martedì 8 luglio 2025

 5 LUGLIO 1991 MUORE EMMA SCHIERANO

 

Come non ricordare una donna che tanto ha donato e fatto per la Comunità di base di Pinerolo.

Nel 1971 ci diede la possibilità di aprire il primo gruppo omosessuali in una saletta accessibile solo dal cortile.

Dal 1967-1968 ci fece avere, presso una donna che lei conosceva, lo spazio per ricevere due persone omosessuali che con me celebrarono il loro matrimonio nel 1969.

Nel 1974 mi donò le chiavi della sede, che, completamente libera nel 1975, diventò la sede abituale della nostra Comunità.

Proprietaria dello stabile intero, mi aveva proposto di avere in proprietà come Franco Barbero un alloggio già dal 1975. Cosa che ritenni un privilegio e rifiutai.

Impossibile ricordare la sua persona, semplice, disponibile con chi era nella necessità. Per almeno 15 anni partecipò al gruppo biblico serale finché la salute glielo permise.

Allegra, gioviale, ogni tanto ci regalava la gioia di sentirla cantare le vecchie canzoni piemontesi.

Alla morte non volle essere condotta in Chiesa. La sera precedente il funerale, piena di fede e citazioni bibliche, chiese alla Comunità e al sottoscritto di fare non il rosario in Chiesa, ma una preghiera nel cortile di casa sua.

Il numero 1 della rivista Viottoli riporta tutta la liturgia con cui Emma si congedò da noi come parte attiva della comunità e sinceramente mi piacerebbe che il blog mio e della comunità riportasse le preghiere di commiato.

Restano nel nostro cuore tanti ricordi tante sue azioni. Pensate che quando arrivavo tardi da Torino o Milano mi faceva trovare sulla finestra semi aperta una scodella di frutta cotta come augurio della buona notte.

La sua morte arrivò dolcemente.

Nell'anno 1970 aveva sofferto di un declino della memoria…

Cara Emma, chi ti ha conosciuto ha assaporato la tua fede semplice e concreta e ha conosciuto in te che cosa vuol dire amore per il prossimo.

Ora sei con Dio, ma sei anche nei nostri ricordi più caldi e più amorosi.

Ricordo ancora come fosse ieri ciò che dissi e altri dissero nei momenti di commiato da te nella preghiera e sono passati bene 34 anni.

Grazie, cara e dolce Emma Schierano. Grazie, o Dio, che ci regali tanti fratelli e sorelle che hanno vissuto una fede concreta e gioiosa.

Morta Emma trattai con un parente che diventò proprietario e gestore della casa e anche della nostra sede.

Ci confermò la residenza e ci aumentò di 100 lire l'affitto mensile, così non perdemmo la sede di cui 16 o 17 anni prima mi aveva dato le chiavi.

Grazie anche ai parenti che rispettarono la volontà di Emma al riguardo.

 

Franco Barbero, 1 luglio 2025

No alla custodia in istituti penitenziari inadeguati di persone transgender


La vicenda della detenuta trans che ha denunciato nei giorni scorsi di essere stata stuprata da quattro uomini all’interno del carcere Arginone di Ferrara è al centro dell’interrogazione presentata alla Giunta Regionale Emilia Romagna dalla capogruppo Alleanza Verdi Sinistra – Coalizioni Civiche – Possibile in Assemblea legislativa Simona Larghetti.

L’aggressione, secondo quanto riportato dagli organi di informazione e confermato da fonti giudiziarie, sarebbe avvenuta nella sezione “protetti” dell’istituto penitenziario Arginone dove si trovano raggruppati, indistintamente, detenuti omosessuali, trans ma anche stupratori e persone condannate per reati legati alla violenza di genere. La detenuta aveva fin da subito chiesto di essere spostata da Ferrara in un penitenziario dove fosse presente una sezione per persone transgender, perché qui temeva di essere violentata. Ferrara, infatti, non è un carcere dove è prevista una sezione dedicata, come invece lo era Reggio Emilia, la struttura da cui la detenuta proviene, trasferita ad aprile.

Questa vicenda, oltre a essere una tragedia individuale, è lo specchio di un sistema carcerario che non garantisce condizioni minime di sicurezza e dignità, soprattutto per le persone trans, che troppo spesso vengono abbandonate in contesti inadeguati e pericolosi.

“È inaccettabile che una persona detenuta — e per di più appartenente a una categoria particolarmente vulnerabile — subisca una violenza così brutale all’interno di una struttura dello Stato. La responsabilità istituzionale è evidente e non può essere elusa — afferma Simona Larghetti, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra in Assemblea legislativa — Non bastano le indagini interne: serve una riforma urgente nella gestione delle persone trans nelle carceri. Questo nuovo e gravissimo episodio rende urgente un cambiamento profondo di approccio, fondato sul rispetto e sulla protezione effettiva delle minoranze più vulnerabili, per prevenire discriminazioni e atti di violenza. La questione non può essere trattata sempre come emergenziale, l’approccio deve diventare strutturale”.

