sabato 29 febbraio 2020

PREGHIERA ( RICEVO DALLA COMUNITA' DI VERONA)


Chi sei tu, dolce luce, che mi riempie, 
e rischiara l'oscurità del mio cuore?
Tu mi guidi con mano materna, 
e se mi abbandonassi, 
non saprei fare più nessun passo.
Tu sei lo spazio che circonda il mio essere 
e lo racchiude in sé.
Da te lasciato, cadrebbe nell'abisso del nulla, 
dal quale tu l'hai elevato alla luce.
Tu, più vicino a me di me stessa, e più intimo del mio intimo, 
e tuttavia inafferrabile e incomprensibile, 
che oltrepassi ogni nome: 
Tu, amore eterno!

Edith Stein  

LA SETE DELLA PAROLA DI DIO

Hillel sul tetto della casa di studio

Si racconta che Hillel guadagnasse ogni giorno un tropaik (mezzo dinaro) e la metà di questo lo dava al custode della casa di studio, l’altra metà serviva per assicurare il sostentamento suo e della sua famiglia.
Un giorno non riuscì a guadagnare nulla e il custode della casa di studio non lo lasciò entrare. Allora egli s’arrampicò sul tetto, si aggrappò e si sedette sul lucernario per ascoltare dalla bocca di Shemaya e Abtalion le parole del Dio vivente.
Quando spuntò l’alba, Shemaya disse a Abtalion: “Abtalion, fratello mio, di giorno la casa illumina ma oggi è buia”.
Allora guardarono in alto e videro un uomo sul lucernario. Salirono e trovarono su di lui (su Hillel) tre cubiti di neve.
Lo trassero giù, lo lavarono, lo frizionarono e lo fecero sedere davanti al fuoco dicendogli: “Questi è degno che per amore suo si profani il sabato”.
Jonah Fraenkel, L’aggadah, Ed. Paoline, pag. 84

" IL DIRITTO A MUOVERSI IN AUTONOMIA"

‟Scrivo per rivendicare il diritto di muoverci da soli anche se abbiamo difficoltà”«Il video di quello che è accaduto a Torino mi è stato segnalato ma, devo dire la verità, non l'ho ancora visto. Sarà che ci sono abituato…». Iacopo Melio - che oggi alle 18 presenterà il suo ultimo libro ‟Buonisti” al Circolo dei Lettori in videoconferenza - non si stupisce di quello che è accaduto al padre che alla stazione Vinzaglio ha dovuto prendere in braccio la figlia disabile sulle scale mobili perché l'ascensore del metrò era rotto. «È capitato una volta anche a me: dovevo prendere il treno per andare alla Rai e mio padre ha dovuto fare la stessa cosa del padre di Torino, mi ha preso a braccia per salire le scale della stazione», racconta lo scrittore toscano, che ha fondato la onlus #vorreiprendereiltreno, punto di riferimento per le tematiche legate a disabilità e trasporti.

Come aveva reagito?

«Come quel padre di Torino: avevo fatto un video è uscito un articolo. Sa cosa mi risposero? Che in stazione c'era un percorso all'esterno che avrei potuto prendere. Ma chi lo aveva visto? E tra l'altro era tutto alla pioggia. Per viaggiare occorre che i percorsi per i disabili siano intuitivi e facili da usare. E non si deve dare per scontato che il disabile sia sempre accompagnato da qualcuno: dobbiamo poterci muovere in autonomia».

Le arrivano molte segnalazioni come quella di Torino?
«Parecchie. Il problema a volte sono le barriere architettoniche, ma in molti casi sono state abbattute tecnicamente ma non nella sostanza, visto che nella mia esperienza sono tantissimi gli ascensori che hanno dei problemi e non vengono riparati per mesi. E sa cosa succede? Che poche ore dopo la nostra segnalazione vengono aggiustati. Vedrà, lo ripareranno in fretta anche a Torino».

Già fatto, poche ore dopo.
«Ecco, cosa le dicevo? Accade sempre così ed è questo che mi fa arrabbiare: si tratta di superficialità e negligenza. Il denaro per la manutenzione, quando uno vuole, lo trova. Stiamo parlando di poche centinaia di euro per tenere in buono stato degli impianti, mica di comprarne di nuovi. E poi per il reperimento dei fondi io una mia idea ce l'ho: basta usare i soldi delle multe di chi parcheggia sui marciapiedi o nei posti disabili per fare manutenzione. E non solo degli ascensori. Ho visto pedane degli autobus che non si aprivano più perché piene di rami e foglie, da quanto tempo nessuno le guardava?».

Lei ha scelto di parlare in videoconferenza al circolo dei lettori per ragioni logistiche?
«Non sono venuto fisicamente a Torino per problemi miei di salute, ma comunque lo avrei fatto in macchina. Per viaggiare in treno bisogna farlo quando vogliono loro, nell'orario in cui c'è il treno accessibile, prenotando con anticipo l'assistenza e magari alla fine ti mettono in un vagone con le biciclette con 40 gradi senza aria condizionata e a volte nemmeno ti legano con le cinture».

Quale è il messaggio che lei intende lanciare con i suoi scritti?
«L'ultimo libro in realtà sull'intolleranza, soprattutto online, di cui sono stato anche io vittima, ma per il resto alla base del mio lavoro c'è il concetto di vita indipendente. La disabilità non esisterebbe se dessimo a tutti gli strumenti per fare quello che fanno gli altri. La disabilità non è una malattia, ma una condizione che ognuno può provare nella vita se si trova in un ambiente che non è il suo, anche solo se si rompe una gamba. Cercare gli strumenti per affrontare la disabilità è dunque una responsabilità sociale che tocca tutti. Perché a tutti può capitare di averne bisogno».

Si sente ascoltato?
«Dalle persone sicuramente sì ed è importante perché sono le persone che creano una cultura. Le istituzioni ti
ascoltano tantissimo durante le campagne elettorali, un po' meno dopo».
la Repubblica 15 febbraio

GRUPPI BIBLICI IN VIA CITTA' DI GAP, 13 A PINEROLO

Martedì 3 marzo alle ore 15 e alle ore 20,45 prosegue nei due gruppi biblici la lettura del capitolo 10 del Vangelo di Matteo.

INDECENTE CHIUSURA

Se in Piemonte continuerà il gioco della chiusura delle scuole, lo vedremo lunedì. Se la montatura proseguirà, occorrerà sostenere gli insegnanti che vogliono tornare al lavoro e i genitori che non sanno come mettere insieme il loro lavoro con le mille occasioni di vacanza dei loro figli.
F.B.

COME GESU' PREGAVA DIO

"Ogni tanto Gesù si allontanava da tutti. Dopo i bagni di folla e i pressanti incontri che si susseguivano giorno dopo giorno, aveva bisogno di fermarsi, di allontanarsi dal mondo circostante. Dopo aver dialogato con tante persone, sentiva la necessità di sottrarsi alle sollecitazioni esterne e cercava di concentrarsi in sé, in un proprio spazio interiore. Si isolava per pregare, per cercare un rapporto diretto con Dio.
Questa sua abitudine di pregare da solo svela un aspetto incredibilmente profondo della sua identità. Pur cercando un rapporto con tutti, egli era un uomo sostanzialmente solo, perché autonomo e indipendente. Trovava tutto il sostegno di cui aveva bisogno esclusivamente in un appello al soprannaturale. E' questa pratica dell'invocazione e dell'abbandono incondizionato a Dio che gli dà forza  e sta alla radice della sua solitaria vita personale...
La visione finale che ci trasmettono i racconti della preghiera nell'orto del Monte degli Ulivi rivela un carattere costante della sua esistenza. Al termine della sua vita la situazione che Gesù si trova ad affrontare è irrisolvibile. Aveva assunto, in modo personale, pesi e fatiche, desideri e attese, aveva sperato in Dio, aveva attivato forze incontenibili. Giunto al compimento del suo dramma, al momento di massima tensione emotiva, riaffiora la fedeltà allo stile di vita che aveva abbracciato. Gesù rimane solo, con le sue sole forze, faccia a faccia con Dio. Continua ad essergli obbediente. Non chiede nulla che non sia quello che deve avvenire. E tutto avverrà davanti ad un mondo che non può dominare e che gli è sostanzialmente lontano ed estraneo. Uomo della mobilità e della convivialità, rimarrà totalmente solo e immobilizzato sul legno".
Adriana Destro - Mauro Pesce, L'uomo Gesù, Mondadori, pgg. 211-214.

