare a nessuno, dobbiamo accogliere da subito il mio successore»).
Nella piccola Bonassola, borgo di mare e di vigne a un passo dalle Cinque Terre, così tante persone sul piazzale della parrocchia giurano di non averle «mai viste». Un paese intero a chiedere un ripensamento al vescovo, e insieme, «comunque vada » celebrare «non una fine ma un inizio». Una protesta che continua («organizzeremo i pullman per manifestare sotto al Vaticano», è il nuovo annuncio dei fedeli ribelli), un «seme che forse frutterà». «Io le cose che ho detto le penso e le rivendico, ho fatto tutto per amore dellastessa istituzione che oggi mi punisce — spiega il parroco sospeso — Io vado avanti, sogno ancora una Chiesa vicina alle persone per davvero».
Cresciuta dal basso per tutta la settimana, a dire la verità, non fosse stato per gli abbracci stretti e gli occhi lucidi la rivolta di Bonassola avrebbe avuto i contorni della festa di paese. I bambini a tappezzare la piazza di cartelloni colorati, il ristorante più vicino a offrire bruschette e patatine. A parlare, sono state le espressioni più o meno spontanee della protesta. Gli striscioni appesi ad alberi e balconi («Dio se n’è andato insieme a don Giulio», «No don Giulio, No comunione», "minaccia" la classe di catechismo su un cartellone), il campanaro che annuncia al microfono «lo sciopero delle campane », la parrocchiana storica che manda il suo messaggio al vescovo: «Ho 81 anni, e tutto questo mi sta allontanando dalla Chiesa».
Tutte voci di una comunità tradita, «un albero che ha dato frutti così preziosi, che mi chiedo perché tagliare in questo modo» — è l’unico sfogo di don Mignani — che nel giorno della rabbia si candida però ad allargarsi. Pronta a far diventare «la nostra battaglia una battaglia di tutti, — si spiega — la difesa di Giulio la difesa delle idee che gli sono costate così tanto». Già in settimana si era fatto sentire in Liguria Marco Cappato, con cui don Mignani ha condiviso parte della battaglia sul referendum sul fine vita, e ha iniziato a passare di chat in chat una lettera che raccoglie una lunga lista di firme di «bonassolesi acquisiti», tra questi l’archistar Stefano Boeri e l’Ambrogino d’oro Piergaetano Marchetti, che definiscono la decisione della Diocesi «un vuoto di senso che la cultura italiana, religiosa e laica, non merita ». Ma è soprattutto ieri sera che in sacrestia sono arrivati i messaggi di sostegno da associazioni, circoli, anche parroci di tutta Italia.
Tra le mani tese a distanza, anche quella di Mina Welby, uno dei simboli della lotta per il diritto all’eutanasia. «Io sono credente e praticante, soffro a vedere come in tema di diritti la Chiesa conceda solo talvolta, e solo pochi spiragli — la sua riflessione — Giulio ha solo dimostrato cosa vuol dire ascoltare, accogliere le persone. Quello che dovrebbero fare la Chiesa e la politica, invece di chiudersi in sé stessa l’una, sventolare la parola diritti solo come una bandiera l’altra».