Nell’interrogazione depositata dalla consigliera di AVS si chiede, quindi, alla Giunta dell’Emilia-Romagna se sia informata dei fatti, quali misure siano state attivate a protezione della persona coinvolta e se intenda interloquire con il Ministero della Giustizia per evitare che persone trans vengano trasferite in carceri non adeguate.

“La violenza nelle carceri non è un destino, ma una responsabilità politica. È tempo che lo Stato, anche a livello regionale, si faccia carico della tutela concreta dei diritti umani e della sicurezza di tutte le persone private della libertà” — conclude la consigliera Larghetti.

  

da “Pressenza” del 2/7/25

 Pubblichiamo da “Pressenza” del 4/7/25 la prima parte dell’articolo “Ma quale casa?”. La seconda parte sarà pubblicata domani

 

“Ma quale casa?”

la campagna per introdurre il diritto

all’abitare in Costituzione


(PRIMA PARTE)

 

Avere un tetto sopra la testa è giusto, no?

Per questo non abbiamo un’unica bandiera. Proveniamo da mondi diversi, abbiamo età differenti, a qualcuno piace il mare, altri non si muovono dalla montagna. Ma una cosa ci accomuna: crediamo che la casa debba essere riconosciuta concretamente come un diritto fondamentale della persona.

Alcuni di noi hanno dato corpo alla protesta delle tende contro il caro affitti, altri si battono per la giustizia abitativa in associazioni, sindacati o amministrazioni locali. Da queste esperienze abbiamo imparato che alzando la voce si attira l’attenzione, ma è parlando piano che si cambiano le cose. Le nostre esperienze, però, sono solo un piccolo mattone in questo enorme tema che, se ci pensi, riguarda tutte e tutti. Riduciamo ai minimi termini il problema italiano dell’abitare: nei centri maggiori le case sono inaccessibili; nei piccoli comuni molte sono vuote.

Cambiare la Costituzione significa modificare le regole del gioco. Vuol dire tracciare una linea netta tra ciò che è lecito, possibile e ciò che è invece inapplicabile. Occuparsi di casa oggi non implica solo parlare di studenti, caro affitti, caro-bollette o case popolari. Ma tutte queste e altre cose, insieme. In sintesi, la nostra proposta vuole introdurre il riconoscimento del diritto all’abitazione in Costituzione e l’attuazione delle politiche pubbliche necessarie a tutelarlo. Se approvata, ogni altra norma dovrà adeguarsi a un principio tanto semplice quanto disarmante: avere un tetto sopra la testa è giusto.

La proposta di iniziativa popolare

La presente proposta di legge di iniziativa popolare mira a modificare la Costituzione al fine di introdurre elementi per il riconoscimento e la promozione del diritto all’abitazione e per l’articolazione delle politiche volte a rendere effettivo il godimento di tale diritto. La codificazione di tale diritto nel testo della Costituzione italiana rappresenterebbe un passo decisivo per la creazione di una società più equa, giusta e solidale, in cui ogni individuo possa godere di una vita dignitosa, che non solo vede l’accesso a un’abitazione adeguata come bene primario e diritto della persona, ma che pone la stessa come principio in grado di orientare l’ordinamento e per la futura produzione normativa.

Con la pandemia si è compreso che la casa può divenire molto più di un luogo fisico: essa può diventare ufficio, scuola, spazio sociale, ma può anche trasformarsi in una gabbia. Garantire una casa sicura, dignitosa, e accessibile è il primo passo per garantire il pieno benessere della persona. Senza una casa, non possiamo immaginare una vita. Il riconoscimento giuridico del diritto, pur non essendo espressamente sancito dalla nostra Costituzione, è stato riconosciuto in via interpretativa dalla Corte dalla Corte costituzionale con un orientamento ormai risalente e consolidato.

Le sentenze nn. 49/1987, 217/1988, 404/1988 e 119/1999 della Corte Costituzionale, infatti, hanno rappresentato momenti cruciali per la definizione e il riconoscimento di tale diritto, creando un percorso interpretativo che ha ispirato la formulazione di questa proposta. La sentenza n. 217 del 1988, ad esempio, ha posto l’accento sulla necessità di tutelare la persona in ogni sua dimensione, qualificando l’abitazione come diritto sociale e riconoscendo che “contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”. A questo riguardo, un’altra importante sentenza, la n. 49 del 1987, aveva già precisato che fosse oltretutto “doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione”, rafforzando anche la rilevanza della sussidiarietà orizzontale, principio al quale, tra gli altri, questa proposta si ispira individuando nella Repubblica il titolare dell’obbligo di garantire e promuovere il diritto all’abitazione.