I cristiani gesuani , quelli che si rifanno al Gesù storico, pregano Dio come faceva Gesù. La preghiera è per Gesù uno dei pilastri della sua vita e della sua fede ebraica. In questo senso  si capisce bene che cosa si intenda per gesuanesimo, nelle parole di Adriana Destro e di Mauro Pesce. Esattamente quello che 30 anni fa il teologo Hans Kung scriveva nel suo "Tornare a Gesù" (Rizzoli). Egli ci sollecitava alla sequela di quel Gesù ebreo tutto concentrato sull'adorazione del mistero di Dio e tutto immerso nella lotta per la giustizia.
Non si può correttamente parlare del Gesù storico separando le due dimensioni convergenti nella sua vita. Il cristianesimo gesuano rifiuta il cristianesimo dogmatico da Nicea ad oggi.
Franco Barbero

Ricordi del sanatorio

Caro Bruno,
stamattina la prima telefonata di auguri è stata la tua. Alla camera 331 del terzo piano del sanatorio il 19 luglio del 1961 un giovane ragazzo bussò alla porta eludendo la sorveglianza di suor Delia, meravigliosa caposala. Ero ricoverato da 14 giorni e i miei polmoni molto mal messi non mi permisero se non qualche parola… Mi dicesti: "dopo l'estrema unzione… non sei morto, allora… io ho pregato per te". E poi attorno a quel letto ci siamo rivisti più e più volte fino a quando a febbraio del 1962 il medico mi autorizzò a parlare e io fondai la sera del giovedì un gruppo biblico di soli 45 minuti in cui leggevamo le parabole di Gesù: il primo gruppo biblico della mia vita è stato in sanatorio a Pra Catinat...
Da allora, usciti dal sanatorio, abbiamo compiuto le scelte più diverse… Tu e la tua famiglia ad Agrigento e io a Pinerolo.
Ma quell'incontro del 19 luglio del 1961 ce l'abbiamo ancora nel cuore.
Caro Bruno, intanto auguri per i tuoi 82 anni e ricevi un forte abbraccio al quale unirò nei prossimi giorni l'invio di alcuni miei libri.
Che Dio accompagni sempre te, la tua famiglia e ciascuno di noi nel cammino di ogni giorno.
Con tanta gratitudine per il tuo costante ricordo affettuoso.
Franco
Intervista all'Eurodeputato medico a Lampedusa
Bartolo "Cancellare quei provvedimenti. Sono stati un abuso"

ROMA - «Sì, mi sono commosso incontrando Kebrat, la ragazza data per morta e che io...». Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, ora eurodeputato, lascia la frase in sospeso per pudore di dire che è lui ad avere salvato la giovane naufraga eritrea già sistemata tra i cadaveri sul molo Favaloro, accorgendosi di un flebile battito del cuore. Ieri a Bruxelles con il "comitato 3ottobe 2013" e 150 ragazzi delle scuole, Bartolo dice: «I ragazzi sono grandi e mettono noi adulti sulla strada maestra dell'umanità e del rispetto». E invita: «»I decreti sicurezza vanno cancellati come il memorandum sulla Libia».
Bartolo, quanti migrati ha visto e aiutato...
«Ho fatto il medico per 30 anni a Lampedusa, ho ricevuto dai migranti sempre un ringraziamento, sono persone straordinarie. E la gratitudine ti dà la forza di andare avanti nel momento dello sconforto, quando vorresti mollare per le situazioni terribili che vedi. A me è capitato. Allora mi sono detto: dai, Pietro, sta per cambiare tutto, invece è cambiato poco».
Lei ha sempre chiesto che i decreti sicurezza fossero cambiati?
«Devono essere cancellati. Non lo dico io, ma anche Zingaretti, le Sardine e tutti coloro che mi hanno votato perché sanno che porto avanti valori indiscutibili e universali».
Poche modifiche non bastano?
«La ministra Lamorgese sta cercando di mettere mano a questi decreti. Per ora c'è solo una bozza, quindi è un primo passo, che però deve andare verso una soluzione definitiva».
Per lei cosa è indispensabile?
«Lo ius soli. Chi nasce e studia in Italia è cittadino italiano. Non dargli la cittadinanza è un danno a loro e anche a noi stessi».
I porti chiusi devono diventare un ricordo?
«I porti chiusi non ci sono mai stati se non per le Ong, per le motovedette, per la Diciotti, la Gregoretti... come se tutti i cattivi salissero su quelle navi. Ma i terroristi difficilmente arrivano con i gommoni e i barconi perché non hanno intenzione di morire prima di fare il danno. E poi su quelle navi c'erano molti bambini: terroristi anche loro? Le politiche di Salvini sono state un abuso».
Neppure sul memorandum con la Libia lei è d'accordo?
«Ci facciamo vanto del calo degli arrivi, Ma chi non parte è detenuto nei campi libici che sono lager. Dobbiamo evacuare quei campi attraverso corridoi umanitari; agir e in Africa con la cooperazione. Non ci sono flussi, ci sono donne, uomini, bambini».
Giovanna Casadio

(la Repubblica 17 febbraio)
[la Repubblica 18 febbraio]

Svizzera, sì alla legge anti-omofobia Ora sarà punita come il razzismo

«Se l'avessero approvata prima, mi sarei risparmiato tutte le botte che ho preso 40 anni fa. E le risate dei poliziotti quando ho provato a fare la denuncia». Sono le parole di Jean-Pierre Sigrist, 7lenne leader della campagna del referendum a favore dei diritti Lgbt. La Svizzera ieri ha detto no all'omofobia. Il referendum che ha chiamato a votare i cittadini elvetici si è concluso con un 62 per cento a favore della penalizzazione e il 36,9 per cento contrario. L'opposizione era più radicata nelle zone rurali della Svizzera centrale e orientale. I più alti tassi di approvazione invece sono stati registrati nelle regioni e nelle aree urbane di lingua francese e italiana. La legge attuale puniva solo la discriminazione religiosa o razziale. La norma approvata ieri mira a proteggere le persone Lgbt ed estende all'orientamento sessuale le disposizioni dei Codici penale e penale militare che già puniscono la discriminazione e l'incitamento all'odio a causa della razza, dell'etnia o della religione con una pena detentiva fino a tre anni o una pena pecuniaria. «Oggi non sono solo i diritti di lesbiche, omosessuali e bisessuali ad essere rafforzati, ma quelli di tutte le minoranze», ha esultato la co-presidente dell'Organizzazione svizzera delle lesbiche, Salome Zimmermann, citata dall'agenzia di stampa svizzera Keystone-Ats.
Per il padre della nuova norma, il parlamentare socialista Mathias Reynard, il sostegno popolare alla norma anti-omofobia è «un magnifico segnale» per tutte le persone interessate. «L'odio e la discriminazione non hanno più posto nel nostro Paese», ha aggiunto citato dai media elvetici.
Ma la lotta non finisce qui. Gli attivisti della comunità Lgbt hanno aggiunto che continueranno la loro lotta politica per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, tema che sarà discusso il prossimo mese in Parlamento. Gli oppositori hanno sostenuto che la legge «mina il diritto alla libertà di parola e che la comunità Lgbt non ha bisogno di una protezione legale speciale». Concetto quest'ultimo sostenuto anche da una parte della comunità gay, divisa nelle giornate prima del voto. «Combatto per l'accettazione e la normalizzazione della mia sessualità. Ma per me questo significa anche non chiedere un trattamento speciale», ha dichiarato Michael Frauchiger, co-presidente del gruppo "No ai diritti speciali!".
Fino a ieri la Confederazione elvetica occupava il 23esimo posto della Rainbow Map, il grafico che su un elenco di 49 Paesi indica il livello di tutela dei diritti Lgbt. Primo posto a Malta, Italia al 34esimo, ultimo l'Azerbaijan.
Raffaella Scuderi