La sentenza n. 404 del 1988 ha ulteriormente rafforzato tale impostazione, consolidando il contenuto delle due precedenti sentenze. In tale decisione, la Corte metteva in evidenza le differenze rispetto alla ’previsione di cui all’art. 47 Cost, il quale tutela il solo “accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Nella motivazione si evidenziava come le precedenti pronunce della Corte avessero invece “una portata più generale”, trattandosi, in quei due casi, del “fondamentale diritto umano all’abitazione” il quale, evidentemente, prescinde dal solo profilo della proprietà dell’abitazione medesima. La Corte rimarcava, nel contesto di un’ordinata gestione del territorio e della proprietà, che lo Stato deve “impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione”, ricavando in via interpretativa “un diritto sociale all’abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 Cost.”. Si affermava inoltre che “indubbiamente l’abitazione costituisce, per la sua fondamentale importanza nella vita dell’individuo, un bene primario, il quale deve essere adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge”, con ciò riprendendo una nozione – quella di “bene primario” – già presente nella giurisprudenza fin dalla sentenza n. 3/1976 e che la presente proposta di legge intende inserire espressamente nel testo costituzionale. Ancora, in modo analogo, la sentenza n. 119 del 1999 ribadiva l’importanza del diritto all’abitazione nel contesto delle politiche pubbliche, sollecitando un intervento statale che risponda ai bisogni dei cittadini più svantaggiati e che riesca a sostenere situazioni di emarginazione sociale.

La Corte ha evidenziato l’esigenza di adottare misure adeguate ad evitare l’’esclusione abitativa, riconoscendo implicitamente che tale diritto costituisce un elemento fondamentale del benessere individuale e collettivo. L’importanza di un riconoscimento forte del diritto all’abitazione è anche ampiamente condivisa a livello internazionale. La Dichiarazione universale dei diritti umani (art. 25), il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (art. 11) e la Carta sociale europea (art. 31) stabiliscono inequivocabilmente che l’accesso a un’abitazione adeguata è parte integrante dei diritti umani fondamentali. Questi trattati e convenzioni internazionali impongono agli Stati di garantire politiche abitative che assicurino il diritto di ogni individuo ad una abitazione dignitosa.

Inoltre, diversi Stati membri dell’Unione europea hanno già esplicitamente riconosciuto tale diritto nelle loro Costituzioni. Ad esempio, la Costituzione portoghese all’articolo 65 stabilisce che lo Stato garantisce il diritto ad “un’abitazione di dimensione adeguata, in condizioni di igiene e conforto, e che preservi l’intimità personale e la riservatezza familiare”. E ancora, la Costituzione spagnola afferma al suo articolo 47 che tutti i cittadini hanno diritto a godere di un’abitazione degna e che la pubblica autorità promuove le condizioni necessarie per questo. D’altra parte, se si allarga lo sguardo al più vasto panorama delle Costituzioni mondiali, ci si avvede non soltanto del fatto che il diritto all’abitazione è riconosciuto in una ampia serie di Costituzioni – più o meno risalenti – ma sussistono alcune consolidate linee di orientamento sia sul piano della definizione di tale diritto che sulla sua collocazione sistematica che, infine, sulla presenza di disposizioni dirette a organizzare e articolare concrete politiche per l’abitare… (CONTINUA DOMANI)

lunedì 7 luglio 2025

SOLIDARIETÀ, STIMA E VICINANZA

A DON MASSIMO BIANCALANI

 

Dopo lo sgombero con la polizia degli ultimi migranti ospiti a Vicofaro, la Comunità dell’Isolotto e le Cdb italiane scrivono al vescovo di Pistoia.


ECCO I FATTI:

Dopo il ricollocamento dei migranti ospiti nella parrocchia di Vicofaro avvenuto nei giorni scorsi con relativa tranquillità, verso le 12:00 di martedì 1 luglio sono arrivate nella piazzetta antistante la chiesa le camionette della polizia.
All’interno della canonica rimanevano solo sei giovani africani, persone con tali traumi alle spalle da essere psichicamente fragili. La polizia in assetto antisommossa ha fatto irruzione nei locali e li ha portati via con la forza. Nelle ore successive è proseguito il lavoro di “sigillatura” delle porte (già avviato in precedenza con le porte che dalla chiesa nuova consentono il passaggio alla canonica) e così tutte le porte e finestre della canonica e della vecchia chiesa sono state chiuse con assi di legno e grossi lucchetti. Ora la canonica è vuota, chiusa, silente, inchiodata nel legno. Lo sconcerto, il dolore, la frustrazione di don Massimo Biancalani e dei volontari/e e di tutti coloro che hanno sostenuto questa esperienza, è grande.

La Comunità dell’Isolotto e le comunità cristiane di base italiane, di fronte a questi fatti, esprimono solidarietà, stima e vicinanza a don Massimo Biancalani e ai volontari e alle volontarie che in oltre 9 anni hanno cercato di testimoniare senso di umanità e aderenza al Vangelo, dando vita a quella che papa Francesco chiamava “Chiesa ospedale da campo”.


La Comunità dell’Isolotto e le Comunità cristiane di base italiane hanno anche scritto una lettera al vescovo di Pistoia

Firenze, 4 luglio 2025
Egregio vescovo Tardelli,
siamo nuovamente a scriverle dopo i recentissimi fatti avvenuti a Vicofaro.
L’intervento sproporzionato della polizia di martedì 1 luglio per lo sgombero degli ultimi 6 migranti rimasti nella canonica e la sigillatura delle porte della canonica stessa e della vecchia chiesa hanno richiamato alla nostra memoria eventi lontani e dolorosi come l’intervento della polizia per allontanare gli occupanti del duomo di Parma nel 1968 e la chiusura della chiesa dell’Isolotto da parte del cardinale Florit nel 1969.
Ci colpisce la distanza tra la risoluzione pacifica e concordata da lei con il contributo della Caritas per il trasferimento degli ospiti di Vicofaro e l’atto ingiustificato di forza, sottolineato con soddisfazione anche dal Ministro Piantedosi. Nel suo messaggio il Ministro ignora che i “10 anni… del centro di accoglienza abusivo per centinaia di migranti” hanno rappresentato un’esperienza di immenso valore evangelico distante anni luce dall’accoglienza ufficiale sullo stile CPR.
A 60 anni dal Concilio Vaticano II niente di nuovo sotto il sole?
Le parole di papa Francesco, ripetutamente e in varie occasioni pronunciate per una “Chiesa aperta” e una “Chiesa ospedale da campo” sono solo voce di uno che parla nel deserto?
Egregio vescovo Tardelli, le sue parole nell’appello alla diocesi di Pistoia per l’accompagnamento dei fratelli migranti del febbraio 2025, che riportiamo in nota 1,ci avevano favorevolmente colpito perché, a nostro parere, riconoscevano il valore evangelico e pastorale dell’esperienza portata avanti fin dal 2016 da don Massimo Biancalani con l’aiuto delle volontarie e dei volontari della parrocchia di Vicofaro, nonostante gli attacchi personali e collettivi arrivati da giornali, esponenti della politica, comitati e singoli cittadini che qui non riportiamo per decenza.
Anche il recente sforzo suo personale e della diocesi di Pistoia per individuare più sedi in cui accogliere i migranti ospitati a Vicofaro ci aveva fatto sperare nella concretizzazione delle sue affermazioni nell’appello alla diocesi citato in precedenza e in un segnale forte e concreto nei confronti della politica e dell’amministrazione che, in quasi 10 anni, sono state capaci solo di osservazioni formali, ma non hanno contribuito affatto ad una soluzione dei problemi di accoglienza dei migranti, inverando la condanna di Gesù: “scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume”.
In questi giorni gravi e drammatici vogliamo con questa lettera esprimere la nostra vicinanza all’esperienza di Vicofaro, anche perché ci colpisce l’assenza di voci ecclesiali in difesa dell’azione di don Massimo Biancalani, offeso da più parti non solo nella persona, ma anche nel ruolo di sacerdote e parroco.
Egregio vescovo Tardelli, noi non la giudichiamo. Sarà la storia a giudicare chi ha operato nel senso umano ed evangelico di “ero straniero e mi avete accolto” e chi si è voltato dall’altra parte.

 

la Comunità dell’Isolotto
via degli aceri 1, 50142 Firenze – mail: info@comunitaisolotto.org

le Comunità cristiane di base italiane – mail: segreteriacdbitalia@gmail.com

 

nota 1: “[..] Tra i molteplici segni di attenzione e di accoglienza disseminati per l’intera diocesi e che arricchiscono di carità la nostra chiesa, c’è anche quello portato avanti con generosità da don Massimo Biancalani a Vicofaro e Ramini.
In questi anni, don Massimo ha aperto le porte della canonica, dei locali parrocchiali e persino della chiesa per offrire una primissima accoglienza soprattutto a chi vaga per le strade, ha problemi di varia natura anche di salute mentale o è uscito per motivi diversi dai percorsi istituzionali oppure più semplicemente, cerca un tetto, un punto di appoggio per trovare un po’ di lavoro. Tutte persone da accompagnare in un cammino educativo certamente non facile, verso un inserimento positivo e costruttivo nella società. È stata ed è sicuramente un’accoglienza “rischiosa” da tanti punti di vista ma la carità, si sa, ha sempre dei lati “rischiosi […]”.

 

Domenica 6 luglio, insieme a molte altre persone e realtà, la Comunità dell’Isolotto ha partecipato alla messa delle 11:00 a Vicofaro portando – insieme alla presenza – affetto, stima e vicinanza. Al termine della messa in un momento di condivisione di emozioni e pensieri, in tanti sono intervenuti con parole di amicizia e sostegno. Noi abbiamo potuto leggere la lettera. Tra tutti, molto emozionante l’intervento di un giovane africano che ha spiegato il significato che ha avuto per la sua vita trovare casa a Vicofaro, una casa che gli ha permesso di crescere, inserirsi, trovare lavoro, avviarsi alla propria autonomia. E al termine delle sue parole ha abbracciato don Massimo.

 

comunitaisolotto.org, 6 luglio 2025

 

IL TEMPO DELLA RICERCA PLURALE

 

Si pensi, per l'interesse che può rivelare questo ambito in chi è in ricerca spirituale, al dialogo interreligioso, portato avanti sia sul piano speculativo che pratico, attraverso l'approfondimento delle altre tradizioni e le esperienze, per esempio, della meditazione e di alcune realtà inculturate.