(la Repubblica 12 febbraio)

venerdì 28 febbraio 2020

PREGHIERA

Vi darò un cuore nuovo”

Signore,
Dio di Gesù, delle donne e degli uomini:
ci accostiamo alla Tua parola,
ma non siamo sicuri
di voler ascoltare la Tua voce.
Forse cerchiamo soltanto una conferma
delle nostre convinzioni.
Anche la Tua parola può diventare una bella canzone,
che mettiamo sulle labbra,
senza che essa raggiunga i nostri cuori.
Signore, abbiamo bisogno di Te perché da soli
non sappiamo aprire le orecchie e il cuore.
Senza la Tua azione, la parola udita non penetra.
Deponi Tu la pietra preziosa della Tua parola
sulla nostra mano vuota.
Semina nella terra povera e spesso arida
dei nostri cuori il seme buono e fallo germinare,
accompagnandolo nei giorni di pioggia e nei giorni di sole,
fino a maturazione.
Signore, Dio di Gesù e Dio nostro,
ci affidiamo a Te,
alla parola che ci annuncia il Tuo amore.
Vogliamo dirTi che contiamo su di Te.
Fa’ che nella Tua parola possiamo riconoscere
e gustare che sei Tu che Ti fai vicino,
ci risvegli e ci accompagni.

RIFLESSIONI SUL CLIMA

L'anno senza inverno sarà il più caldo di sempre in 250 anni
Mentre profonde depressioni e tempeste di vento si scatenano sul Nord-Europa, sulle Alpi e sul Mediterraneo continua la calma piatta, con alta pressione e prevalenza di giornate soleggiate e miti.
 A Torino non piove ormai da un mese, ma il 17 gennaio in città è caduto appena poco più di un millimetro di pioggia e per ritrovare le ultime grandi perturbazioni bisogna risalire ai giorni prima di Natale. Se la prolungata assenza di precipitazioni non è del tutto anomala nel nostro clima in questo periodo dell'anno e siamo (per ora) ancora lontani dai record storici di lunga siccità invernale, a essere del tutto fuori norma è la temperatura che, tra anticicloni subtropicali e episodi di foehn, ha trasformato i mesi in teoria più freddi dell'anno in un eterno anticipo di primavera.
Solo l'inversione termica è riuscita a portare talora lievi gelate in pianura e nei fondovalle, mentre in quota e lungo i versanti l'anomalia è stata ancora più marcata. Negli ultimi due giorni, per esempio, tutto l'arco alpino ha vissuto l'ennesimo anticipo di primavera, con temperature addirittura quasi estive ad alta quota dove lo zero termico ha anche superato i 3500 metri (3593 metri nella notte tra sabato e domenica dal radiosondaggio di Cuneo- Levaldigi).
In queste condizioni il gelo è stato praticamente assente anche nelle ore notturne, i termometri hanno superato di nuovo i 10°C a 2000 m, soprattutto nelle vallate del Cuneese e su qualche albero, confuso dal clima impazzito, sono comparse con circa un mese d'anticipo le prime gemme.
Anche in pianura di clima è stato lite con massime intorno ai 12- 14°C ieri, valori anomali ma che sono diventati del tutto abituali in quest'anno ‟senza inverno”, a meno di clamorose sorprese, il più caldo da oltre 250 anni a Torino. Oggi è atteso qualche piovasco solo sui settori alpini di confine e temporanei passaggi nuvolosi in pianura, poi tornerà il sole con clima mite e solo verso fine mese una perturbazione potrebbe riuscire a scalfire l'alta pressione portando un po' di pioggia, ma non il freddo, e con il 1marzo entreremo ufficialmente in primavera.

Valentina Acordon, la Repubblica 15 febbraio










ASSOLUTAMENTE DA LEGGERE

Assolutamente da leggere:

Paolo Berizzi L'educazione di un fascista Feltrinelli (febbraio 2020)

Paolo Berizzi è inviato di "Repubblica" le sue inchieste sulla estrema destra italiana gli hanno procurato minacce e atti intimidatori da parte di gruppi nazi fascisti, vive sotto scorta. 
Orgoglio italiano, onore, patria, lealtà, sacrificio sono le parole d'ordine dei nuovi ballilla. Un'inchiesta coraggiosa e allarmante fra raduni, palestre e colonie, dove l'estrema destra italiana forma la nuova gioventù. Esiste una trasmissione sempre più manifesta di valori, un passaggio tra le generazioni che conserva il culto dell'autoritarismo, della violenza e della morte, l'ossessione razzista e xenofoba, la disciplina militaresca e la pulsione identitaria che già una volta hanno formato un'intera generazione di ragazzi. 
Da nord a sud l'Italia è percorsa da una tendenza ormai visibile e capillare, capace di modellare i costumi e la mentalità attraverso potenti suggestioni. C'è una rete di palestre in cui gli sport da combattimento si usano per allevare picchiatori, militanti, "uomini nuovi". Sono tornate le colonie estive per insegnare l'ordine e l'obbedienza ai bambini. Inquietanti formazioni neofasciste indottrinano i giovani soldati politici per presidiare le curve degli stadi e le scuole, le associazioni e le piazze. 
Nell'epoca sovranista l'estrema destra è sempre più minacciosa ed è collegata a partiti politici che siedono in Parlamento,  molto inquietanti anche i collegamenti internazionali con la Russia di Putin, gli USA di Trump e non solo. 
Un fenomeno da conoscere assolutamente e da non sottovalutare. 

C'E' SEMPRE QUALCUNO CHE....

C'è sempre qualcuno che, quando si sollevano problemi teologici seri, se la cava  con quattro battute...Due giorni fa, incontrando per la strada un laico di quelli doc, mi ha detto che per lui un Cristo vale l'altro, italiano o ebreo che sia. Parlando della "rivolta delle donne" in atto in Spagna, se l'è cavata dicendomi che sono "piazzate inutili".
Alla mia proposta  di leggere qualche libro o articolo per arricchire i suoi argomenti pro o contro, ha chiuso il discorso in modo perentorio: "Voi con questi libri create solo confusione. Leggete troppe storie…."
Ci siamo salutati con cordialità e volevo regalargli un dossier di teologia femminista che avevo in borsa. Ha ritirato la mano come se fosse di fuoco o di cacca ed è partito in quarta. 
Franco Barbero

IMPORTANTE

Alla voce "Audio e video" c'è la possibilità di vedere l'ultimo video prodotto da Franco Barbero su "Fede e paura".

INFORMARSI

Nella città di Madrid ed in parecchie altre città spagnole fervono i preparativi per la giornata della "rivolta delle donne" che protestano contro una gerarchia ed una teologia che mantengono la discriminazione tra uomo e donna.
In moltissime parrocchie e comunità è già in diffusione il manifesto della rivolta che verrà ampiamente diffuso e letto nelle piazze a partire dalle ore 10  di domenica 1 marzo.
"Ora Basta: non ci farete tacere e non ci fermerete!".