Ugualmente, lungo l'itinerario di ricerca che si disegna in questa nostra epoca in quieta, notiamo l'approfondirsi proprio delle differenze e delle specificità, che non solo non si perdono nel "calderone" dell'Uno, ma, al contrario, acquistano rilevanza diventando irrinunciabili e irriducibili. L'unificazione si rivela allora esse re data dal comune status di unicità che, al contrario lo vuole salvaguardare,

specchiandosi in esso/a non in quanto identico, ma in quanto unico. Per scoprire così l'alchimia dell'unità "nelle" differenze, o, meglio, "per mezzo" delle differenze.

E se una teoria del tutto sarà trovata in fisica, questa dovrà spiegare l'eterogeneità dei fenomeni senza riduzionismi, così come nuove brillanti intuizioni filosofiche che, di cui tanto si sente un acuto bisogno, dovranno emergere alla stregua di pensieri associativi e non più competitivi rispetto alle visioni precedenti. Ed infine - ultimo ma non meno importante - una riflessione teologica all'altezza della complessità contemporanea, dovrà saper indicare la divinità nell'umano e in tutta la realtà abbandonando con coraggio il pregiudizio nei con fronti della molteplicità e della diversità.

 

Rosella De Leonibus, Rocca, 22 giugno 2025

ATTUALIZZAZIONE

 

Concretamente, intercettare la dialettica in atto tra unità e molteplicità da un lato, passato e avvenire dall'altro, rende ancora più sensibili alle contraddizioni che esprime

il nostro tempo. Dalle guerre – folle negazione della vita altrui, nella quale siamo invece chiamati a specchiarci-,

alle persecuzioni e al genocidio di intere popolazioni, come a Gaza, - violenza se minata nel presente che ipoteca il futuro ingravidandolo di una catena di violenze ulteriori -, fino alle molteplici forme di decadenza - politica, culturale, sociale - che invece di cogliere le opportunità della pluralità interculturale e interreligiosa, cercano di negarla in ogni modo.

Nell'attraversamento della soglia del cambiamento epocale in corso, forze antagoniste di involuzione e morte si ipertrofizzano tentando di occupare tutto l'orizzonte con il non-senso e il terrore, ma non ci riesco no: il movimento di ricerca e scoperta non si arresta, nutrendosi a partire da sotterranee e tenaci radici ben piantate nell'humus vitale di una fiducia provata, poiché questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato (Gv 6,29).

Attualità di Gesù e del suo cammino mite e nonviolento, che continua a cambiare il mondo, nell'apparente sconfitta della morte in croce, dalla quale ripartire

ogni giorno alla ricerca di quel Senso che è Alfa e Omega, Cristo cosmico e Vita nell'Eterno, qui e ora. "Non lasciatevi rubare la speranza!" grida ancora in noi la memo ria grata del profeta Francesco.

 

Debora Rienzi (da “Rocca” dell’1/6/25)

domenica 6 luglio 2025

Madre creatrice

 

Madre creatrice, rendici consapevoli della nostra fragilità, di essere legate al supporto degli altri e delle altre, aiutaci a liberarci dalle false sicurezze che limitano la nostra crescita e insegnaci che a volte è bello farci trasportare come l'onda dal vento, farci riscaldare come fa la terra con i raggi del sole, farci rischiarare nei momenti bui da una luce esterna, farci coccolare da un abbraccio, come fa la mamma coi suoi figli e insegnaci anche ad essere attente ai bisogni degli altri e delle altre.

 

Katia Petrelli

Il nome

 

Bellissima l'intuizione tutta ebraica

sull'impossibilità di darTi un nome.

Chiamare qualcuno per nome

significa conoscerlo e, in parte, possederlo.

Dio non si può chiamare,

perché, ogni volta che si cerca di afferrarlo, sfugge.

 

Affascinante la scelta di altri popoli

di darTi invece tanti nomi diversi,

femminili e maschili,

per cogliere manifestazioni di Te

senza la pretesa di includerle tutte.

 

La nostra società è malata:

Ti chiamiamo spesso per abitudine,

ma non ricorda e non ti ricorda.

Non conserva memoria di ciò che è stato.

 

Ineffabili saranno i giorni

in cui inventeremo nomi nuovi per noi e per Te,

colomba reincontrarci, ritrovarci,

per ricordarci il passato in cui Tu c'eri,

comprendere il presente in cui sei,

meritare il futuro che ci attende,

in cui ancora una volta

Tu sarai.

 

Carla De Stefani

Quando il sionismo è cristiano

La forza dello Stato di Israele sta in buona parte nell’appoggio dell’Occidente alle sue politiche guerrafondaie e genocidarie. Una narrazione ampiamente condivisa fa risalire questa circostanza al grande potere che avrebbero le lobby ebraiche in special modo negli Usa, soprattutto nella capacità di influenzare la sua politica estera. Cercheremo di mostrare come questa ipotesi sia in gran parte fuorviante, e come in realtà molto più potente del “sionismo ebraico” sia il cosiddetto “sionismo cristiano”.

È vero che la comunità ebraica degli Stati Uniti è la più organizzata e la più numerosa del mondo, anche se in termini assoluti essa si aggira intorno a non più di sei o sette milioni di individui. Storicamente è considerata una riserva di voti per il partito democratico, vantando un’antica tradizione liberal e progressista. Tra i due conflitti mondiali, e forse anche all’inizio della guerra fredda, fu addirittura sottoposta ad un’attenta sorveglianza da parte dell’intelligence federale perché sospettata (non a torto) di avere simpatie per il bolscevismo sovietico.

Naturalmente dopo il 7 ottobre tutti si sono schierati dalla parte di Israele. Poi col procedere dei massacri da parte dello Stato ebraico le cose sono cambiate. Oggi si possono distinguere grosso modo tre diversi posizionamenti. Una parte della comunità, costituita soprattutto dai più giovani, condanna apertamente le politiche genocidarie. Quella che invece potremmo definire una posizione mediana, pur stando dalla parte di Israele vorrebbe un cambio di governo ed una sospensione degli attacchi indiscriminati nei confronti dei palestinesi. Infine vi sono i sostenitori senza condizioni delle politiche di cancellazione etnica per la costruzione della “grande Israele”. Sono questi ultimi che possono essere definiti senza alcun dubbio come “sionisti ebraici”. Quantificarli è estremamente difficile, ma considerando i numeri complessivi della comunità dovrebbero aggirarsi al massimo non molto oltre i 2 milioni di individui.

Il fenomeno del “sionismo cristiano” nasce invece nell’ambito delle chiese evangeliche, che costituiscono oggi un fenomeno globale fortemente sottovalutato da analisti e opinione pubblica. Gli aderenti sono valutati attualmente a livello globale in circa 660 milioni e sono in costante crescita, rappresentando una vera opportunità per la credibilità e il sostegno allo Stato di Israele.

In questa sede ci occuperemo però solo degli Usa, dove sono stimati tra i 60 e gli 80 milioni di fedeli, che costituiscono in pratica (come minimo) il 25% dei cittadini aventi diritto al voto, tutti di provata fede repubblicana. Se si considera che la partecipazione elettorale negli States è molto bassa ed è invece quasi certamente più alta tra gli affiliati alle varie chiese, si può facilmente sostenere che essi costituiscono la fondamentale base elettorale repubblicana. Anzi si potrebbe addirittura ribaltare il discorso ed azzardare che il Partito Repubblicano è ormai (o sta per divenire) una espressione diretta dell’evangelismo.

Per quanto riguarda in particolare il sionismo cristiano esso è valutato tra i 20 e i 40 milioni di individui. Ma probabilmente si tratta di una sottostima considerando che ormai tutto il mondo evangelico si muove verso questa direzione. In ogni caso, anche con questi numeri abbiamo tra i 10 e i 20 sionisti cristiani per ogni sionista ebreo (naturalmente ci riferiamo sempre all’ambito Usa).

Ma in che cosa consiste esattamente il sionismo cristiano? L’idea di partenza nasce da una lettura letterale di alcuni passi della Bibbia che fanno pensare ad un ritorno in massa degli ebrei nella terra promessa. Naturalmente non si tratta di un atto di pura generosità da parte dei cristiani, ma del fatto che questa idea viene associata a quella, veramente centrale in ambito evangelico, di un prossimo ritorno di Cristo nel nostro mondo.

Il discorso è complesso e ha diverse varianti, ma per quel che serve ai nostri scopi, basterà sottolineare che stavolta Cristo non verrebbe per morire in croce ma per governare il mondo almeno per i prossimi mille anni, condannando i rei e beatificando i giusti. In questa prospettiva agli Ebrei tornati ad Israele a ricostituire le condizioni originarie, viene offerta come una seconda chance. Essi potranno accogliere il Messia ritornato salvandosi, o saranno dannati per sempre. In attesa di quel giorno però il sostegno allo Stato sionista resta incondizionato.

Una curiosità che vale la pena sottolineare è che, almeno per certi versi, si può dire che il sionismo cristiano sia nato addirittura prima di quello ebraico. Quest’ultimo, come è noto, ha una precisa data d’inizio, quando il suo fondatore, il giornalista ebreo-ungherese Theodor Herzl convocò il primo congresso sionista mondiale a Basilea nel 1897. Si dà tuttavia il caso che del ritorno degli Ebrei nella terra promessa in ambito cristiano si discuteva da tempi immemorabili. Un solo esempio (particolarmente interessante), giusto per restare nell’ambito degli Usa: nel 1844 un accademico dal nome familiare di George Bush (guarda caso progenitore degli omonimi recenti presidenti statunitensi) scrisse un libro in cui erano precisati gli aspetti salienti del moderno sionismo cristiano, destinato poi a vendere la cifra ragguardevole di un milione di copie.