L'INIZIO DEL CRISTIANESIMO

Filoramo e i primi secoli del cristianesimo

Una storia che può essere interpretata solo attraverso dei testi, da anni impegnata a rinnovare la propria strumentazione sempre meno dipendente dalla teologia e più bisognosa di altre discipline. Una storia che abbraccia i primi secoli della nostra era, concludendosi quando si attestano una grande Chiesa organizzata e una religione cristiana fondata sulla concezione di un Dio incarnato, su uno stile di vita alternativo a quello del giudaismo o del paganesimo. E’ la storia che Giovanni Filoramo, docente emerito di Storia del cristianesimo all’Università di Torino, ripercorre nel primo tomo della nuova Storia della Chiesa delle Edb: L’età antica (pagine 392, euro 28). Una sintesi arrivata in libreria insieme a quella dedicata all’età contemporanea da Daniele Menozzi, analoga nel taglio didattico, nell’impostazione laica, ma non laicista, nel rigoroso approccio scientifico.
Quella che spiega Filoramo è innanzitutto una “grande Chiesa” composta da Chiese locali, incentrata sulla figura del vescovo e dotatasi di un canone e di scritti rivelati. 
Una Chiesa che nelle sue espressioni locali respira presto in tutto il bacino mediterraneo: pulsando dentro comunità distanti fra loro, e tuttavia già in rete attraverso la corrispondenza, coordinate sui temi importanti mediante sinodi, in grado di condividere forme di culto e liturgie pur con adattamenti locali. 
I fedeli che vi si riconoscono – ricorda Filoramo – “si autodefiniscono come il verus Israel, il popolo scelto da Dio, il cui nuovo patto è stato consacrato dal sangue di Cristo” del quale hanno raccolto il messaggio. La buona novella dei cristiani: i nuovi credenti dalla fede in un Nazareno morto in croce e risorto, uniti alle origini in un movimento dalla tensione escatologica e che già nel II secolo prendono le distanze dall’eredità giudaica. 
La buona novella dei cristiani che fra il II e il III secolo passa pure attraverso strutture ecclesiastiche più consolidate ed esponenti di rilievo in diverse aree (Tertulliano e Cipriano, Melitone e Ireneo, Clemente e Origene…). Poi arrivano tempi di nuove svolte. Nei confronti dell’Impero nel IV secolo che è pure quello della crisi ariana e del dibattito conciliare (Nicea, Costantinopoli), dello sviluppo del catecumenato e del monachesimo. E nel V secolo che vede la separazione della Chiesa in Oriente e Occidente.
Quattro le parti del volume, corredato da box e cartine, destinato a studenti, ma utile per chi abbia interesse per l’argomento scandagliato tra problemi e idee, vicende e protagonisti. Ovvero i conflitti interni ed esterni alla comunità; la contrapposizione fra ortodossia ed eresie, la genesi di un’ermeneutica capace di illustrare il mistero della fede; i viaggi missionari; l’affermarsi di ruoli, ministero, liturgie, attorno ai simboli che esprimono la fede; il confronto con la cultura greco-romana; le persecuzioni; il problema dei lapsi; la formazione della Chiesa imperiale; i principali momenti del culto; le reliquie; i pellegrinaggi. Sino a Calcedonia nel 451: ultima tappa di questo viaggio che non dimentica cifre proprie della vita cristiana. Come l’assistenza a poveri, orfani, vedove, carcerati, inizio di quell’attività di supplenza dello Stato.
Marco Roncalli – Avvenire 13/02

PREGHIERA

  1. Non pensare mai che tu lotti invano,
che i tuoi sacrifici non servono a nulla.
Il Signore tornerà
e darà un senso a ogni cosa.

  1. Egli spezzerà anche l’ultima catena
e separerà il malvagio dal giusto.
Ciò che hai fatto di bene
nel Suo regno rivivrà.

Rit. Il Signore tornerà
in cieli nuovi e terre nuove.
Alleluia! Alleluia!

TRATTO DA "GESU', L'EUCARESTIA E LE DONNE"

Gesù, l’Eucaristia e le donne
José María Castillo

………..Insisto: Gesù è sempre stato dalla parte delle donne. Un buon gruppo di loro lo accompagnava nei suoi viaggi (Lc 8, 1-3). E si è sempre schierato dalla loro parte, anche se si trattava di adultere (Gv 8, 1-11) o prostitute (Lc 7, 36-50). Le sue grandi amicizie sono state donne (Lc 10, 38-42; Gv 11, 1-46). Da una donna Gesù si è lasciato ungere con un profumo prezioso (Gv 12, 1-8). E sono state le donne ad essere rimaste fedeli a Gesù nella sua passione e morte: sul cammino del Calvario (Lc 23, 27-31) e dopo la morte (Mc 15, 40-41), davanti alla croce......

Come è possibile che ciò stia accadendo? Se ci sono così tanti vescovi che vivono nei palazzi, indossano abiti che nessun altro indossa, hanno privilegi che nessun altro ha, pensano di avere poteri che Dio ha dato loro e a nessuno tranne che a loro, non è logico e inevitabile che nella Chiesa stia accadendo ciò che vediamo tutti che accade? Ci sono vescovi che nascondono crimini, immatricolano per le loro diocesi proprietà di valore incalcolabile, premiano chi è d’accordo con loro, puniscono coloro che pensano dover punire, incassano soldi per far entrare nella “casa di Dio”. E fanno cose del genere pensando che tutto ciò sia la volontà di Dio.

Se dico queste cose, è perché amo molto la Chiesa. Ma la Chiesa che amo - e quella che tutti dovremmo amare - è la Chiesa che vive il più possibile come è vissuto Gesù, il Signore, il Figlio di Dio, la Parola di Dio. Se non prendiamo sul serio il Vangelo, a che serve essere molto “canonici”, molto “pii” e molto “clericali”? Tutto questo non è forse un enorme inganno, invece di essere il sentiero che Gesù, il Signore, ci ha tracciato?

E finisco ponendo una domanda: come è possibile per le donne continuare a stare in questa Chiesa, che le emargina, le esclude, le annulla in tante cose...? Perché continuano a stare in una Chiesa che, ancorata ai secoli passati, rifiuta e resiste al fatto che possano presiedere l’Eucaristia o essere mogli di preti? Se Gesù non ha proibito nulla di tutto ciò, perché lo vietiamo noi e rimaniamo pure con la coscienza del dovere adempiuto? Cos’è più importante: compiacere alcuni cardinali o servire il mondo intero?

Articolo pubblicato il 25.02.2020 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com )

Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI





LA QUARESIMA

La Quaresima non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni
p. Alberto MAGGI
Con il mercoledì delle ceneri è iniziata la Quaresima. Per comprendere il significato di questo periodo occorre esaminare la diversa liturgia pre e post-conciliare.
Prima della riforma liturgica, l’imposizione delle ceneri era accompagnata dalle lugubri parole “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, secondo la maledizione del Signore all’uomo peccatore contenuta nel Libro della Genesi (Gen 3,19). E con questo funereo monito, nel quale è completamente assente la novità dell’annuncio evangelico, iniziava un periodo caratterizzato da penitenze e digiuni, da rinunzie e sacrifici, e dalle mortificazioni, più orientato verso il Venerdì santo che alla Pasqua di Risurrezione.
Oggi l’imposizione delle ceneri è accompagnata dall’invito di Gesù “Convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Le prime parole pronunciate dal Cristo secondo il Vangelo di Marco, sono un invito al cambiamento, in un continuo processo di rinnovamento che deve essere il motore della vita del credente. E credere al vangelo significa orientare la propria esistenza al bene dell’altro.
L’uomo non è polvere, e non tornerà polvere, ma è figlio di Dio, e per questo ha una vita di una qualità tale che è chiamata eterna, non tanto per la durata, indefinita, ma per la qualità, indistruttibile, capace di superare la morte, come Gesù ha assicurato: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte”; “Chiunque vive e crede in me, non morirà mai” (Gv 8,51; 11,25).
In queste due diverse impostazioni teologiche sta il significato della Quaresima. Mai Gesù ha invitato a fare penitenza, a mortificarsi, vocaboli assenti nel suo insegnamento, e tanto meno a fare sacrifici. Anzi, ha detto esattamente il contrario: “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13; 12,7). Ciò che Dio chiede non è un culto verso lui (sacrificio), ma l’amore verso gli altri (misericordia). I sacrifici e le penitenze centrano l’uomo su se stesso, sulla propria perfezione spirituale, e nulla può essere più pericoloso e letale di questo ingannevole atteggiamento, che illude la persona di avvicinarsi a Dio quando in realtà serve solo ad allontanarla dagli uomini. Paolo di Tarso, che in quanto fanatico fariseo era un convinto assertore di tutte queste devote pratiche, una volta conosciuto Gesù, arriverà a scrivere nella Lettera ai Colossesi che tali atteggiamenti “in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (Col 2,23), e per questo non esita a definirli “spazzatura” (Fil 3,8).
La Quaresima pertanto non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni. Per questo l’azione di Gesù non è quella di abbattere l’albero che non porta frutto, ma di concimarlo per dargli nuovo vigore (Lc 13,8), perché lui non è venuto a spezzare la canna incrinata o a spegnere la fiamma smorta (Mt 12,20), ma a liberare nell’uomo le energie d’amore che sono sopite e fargli scoprire forme inedite, originali e creative di perdono, di generosità e di servizio, che innalzano la qualità del proprio amore per metterlo in sintonia con quello del Vivente, e così sperimentare la Pasqua non solo come pienezza della vita del Risorto ma anche della propria. Così, come i contadini sul finire dell’inverno distribuivano sul terreno le ceneri accumulate nel tempo freddo per dare nuovo vigore alla terra, la Parola del Signore è capace di infondere nuove energie agli uomini.