Tornando al presente è veramente notevole, e diremo decisiva ai fini di quanto vogliamo dimostrare, la presenza di personaggi di spicco del sionismo cristiano in ruoli chiave delle due presidenze di Donald Trump. Rispetto al primo mandato erano (e sono) evangelici e sionisti dichiarati addirittura le due più importanti figure dell’amministrazione e massimi collaboratori del tycoon: Mike Pence, vicepresidente e Mike Pompeo, segretario di Stato. Nell’attuale amministrazione spicca con le stesse caratteristiche Pete Hegseth segretario della difesa, oltre ad una miriade di funzionari di rango inferiore che qui tralasciamo.

La lotta per la salvezza dei palestinesi e per la sconfitta del sionismo si annuncia lunga e difficile, e per quanto abbiamo detto (se mai ce ne fosse stato bisogno) non ha nulla a che vedere con le religioni in sé, ma piuttosto con le loro derive frutto di continue manipolazioni ideologiche e politiche.

 

Antonio Minaldi (da “Pressenza” del 2/7/25)

sabato 5 luglio 2025

 

Un’emergenza invisibile: le condizioni delle persone transgender in carcere

LAURA DI DOMIZIO
(da “Domani” dell’1 luglio 2025)


Il 24 giugno una detenuta trans ha denunciato di essere stata violentata da quattro uomini nella sezione “protetti” del carcere Arginone, dove si trovano persone ritenute vulnerabili. Aveva chiesto fin dal suo arrivo, a marzo, di essere trasferita in un istituto più sicuro, ma la sua richiesta è rimasta inascoltata.

 

Il sogno di una donna

 

Sovente sento dire: è una grande sognatrice, sogna ad occhi aperti, vive nei sogni, era solo un sogno.

Ma la storia ci racconta che non tutto rimane nel mondo dei sogni.

Molti e molte riescono a trasformare un sogno in realtà, basta crederci e lavorare per questo con gli strumenti giusti.

Un gruppo di donne un giorno si diede appuntamento in un "sogno comune".

Si ritrovarono intorno a un grande calderone; dentro c'era di tutto: le lotte, le sconfitte, le passioni, le delusioni, gli amori, la fede.

Poi una di noi, con coraggio, prese un lungo mestolo e incominciò a rimestare, riportando in superficie tutto ciò che da anni avevamo tenuto in fondo al cuore.

Le nostre schiene erano curve sotto il peso del nostro fardello.

E dai nostri occhi scendevano lacrime che in poco tempo lavarono i nostri volti ricoperti di "un'antica maschera", ridandoci così, poco per volta, la nostra vera identità

Rimestammo in quel calderone con ogni mezzo: chi con un secchio, chi un mestolo, chi con un cucchiaio e chi si limitò ad immergere appena un dito.

Ma per tutte era l'inizio di un "sogno" che, con nuova consapevolezza, potevamo trasformare in realtà: "la nostra nuova vita".

Ora le nostre curve schiene potevano guardare avanti, ringraziando Dio per un ennesimo miracolo.

 

Antonella Sclafani

Deportati dal capitale


Miguel Mellino

(da “Il Manifesto” del 30/1/25)

 

La politica delle deportazioni di massa di Trump sta scandalizzando parte della sfera pubblica globale: paradossalmente quella progressista. La “battaglia di Los Angeles” sta condensando il dibattito attorno a una sua presunta eccezionalità rispetto a un altrettanto presunta ontologia politica liberal-democratica della “terra dei liberi”. Un simile stupore ci appare come l’espressione di una certa innocenza bianca che diviene davvero perversa nel momento in cui forclude l’apparato di espulsione, detenzione e deportabilità su cui si fonda il regime migratorio europeo.

DICIAMOLO subito: la politica delle deportazioni di Trump ha poco di eccezionale. Nelle presidenze di Obama (2009-2017) le deportazioni hanno raggiunto un livello record: oltre 3milioni in otto anni, tanto che egli fu sopranominato deporter-in-chief da una parte dell’attivismo per i diritti dei migranti. Anche con Biden la “deportazione come metodo” è rimasta un dispositivo piuttosto attivo: dati ufficiali parlano di quasi 600mila deportati e di un triste record raggiunto nel 2024 con 272mila rimpatri, il massimo dell’ultimo decennio. Tuttavia sottolineare questa continuità tra Trump, Obama e Biden aggiunge poco a una riflessione sull’argomento. Il ricorso in modo esplicito ai raid a caccia di migranti deportabili nei centri urbani, così come il dispiegamento dell’esercito per fronteggiare i migranti in rivolta e la stessa scelta di Los Angeles come terreno dello scontro, città-regione multietnica e meticcia di uno stato Woke, rispecchiano un sembiante “epocale”. Un sembiante la cui “causa assente” va cercata nell’attuale congiuntura globale di guerra, nel declino dell’egemonia statunitense e della civiltà bianca occidentale, così come del razzismo strutturale – sempre più strutturalmente in crisi, anche a livello demografico – e del suprematismo bianco negli Usa.

AL DI LÀ della specificità congiunturale appare però altrettanto superficiale soffermarsi sulle differenze. Soffermiamoci, quindi, su qualcosa di più profondo: nella storia degli Usa la deportazione, anche di massa, non costituisce affatto un dispositivo di eccezione. Ce lo suggeriscono numerosi studi recenti, alimentati, non a caso, dal fenomeno Trump. Un dato appare assai sintomatico come «genealogia del presente»: in The Deportation Machine (2023) A. Goodman ci ricorda che dal 1882 ad oggi gli Stati uniti hanno deportato 57milioni di persone, più di qualsiasi altro paese al mondo. Dalla fine del 19esimo secolo è stato costruito un assemblaggio flessibile di leggi e pratiche volte a espellere soggetti considerati «indesiderabili». Basta menzionare qui il Chinese Exclusion Act del 1882, o l’Immigration Act del 1917 che, come ricordano J. R. Kraut in Threat of Dissent. A History of Ideological Exclusion and Deportation in the United States (2020) e l’oramai classico Immigrant Acts. On Asian Cultural Politics (1996) di L. Lowe, ampliò la categoria dei soggetti deportabili ad «asiatici», anarchici, militanti politici e sindacali, stranieri senza documenti e chiunque (criminali, malati mentali, ecc.) potesse essere considerato una minaccia alla sicurezza nazionale, come le migliaia di migranti arrestati e deportati con l’accusa di attività sovversiva negli anni della «grande paura rossa».

E tuttavia, ricorda Goodman, negli Usa il significante deportato resta sinonimo di «messicano». Negli anni ’30, in piena Grande Depressione, H. Hoover promosse una delle campagne di deportazioni più violente della storia: quasi 2 milioni di persone di origine messicana vennero espulse. Come documentano F. Balderrama e R. Rodriguez in Decade of Betrayal. Mexican Repatriation in the 1930s (1995), molti erano cittadini americani. Durante la Seconda guerra mondiale, la «macchina della deportazione» è stata attivata dalla logica della sicurezza nazionale: migliaia di cittadini nippo-americani vennero internati, con un provvedimento firmato dallo stesso Roosevelt, mentre le deportazioni colpirono anche tedeschi e italiani, in quanto stranieri «nemici». Negli anni ’50, infine, Einsenhower lanciò la cosiddetta Operation Wetback, un vasto programma di deportazione che colpì di nuovo centinaia di migliaia di lavoratori messicani e messicano-americani. Questa nuova “grande deportazione” avvenne, come oggi, attraverso retate, rastrellamenti, detenzioni arbitrarie e altre forme di violenza e sopraffazione fisica. Le bandiere del Messico apparse a Los Angeles non stanno per alcun semplice nazionalismo “latino”: esprimono la memoria e la resistenza delle comunità messicane negli Usa.

EPPURE, la deportazione come dispositivo di governo non è affatto la peculiarità di un’eccezione americana. Conosciamo la sua tragica storia in Europa: una storia che non è mero passato, come mostra non solo il nuovo delirio razziale “albanese” del post-fascismo italiano, ma anche il Nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo. Qui vogliamo soltanto aggiungere che sarà con l’espansione coloniale che la deportazione diventerà parte di una tecnologia biopolitica e necropolitica più ampia di produzione di territori e popolazioni nazionali. I diversi progetti di colonialismo d’insediamento, per non parlare poi del sionismo in Palestina, hanno avuto nella deportazione un dispositivo centrale di ingegneria sociale, razziale, culturale e territoriale.

DA UNA PARTE, lo sviluppo del modo di produzione schiavistico, prima della tratta di africani, così come il progetto di colonizzazione dei territori nativi, si è fondato sulla deportazione di massa dall’Europa nelle colonie di detenuti, dissidenti religiosi e politici, ma anche di poveri, servi e plebi resistenti alla disciplina del capitalismo nascente. Dall’altra, nei territori coloniali, l’esercizio ‘sovrano’ della deportazione appariva connessa all’espropriazione, all’annientamento, alla sostituzione, alla rilocalizzazione forzata delle popolazioni indigene, ma anche alle rivolte di schiavi, ribelli e nativi. Da sottolineare questo ultimo punto: tanto nell’Europa della transizione al capitalismo, quanto nelle colonie la deportazione è andata configurandosi come una risposta del potere sovrano alla crescente mobilità umana.

ANCHE SE la deportazione di ‘indesiderati’ esiste da millenni – essendo retrodatabile alle civiltà mesopotamiche, passando dall’antichità classica al medioevo europeo – il suo vero Reale come pratica di governo sta nella colonialità del comando capitalistico globale moderno: nella tragica combinazione di razza, capitale e sovranità come dispositivo di dominio. Ci piace ricordare una celebre enunciazione di Malcolm X nel centenario della sua nascita: You Can’t Have Capitalism Without Racism.

Vale a dire, You Can’t Have Capitalism Without  Deportations. È quanto ci trasmettono anche alcune delle mobilitazioni più significative dei nostri giorni: dalle insorgenze globali per la Palestina ai movimenti No Kings contro Trump, passando per le lotte contro la deriva securitaria-autoritaria nei nostri territori.