LA DIMENSIONE DEL SILENZIO

Con Gesù nel deserto (bis)

Dopo l’arresto di Giovanni, per Gesù era necessario passare un lungo periodo nel deserto per varie ragioni e, tra le altre, per liberare la mente troppo ingombrata da quei miti messianici, che venivano creduti e diffusi da uomini come Giovanni o gli esseni di Qumran.
Nel deserto Gesù non ha trovato simboli o suggestioni, ha trovato semplicemente quello che trova ogni uomo sensibile e profondo. Ha trovato la solitudine, e con essa il silenzio. Semplicemente questo: la solitudine ed il silenzio.

La solitudine.
Non si tratta di una solitudine qualunque, ma di quella forma solitudine profonda e, per ciò stesso, più difficile da comprendere se, in qualche maniera, non se n’è fatta già l’esperienza.
Di solito, infatti, per persone come noi che, normalmente, vivono nell’attivismo, quando si cerca di seguire il consiglio di chi invita a stare un po’ in solitudine, si scopre che la noia assale. Abituati a vivere tra tante cose a cui pensare, tra tante cose da fare, tra tante preoccupazioni, quando si cerca di fermarsi improvvisamente per stare un po’ di tempo raccolti in solitudine, si avverte una forte sensazione di vuoto e comincia a venire il sospetto che, probabilmente, stiamo perdendo del tempo prezioso. Pensiamo che, in fondo, sarebbe meglio dedicarsi ad altro, insieme ad altri.
Uno dei nostri maestri, Jacques Leclercq, ritiene che questa noia e questo senso di vuoto, non vadano respinti, se mai accettati. È il segno che ci siamo allontanati abbastanza da Dio, disperdendoci nell’azione, ossia in un’attività in cui Dio sembra non entrarci affatto. Si è venuto a creare tra la vita di tutti i giorni e la vita di Dio come una sorta di strato di nebbia. In questa situazione, immersi come siamo entro questo strato di nebbia, «bisogna accettare di camminarvi un certo tempo senza veder chiaro», si tratta infatti soltanto di un punto di passaggio obbligato, il più naturale del mondo1

Il silenzio.
C’è un silenzio che dobbiamo sapere preparare, con dedizione, con fatica, è il «silenzio di tutto il nostro essere»2. In che modo? Cercando di restare di tanto in tanto soli e senza parole, ma anche senza pensieri (discorsivi), senza problemi da risolvere, progetti da realizzare, ansie da lenire…
Solitudine e silenzio soltanto: è un silenzio che può anche renderci liberi…

Dio ed il silenzio.
Dobbiamo parlare del silenzio in riferimento a Dio. Dio ed il silenzio.
Che, dovendo parlare di Dio o dovendo parlare con Dio, a noi si addice più il silenzio che la parola è una verità che gli uomini di preghiera conoscono bene.
Quando si crede di avere detto tutto e bene per lodare Dio, ci si rende presto conto che il silenzio delle nostre parole sarebbe stato il migliore modo di lodarlo.
C’è un Salmo della Bibbia, il Salmo 65, che dice: «Per Te il silenzio è lode, o Dio»3.
Alcuni cristiani del iii secolo amavano pregare con una bellissima preghiera attribuita al pagano Èrmete Trismegisto, che, invocando il nome di Dio, in un suo passaggio dice: «Tu, l’Inesprimibile, l’Indicibile, Tu che solo il silenzio può nominare»4.
Che è come dire: chi può conoscere il nome di Dio, cioè la sua intima essenza? Quale parola può esprimere tale nome? Soltanto il silenzio.
E Gregorio Nazianzeno (o forse un filosofo neoplatonico), in un’altra bellissima preghiera, ha scritto: «A Te ogni essere che sa leggere il tuo universo innalza un inno di silenzio»5. Quasi volendo riprendere il motivo del Salmo 65, già citato sopra.
È su questa stessa linea, quella del senso del mistero di Dio, che si è mosso anche Tommaso d’Aquino, quando dichiarò, con il suo linguaggio lapidario: «Deus honoratur silentio». Dio si onora con il silenzio6.
Dobbiamo confessare apertamente la nostra incapacità di pronunciare parole, la nostra incapacità di elaborare pensieri che intendono esprimere Dio compiutamente. L’uomo deve essere cosciente del fatto che, davanti alla realtà di Dio, bisogna fermarsi alle soglie del suo mistero.
Tuttavia, questo è anche un invito a cercarlo continuamente. Gesù dirà: «Cercate il regno di Dio» (Lc 12,31), «cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33). Ora, cercare questi beni essenziali per l’uomo (il regno, la giustizia), nel linguaggio biblico, equivale a cercare Dio stesso7. Cercate Dio e sappiate che chi cerca trova!8 E Gesù, che come gli uomini del deserto9, conosceva bene il profeta Isaia, avrebbe ricordato:
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino (Is 55,6).
I profeti ed i Salmi hanno insegnato ai pii ebrei (hassidim) questa nuova e particolare religiosità, quella di chi cerca Dio con desiderio, un Dio che io non vedo, che io non afferro né con la mano né con la mente, anche che so, con certezza, che esiste.
E perché si cerca sempre Dio? Perché Egli è l’Inafferrabile. Come disse il padre De Lubac: «Dio non Lo troviamo che cercandoLo sempre. Dio resta sempre “Colui che viene cercato”»10.

1 Vita interiore, tr. it. F. Del Rivo, Paoline, Albra, 1955, p. 180.
2 T. Merton, Nessun uomo è in’isola, tr. it. Benedettine Monastero di S. Paolo in Sorrento, Garzanti, Milano, 1969, p. 263.
3 65,2; versione del Testo Masoretico.
4 Poimandres 1, 31, 32, citato in un papiro di preghiere cristiane della fine del iii secolo; cfr. H.-I. MARROU, Decadenza romana o tarda antichità?, Jaca Book, Milano 1979, pp. 97-98.
5 In Migne, P.G. 37, 507-508, trad. G. Di Maria.
6 In Boëtium de Trinitate I, 2, 1, ad 6. Vedi anche Summa c. Gent. 1,30. La fonte di questa frase è, forse, Giovanni Crisostomo.
7 Cfr. P. Grelot, Il linguaggio simbolico nella Bibbia, p. 165. Vedi, ad esempio, Isaia 51,1: «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore».
8 Mt 7,8; Lc 11,10.
9 Gli esseni di Qumran, ad esempio, leggevano e hanno commentato tantissimo il libro del profeta Isaia.
10 Sulle vie di Dio, Paoline, Alba 1966, sovracopertina che cita una pagina del libro.

Rosario Greco e comunità Koinonia di Palermo 

Altrimenti
Come si ascolta la terra cantare


Ho sempre sentito il comandamento "Amerai il prossimo tuo come te stesso" come un imperativo ad amare anche la terra come me stesso. Non si può amare l'altro, il prossimo, senza amare la terra, perché l'altro sta di fronte a me e condivide lo stesso mio spazio, perché ha una vita che dipende dalla vita della terra e anche perché, come me, è terra: venuti dalla terra, torniamo alla terra.
Ma che cos'è la terra che amo?
È la terra su cui cammino e vivo; è la mia terra delle colline coperte di vigne del Monferrato; è la terra morenica, boscosa e piena di grandi sassi in cui abito; è la terra del mio orto; è la terra che sa generare la vita e accoglie la morte. Il mio è un amore viscerale, tanto che a volte mi sembra di poter abbracciare la terra e che essa possa ascoltare le mie confessioni di passione per lei. Non è una dea, ma è il dono essenziale che Dio ci ha fatto perché possiamo essere e vivere. La terra mi ha accolto quando sono uscito dal ventre di mia madre, mi ha aiutato a "stare in piedi" a camminare con speranza, mi sta aiutando nell'arte di "lasciare la presa", di consentire che essa mi accolga, apra le braccia al mio corpo e permetta che io diventi lei stessa.
Ma come si ama la terra?
Innanzitutto si tratta di imparare a vederla, ad ascoltarla, a conoscerla, in una vera e propria relazione nella quale, crescendo l'assiduità, cresce anche l'amore. La terra chiede di essere osservata così come si presenta nelle sue variazioni dovute ai ritmi del giorno, della notte e delle stagioni. Nel buio la terra emerge solo con la luce, sia pure poca; allora acquista almeno un profilo, anche se le ombre sembrano avvolgerla. Ma al mattino la terra, accogliendo la luce, si mostra, si veste di molti colori e inizia a cantare. La terra è fatta di cose: un ruscello, un prato che fiorisce, un bosco che della luce sa fare un'ombra, la mia quercia centenaria che è la prima cosa che al mattino guardo con gioia uscendo dalla cella. Dal vedere sgorga poi il celebrare: celebro, dunque canto la terra, o meglio la vita, mia, nostra, di noi umani e della terra insieme. Umani perché venuti dall'humus, e dunque umili per natura. Non essere umili è il grande peccato contro natura!
Secondo la tradizione ebraica e cristiana Dio non ha solo creato con la sua parola e con il suo soffio la terra, ma l'ha affidata ai terrestri: Adam riceve la terra per essere il suo giardiniere; giardiniere, non sfruttatore, che la devasta, la opprime, la fa ammalare. Perché non ci domandiamo cosa abbiamo fatto e continuiamo a fare contro la bellezza e la bontà della terra?
Terre avvelenate dai rifiuti, terre cementificate da costruzioni insensate, terre sfruttate...
Fa impressione rileggere le parole di Alano di Lilla, un monaco del XII secolo: "Uomo, ascolta cosa dice contro di te la terra, tua madre: perché fai violenza a me che ti ho partorito dalle mie viscere? Perché mi tormenti e mi sfrutti per farmi rendere il centuplo? Non ti bastano le cose che ti dono, senza che tu me le estorca con la violenza?".
Enzo Bianchi

(la Repubblica 17 febbraio)
Le ong denunciano lo stato di abbandono della solidarietà

Nella settimana in cui il governo discute l'elenco delle priorità per il seguito della Legislatura, le reti di organizzazioni non governative e della società civile Cini, Aoi  e Link 2007 lanciano l'allarme rispetto allo stato di abbandono e immobilità in cui versa il settore della cooperazione allo sviluppo. Attraverso questa nota congiunta i rappresentati delle Ong esprimono l'augurio che il governo colga questa occasione per dare nuovo impulso e significato politico ad un settore chiave per l'articolazione delle relazioni e dei partenariati internazionali del Paese.
A Cinque anni dall'approvazione della Legge n. 125 del 2014, infatti, che si impegnava a rilanciare la cooperazione allo Sviluppo italiana, troppi impegni restano solo sulla Carta. In particolare manca innanzitutto un interlocutore politico, dal momento che la delega alla Cooperazione internazionale non è ancora stata assegnata ad un Viceministro presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Manca anche una programmazione triennale che delinei la visione strategica, gli obiettivi di azione e i criteri di intervento della cooperazione italiana: il documento approntato per il triennio 2019-21, infatti, non è mai divenuto operativo, non avendo acquisito il parere del Parlamento, né l'approvazione dal Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo e del Consiglio dei Ministri. Da due anni non viene nemmeno riconvocato il Consiglio Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo, strumento permanente di partecipazione, consultazione e proposta, indispensabile per la produzione dei pareri del mondo non governativo, mentre il modello "multistakeholder" che lo scorso anno il Governo ha presentato a Parigi nel corso dell'esame periodico da parte dell'Ocse-Dac, rimane sostanzialmente inattuato. Altra nota dolente quella delle risorse: a seguito dei deludenti risultati portati dal Disegno di Legge di Bilancio 2020-2022, il rapporto fra Aiuto Pubblico allo Sviluppo e Pil, secondo i dati Ocse-Dac, regredisce dallo 0,30% del 2017 allo 0,25% del 2018, ad anni luce di distanza dall'obiettivo dello 0,70% da raggiungere entro il 2030. Anche l'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo non versa in buone condizioni:  è ancora priva delle risorse finanziarie ed umane sufficienti a farla funzionare a regime. Inoltre, non ci sono date certe per l'indizione del bando per progetti di cooperazione delle organizzazioni della società civile, già saltato nel 2019. Infine, alla luce dell'integrazione delle competenze del commercio estero all'interno del Mae-Ci, manca un confronto serio per l'implementazione di un meccanismo efficace di verifica e di attuazione della coerenza delle politiche, tra i pilastri più cruciali dell'Agenda 2030. E dunque, data la gravità delle situazione, ricordiamo al governo ed al Parlamento che la cooperazione internazionale è parte integrante e qualificante della politica estera dell'Italia, nonché uno strumento ineludibile per affrontare le sfide del nostro tempo, dai cambiamenti climatici alla tutela dei diritti, dalle migrazioni alle diseguaglianze crescenti, dalla stabilità alla pace.
Raffaele k. Salinari, portavoce Cini,
Silvia Stilli, Presidente Aoi,
Paola Crestani, Presidente Link 2007
(Il Manifesto 12 febbraio)
[la Repubblica 12 febbraio]

La madre francese

Quando si rimane incinta in Francia, capita di essere inseguite da solerti funzionarie che mandano lettere e chiedono appuntamenti per poter fornire alla futura mamma un panorama completo dei vari servizi pubblici di cui potrà usufruire per l'arrivo del pargolo, dall'ostetrica che viene gratuitamente a domicilio dopo il parto fino alle scuole che rimangono aperte fino alle 18 e durante le vacanze per agevolare i genitori che lavorano. In Italia la ricerca di un nido può diventare un'impresa disperata. Oltralpe le famiglie sanno di poter contare su un mix di offerte, tra nidi, puericultrici a domicilio e altri centri per l'infanzia.
È un sistema che cambia profondamente le mentalità. Se a un'italiana può capitare di essere guardata come una madre indegna perché torna al lavoro sei mesi dopo la nascita del figlio, per la maggior parte delle francesi tre mesi di congedo maternità bastano e avanzano, senza essere per questo giudicate. E anche quando le famiglie non trovano una sistemazione in un nido pubblico, possono contare sul cosiddetto Paje, prestation d'accueil dujeune enfant, organizzando nidi a casa con altre mamme oppure appoggiandosi a strutture private convenzionate. Quasi metà dei piccoli tra 0 e 2 anni è mandata dai genitori in strutture pubbliche o private, il doppio della media europea. Molto prima della rivoluzione femminista, la Francia ha cercato di dare alle madri gli strumenti per conciliare lavoro e famiglia. Con un risultato evidente: la Francia non è solo una delle nazioni dove si fanno più figli, ma è anche quella con la percentuale di occupazione femminile superiore alla media europea. E non è un discorso di parità: nelle statistiche, gli uomini francesi non partecipano più degli italiani alle faccende domestiche. È lo Stato che si affianca nella cura dei figli in una politica natalista che risale all'epoca del regime di Vichy. La spesa pubblica per ogni bambino sotto ai 6 anni è quasi il doppio della media Ocse, anche se negli ultimi anni la crisi economica si è fatta sentire: il fatidico tasso di fertilità non è più superiore ai 2 figli per donna. L'offerta di nidi è solo uno dei tasselli della ricetta francese. A1 centro di tutto, c'è il quoziente famigliare. Gli ultimi governi hanno ridotto i benefici fiscali per le famiglie ma rimane una deduzione importante per le coppie con figli. Neppure i Paesi scandinavi, noti per la loro mentalità children friendly, "regalano" così tanto alle famiglie. Creato nel 1945 dal radicale Adolphe Landry, il quoziente famigliare segue lo slogan: "A livello di vita uguale, tasso di imposizione uguale". Il reddito complessivo del nucleo famigliare deve essere suddiviso in parti secondo il numero dei componenti. Un modo di abbassare l'imponibile è non tassare il reddito unitario ma quello disponibile. Al sistema di detrazioni fiscali, che comprende anche sgravi per il pagamento di baby sitter, si aggiungono diversi sussidi pubblici, tra cui il bonus bebè e gli assegni famigliari che sono stati recentemente parametrati al reddito ma restano un caposaldo del modello francese.
Anais Ginori

(la Repubblica 12 febbraio)

giovedì 27 febbraio 2020


"ORA BASTA"

La rivolta delle donne nella chiesa è in pieno svolgimento a Madrid e in tutta la Spagna. Teologhe, teologi, gruppi, parrocchie, presbiteri, catechisti si danno appuntamento per domenica 1° marzo nel centro di Madrid dove sarà letto pubblicamente il manifesto della rivolta. 
Impariamo a solidarizzare.
Non è più il tempo dell'attesa silenziosa, ma del coraggio profetico di cui le donne sono state e sono testimoni audaci. Questo è Vangelo vivo!!
Che coinvolgimento! E se lo facessimo anche in Italia?
Franco Barbero

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA DI DOMENICA 1 MARZO

I "QUARANTA GIORNI" PER GUARDARE AVANTI CON FIDUCIA TUTTA LA VITA 
1 Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. 2 E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. 3 Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane». 4 Ma egli rispose: «Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l'uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».5 Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio 6 e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo,
ed essi ti sorreggeranno con le loro mani,
perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».7 Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
Non tentare il Signore Dio tuo».8 Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: 9 «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». 10 Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto:
Adora il Signore Dio tuo
e a lui solo rendi culto».11 Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano. (Matteo 4, 1-11)

Alla prima lettura può sembrarci di essere a teatro dove due grandi attori si contendono la scena. Per non essere imprigionati dalla magia scenica del quadro, può essere utile qualche conoscenza che ci aiuti a fare centro sul messaggio.

L'efficacia del linguaggio simbolico
Quando si legge questo notissimo brano del Vangelo, che è situato all’inizio del viaggio di Gesù tra i villaggi della Palestina, è subito bene dichiarare che non esiste nessun diavolo. Satana è una figura retorica, una metafora presente in quasi tutte le culture, che parla dei mille mali che assediano le nostre vite e le strade del mondo. Con tale immagine gli evangelisti personificano il male e ne parlano come se si trattasse di un agente spirituale, esterno e tentatore. Questo processo culturale e linguistico si chiama personificazione e sarebbe una ingenuità credere che esista quell’essere maligno che la fantasia popolare ha chiamato diavolo. Per questo motivo gli esorcisti sono un inganno e una superstizione, tutt'ora presenti e previsti nella pastorale cattolica, roba da museo e da ciarlatani.
Devo aggiungere che nella mia lunga vita ho conosciuto alcuni preti esorcisti. Erano persone particolarmente ignoranti sul piano biblico e tormentate sul piano esistenziale, con forti ossessioni sessuali, misoginia e omofobia.
Oltre le letture ingenue
Ma le letture “ingenue” sono purtroppo ancora molto ricorrenti. Di fatto può capitare di ascoltare una predicazione che interpreti questo passo biblico come una cronaca , un resoconto storico.
Altre letture più fedeli al dato biblico e più profonde vedono in queste tentazioni il paradigma delle prove di Israele, di ogni cristiano; anzi di ogni uomo e di ogni donna nel cammino della vita. La lettura spirituale ha evidenziato che solo la forza della Parola di Dio può scacciare ogni “diavoleria" dal nostro cuore.
Una lettura più attenta alla dimensione sociale e politica ci aiuta ad individuare quanti potenti usano la Bibbia per legittimare il loro dominio, per coprire ideologie e privilegi. Ancora nella nostra Italia c’è chi si richiama al Vangelo per condannare le coppie omosessuali, il diritto ad una dolce morte....La paura è sempre un'arma a portata di mano per dominare le coscienze.
Più spesso fa comodo travestire religiosamente le scelte di conservazione dello status quo.
Vivere nella tentazione, cioè fare i conti con le prove.
Sgombrato il campo da una lettura ingenuamente demonologica, questa pagina atisticamente straordinaria e simbolicamente espressiva tratteggia un “volto “ di Gesù poco conosciuto e ci aiuta a ritrovare le tracce della vita quotidiana del nazareno.
Gesù, proprio come noi, dovette compiere un itinerario in cui la fedeltà alla chiamata di Dio non fu per nulla scontata. Egli entrò negli orizzonti di Dio lentamente a fatica, lottando: ecco l’immagine del “diavolo” che significa tutte le difficoltà e le opposizioni che Gesù dovette affrontare. 
Lungi dal possedere la volontà di Dio, Gesù la cercò tra i richiami dell’egoismo e i sentieri dell’amore, in un conflitto interiore in cui furono presenti le incertezze, le seduzioni, le paure, l’ignoranza del “progetto” di Dio, le delusioni e le stanchezze. Anche per lui la vita fu una ricerca tra le tenebre della notte e la luce del giorno.
Non è superfluo ribadire queste informazioni perché abbiamo ricevuto una educazione “catechistica” in cui Gesù ci veniva presentato come un essere celestiale, quasi divino, esente dalle “prove” e dalle incertezze.
Il vizio inestirpabile.
Il vizio inestirpabile di molti teologi e pensatori cristiani sta nel fatto che essi, in ogni elaborazione e in ogni predicazione, partono non dal Gesù ebreo di Galilea, ma dal Cristo della tradizione dogmatica. Per loro parlare di Gesù significa parlare del "verbo incarnato", del "Dio fatto carne", e sostanzialmente già leggono i Vangeli con gli occhiali del dogma di Nicea.
In realtà credono di parlare e di scrivere di Gesù, ma nella loro formazione culturale in pratica il Gesù dogmatico ha seppellito il Gesù ebreo. Lo stesso guaio si presenta spesso in alcuni libri ultramoderni in cui si parla del cristianesimo senza avrer fatto i conti in profondità con le radici ebraiche.
Un messaggio concreto e prezioso
Letta in profondità, questa pagina evangelica mette in risalto che Gesù incarna e manifesta che cos’è l’esistenza umana e cristiana davanti a Dio: una esistenza “tentata”, con tutti i connotati della precarietà . Egli, che per noi è il testimone di Dio per eccellenza ( questo significa la metafora “figlio di Dio”), ci dice che essere esposti alla tentazione è la ineludibile condizione della nostra creaturalità. 
Se, dunque, non si può crescere nella vita e nella fede, senza dover scegliere e combattere, occorre fare pace con questa dimensione reale ed essenziale. Seguire la strada di Gesù dona senso e gioia, una grande gioia, ma comporta alcune scelte in netto contrasto con i “diavoli” dell’indifferenza, della carriera, dell’immagine, del denaro.
Ma c'è di più
Diventare cristiani significa prendere sul serio il fatto che la nostra vita e la nostra fede non sono un possesso indisturbato, ma una realtà ed un dono esposti alle imprevedibili sfide dell’umana navigazione.
Le chiese cristiane spesso, strutturandosi come potenze, hanno voluto sottrarsi a questa “esposizione” ai venti della fragilità, delle incertezze, dell’umile ricerca di una difficile fedeltà. Fasciata di certezze dogmatiche, impinguata di privilegi e di concordati, la nostra chiesa ( che anche ora non pagherà l’ICI e le altre tasse) è diventata spesso sorda e cieca di fronte al “pellegrinaggio” degli uomini e delle donne di questa società dell’incertezza e della precarietà. E non c’è prigione più oppressiva di quella che incatena mediante l’arroganza, il fanatismo, la dogmatica.
La “conversione della chiesa” e di ciascuno/a di noi sta nel “tornare a Gesù” (per dirla con le parole di Hans Kung), al suo cammino “pericoloso” e precario, tutto sorretto dalla appassionata ricerca del mistero di Dio, del Suo “progetto”. Non si torna ad un Gesù qualunque, ma a quel Gesù ebreo che affronta tutte le prove della vita sulla sua radicale fiducia in Dio. Non si spiega nulla di Gesù se non si parte da questa sua consapevolezza della compagnia di Dio nella sua vita.
Esiste e cresce
Ma esiste, per dono di Dio, e si diffonde un cristianesimo che vive ogni giorno nella tentazione, non cerca alleanze o compromessi, non si rifugia dietro presunte e ridicole infallibilità, non occupa i video del mondo, ma penetra in molti cuori. Non ha presunzioni magisteriali, ma “tenta” di far compagnia alle donne e agli uomini che cercano verità e giustizia, in piena solidarietà con le loro incertezze, le loro precarietà e le loro speranze. Gesù non ha distribuito certificati di garanzia: ha solo testimoniato la certezza che la compagnia di Dio non ci abbandona mai, che il Suo amore non ci lascia disperare e soccombere alla “tentazione”.
Grazie,o Dio
perché hai donato al mondo e alle chiese tante donne e tanti uomini che hanno imparato a vivere il rischio, la responsabilità e la bellezza della libertà.
Grazie per il dono della vita e della testimonianza di Gesù. Da lui abbiamo imparato che dobbiamo obbedire a Dio soltanto e così possiamo scoprire e smascherare chi copre i propri interessi con il nome di Dio.

BASTA CON LE LEGGENDE

Coronavirus: ora lo sappiamo. E' poco più o poco meno di una comune influenza però per l'ignoranza  e la paura si sono congiurati  per diffondere il panico.
Ora stiamo un po' sorridendo di questa "campagna della paura".
Solo Renzi e Salvini, ormai alleati, continuano a soffiare sul fuoco per far cadere il governo.
L'emergenza vera è quella  delle locuste che stanno divorando l'Africa con 19 milioni di persone condannate alla fame.
Parliamo di cose vere, non di leggende apocalittiche  inventate a tavolino. Basta fare un giro fino a Taranto: si muore ogni giorno di cancro per l'inquinamento dell'Ilva... e noi meniamo il can per l'aia creandoci fantasmi.
Franco Barbero

L'EPIDEMIA DELL'ODIO


Quel normale antisemitismo

Calpesta l’ebreo”, scritto per terra all’ingresso della scuola. Per chi ancora si chiede come sia stato possibile riscuotere, al tempo dei nostri nonni, un’adesione convinta della maggioranza degli italiani alle leggi razziali fasciste, la risposta è: guardatevi intorno in questi giorni.
Il senso comune si plasma così, fino a trasformarlo in “buon senso”. Nella mente di chi va in cerca di qualcuno da disprezzare, a cui negare il riconoscimento di “prossimo”, da ridicolizzare anche quando sia ridotto a vittima (“Anna Frank brucia”, altra scritta), l’ebreo ritrova il suo ruolo di simbolo primordiale.
L’abbiamo sottovalutata, questa epidemia. 
Più pericolosa del coronavirus. 
Gli imbrattatori delle scuole di Pomezia – puntuali e tutt’altro che ingenui – ignoravano probabilmente che ieri pomeriggio all’Ipsoa sarebbe venuto a parlare un bambino, Gabriele Sonnino, che nel 1943 si salvò dalla razzia del ghetto di Roma perché gli era stato diagnosticato il “Morbo di K”. Ispirandosi al nome del feldmaresciallo Albert Kesselring, se l’erano inventato dei medici coraggiosi del Fatebenefratelli che ricoverarono decine di ebrei, falsificando le loro cartelle cliniche e misero in guardia le SS dall’avvicinarsi a quei pazienti “contagiosissimi”. 
Una memoria che dà fastidio tramandare, forse perché, come dice Liliana Segre, “è molto più facile credere che tutto questo non sia avvenuto”, piuttosto che “ammettere che un uomo può arrivare a fare cose indicibili”. 
La novità, in Italia, è che abbiamo ricominciato a sentirci dire “cose indicibili”. E i più giovani rischiano di farci l’abitudine. L’escalation sapientemente orchestrata di svastiche e stelle di Davide intimidatorie, marchiate sull’uscio di persone ebree o presunte tali a mo’ di schedatura, è il segnale di un’estrema destra consapevole per la prima volta di poter attingere a un substrato di antisemitismo inconsapevole diffuso tra i ragazzini. Per i quali la Shoah è stata solo un grande spettacolo truce, e perciò affascinante. Uno spettacolo nel quale puoi parteggiare per i “duri” visto che la sociopatia rende incapaci di riconoscere la sofferenza degli altri, quando non facciano parte del tuo piccolo gruppo.
La confusione nell’uso dei simboli è totale, guidata dal senso del proibito. I tredicenni di Forlì usciti sabato sera con la bomboletta spray da una festa in pizzeria, hanno tracciato svastiche accanto alla A di anarchia. Un pastrocchio. 
Ma se poi, nella loro ignoranza, ci hanno aggiunto la parola “ebrei”, è perché sono abituati ad adoperarla come dispregiativo. Non avviene così già da anni nelle curve degli stadi di calcio?
Le serie tv di maggior successo e i videogiochi rispecchiano questo bisogno di identificarsi nell’eroe negativo, vincente perché pronto a calpestare l’altro. “Calpesta l’ebreo”, appunto. Anche il black humor si è inferocito grazie alla propaganda dall’alto di un cattivismo mascherato da satira. Basta ascoltare alla radio La Zanzara per rendersene conto. Riversandosi tra gli adolescenti, questo veleno assume connotazioni ancor più esasperate. Basti pensare alla chat WhatsApp denominata “The Shoah party” in cui decine di minorenni si scambiavano messaggi razzisti inneggianti al nazismo e al terrorismo islamico, frammisti a bestemmie, sevizie di animali, immagini di bambini malati terminali. La sofferenza come spettacolo, appunto. Il travestimento, perfino il corpo rimodellato e tatuato come espressione di identità artificiali, maledette, allo scopo di incutere rispetto. Faremmo un grave errore se ignorassimo il nesso fra la propaganda antisemita che sta tracimando minacciosamente dal web sui muri delle nostre città, e le svastiche goliardiche dei ragazzini cani sciolti. 
La fonte cui attingono è la medesima. Così come la diseducazione di massa che concimano con l’odio per il diverso: ebreo, africano, arabo, cinese.
Il vaccino per contrastare questa epidemia sarebbe un rinnovato impegno scolastico di aggiornamento dello studio della storia. Sfuggendo alle strumentali intrusioni dei politici che pretenderebbero di equiparare avvenimenti novecenteschi ugualmente tragici, ma incommensurabili. Per fare pari e patta. “Parlateci delle foibe”, hanno scritto a Pomezia, echeggiando l’usurato “Parlateci di Bibbiano”. Ma…. ancora, ci chiediamo: possibile che le forze dell’ordine non siano ancora riuscite ad acciuffare neanche uno di questi cacciatori di ebrei?
Gad Lerner – Repubblica 13/02